Volete fare un brutto film che però poi la gente vi dice che è bello? Volete fare un film buttato là che manco i discorsi che fate alla piazzola autostradale il 25 agosto ma poi la gente vi dice che è un film riflessivo? Fate Detachment. Vi basta aver confezionato un film tagliato con l’accetta e moralisteggiante come American History X e trovare uno sceneggiatore appena uscito da qualche corso universitario di semiotica che chiama il suo protagonista Henry Barthes (“Sì pronuncia Barth, la s non si sente”, come ha il coraggio di recitare la battuta con cui si presenta) e insieme a sto sceneggiatore, Carl Lund (memento!) create il personaggio di un insegnante tristissimo che piagne sempre, senza senso dell’umorismo ma zero proprio (come ammette lui a un certo punto), poi gli mettete vicino una serie di colleghi ancora più tristi e sfigati – una specie di accolita tipo anonima docenti, e ambientate il tutto in una scuola piena di ragazzi difficili.

Poi vi chiedete: per far capire che sono ragazzi difficili che famo? Glielo facciamo dire, anzi urlare (“Ehi, spettatore, io sono il più difficile di tutti, guarda come sbrocco appena entro in scena”). Ecco la grande scelta di sceneggiatura: perché lavorare alla costruzione dei personaggi con delle nuances, delle gradualità, quando puoi direttamente mettere in scena un mondo addolorato fatto di persone che appena possono ti dicono: “Oh! Sto male”, “Sono frustrata”, “Non so che cazzo fare della mia vita”.

Certo, se ci fosse solo questo, uno al cinema, ormai ha pagato 8 euro, ingollerebbe dei pop-corn come si fa con dei barbiturici con la speranza che qualcuno ti s’intoppi in gola. Ma ci dovrà essere pure un modo con cui questa non-idea di sceneggiatura possa essere trasformata in un prodotto filmico che addirittura prende dei premi, riceve plausi, etc…? Beh, sì il modo c’è: come il film è girato. Ossia in tutti i modi possibili. Fatevi venire in mente qualunque film indipendente degli ultimi vent’anni, prendete i trucchi più cheap che vi ricordate, e avrete le note di regia di Detachment. Inquadrature sbilenche di primi piani di Adrien Brody all’ultimo stadio della noia depressiva (faccia senza barba con luce normale dietro = me sto a ripijà / faccia con la barba non fatta con luce seppia dietro = me sa che nun je la faccio), camere a mano per seguire della gente che fa merenda, gente che parla in macchina di cose il cui interesse è pari a quello del vicino di posto che commenta il film accanto a voi, cartoncini animati weirdo come inserti che sono correlati oggettivi delle emozioni che provano quelli che recitano là e danno pure una mano al povero cartoonist amico mio che se faceva tutto un film co’ sti stick-man je menavano, flashback tipo cut-up di foto di famiglia (“ehi zitti tutti, ho un’idea per raccontare il passato!”), inserti di filmini super-otto per far capire che “oh, qua se tratta de robba autentica, mica stamo a ffà finzione come tutti l’altri, belli”, una musica – un pianoforte dolentissimo – talmente pervasiva che pensi che pure se vai al cesso tra il primo e il secondo tempo ti parta mentre tiri lo sciacquone, camminate in giro per la città di notte di Adrien Brody – Henry Barthes (perché non chiamarlo Jack Deleuze? Dick Derrida?, no?) con la canottiera e sta faccia che manco un’icona di Andrej Rublev, voci fuori campo di lui che recita i suoi “pensieri profondi” che assomigliano a quelli sui diari che ciascuno noi ha bruciato quando ha superato la soglia dei sedici anni, facce appoggiate al finestrino dell’autobus, molti finestrini dell’autobus, molto autobus…

E il tutto per cosa? Per fare un film sulla scuola? Sull’insegnamento? Sulla disfunzione della scuola pubblica? Sulla tragedia della disfunzione della scuola pubblica? Il tutto senza peli sulla lingua, con un’estetica veritè che mo’ v’aggiusto io quanto so crudo che addirittura alla povera prof un po’ gentile le faccio direttamente sputare in faccia per farvi capire quanto sono diretto io. Ma è possibile che in questa scuola non ci sia un ragazzo uno che faccia una battuta, che faccia il cazzone per dieci secondi, che tipo sembri un essere umano e non un tormentato “ragazzo che vive il disagio sociale e che finirà nell’80% del proletariato americano senza speranza” come recita un’incolpevole Lucy Liu (psicologa della scuola) in un monologo che somiglia a un esercizio di recitazione sperimentale del tipo “proviamo a leggere insieme gli editoriali di Annali di sociologia applicata“? No, perché questo è un film impegnato. Realista!! Un film sulla scuola pubblica distrutta, la frustrazione, la pedofilia, l’alcolismo, i rapporti famigliari che non vanno, l’angoscia dei ragazzi di oggi, il deficit di attenzione, gli adulti che non ascoltano più, la televisione nelle case che ci aliena, e il “marketing del consumismo dei nostri corpi” – come proclama il discorso che Henry Barthes (Phil Adorno? Jay Marcuse?) pronuncia urlando a una classe estasiata dalla veemenza della sua analisi politica.

La veemenza: immaginate uno di quei tipi in vena di rodimento di culo che vi attacca una pippa in fila alla posta sulla società che si è ridotta uno schifo… mettetegli il corpo di Adrien Brody e i completi-spalle strette di Henry Barthes e avrete La Scena Clou del Film, una scena la potenza della quale è tale che riverbera nei pensieri dei ragazzi fino a fargli scoprire una parte di sé – la prima stesura sceneggiatura era evidentemente un film di zombi – e a fargli scoprire che non è detto che dovranno per forza lavorare come operai malpagati alla General Motors, ma potranno diventare anche loro degli sceneggiatori di film indipendenti se continuano a trovare professori meravigliosi sulla loro strada che non sorridono mai, ma che tre sospiri tra una citazione di Poe e uno sguardo nel vuoto non te li negano. Mai. Ffffuuuu.

Ps. Un consiglio: mangiate prima del film. Stanno tutto il film a sgranocchiare, a mangiucchiare merendine e snack, che quando vi accorgete che non passa l’omino con le bomboniere a metà film, pensate proprio che questo regista vi abbia voluto raccontare che cos’è il dolore.

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59 commenti

  1. Ahò ‘a coso, ma così ‘e recinzione se possono fà de qualunque filme… ma perché se c’era uno che faceva er cazzone per 10 secondi dici che la cosa funzionava mejo? Che quindi ‘stamo ancora al realismo basico, che se tutto è un po’ troppo inverosimile allora è ‘na cazzata? Po esse, però secondo me non è per questo che è ‘na cazzata, se è ‘na cazzata. Io ho visto un Adrien Brody di una bravura sensazionale, con tutti gli errori di sceneggiatura che vuoi, e con i limiti di un film che ha tanti limiti (una colonna sonora insistente e ai limiti dell’urtante), ma che ha anche cose interessanti (per esempio, forse, la rappresentazione dell’insegnante nell’omaggio della ragazzina sfigata – che se vogliamo sfottere si può sfottere pure questo, però forse da altri punti di vista è interessante). Ahò mica ce l’ho co ttè, dico che messa così è un po’ facile (Nanni Moretti in Caro Diario che legge la recensione di Silvestri docet). Oh poi fa ride il tuo articolo, m’è piaciuto. Però pure il film un po’.

  2. o mamma mia, raimo che fa finta di parlare come mangia un giovane romano che frequenta il Teatro Valle vestito casual, è rag-ge-lan-te.
    ma poi… cheap? cheap? ha scritto veramente “cheap”?

    ARIDATECE GLI O-N (ottanta-novantenni).

  3. Si dovrebbe istituire l’indice dei film proibiti (per mancanza di rispetto verso gli spettatori), da affiancare al più famoso indice dei libri proibiti – che però non serve più a niente, tanto non legge più nessuno.

  4. Cioè ddai te volo di’, peró quello mica l’hanno chiamato ROLANDO BARTHES? Cioè ce so’ stati attenti, dai, e ddaje….
    [Grazie, Christian –> The Detachment NON LO VADO A VEDERE… :-)]

  5. Bella rece!

    Non ho ancora visto il film, ma ho visto le scuole disastrate, e c`ha ragione Raimo. I ragazzi fanno i cazzoni, rispondono “Ecchime” all` appello, mimano la scopata colla compagna bona, fumano ridendo, e pigliano per il culo i nerds. Do you remember Starnone?

    Pure nelle scuole ammericane i ragazzi e le ragazze hanno umorismo. Almeno loro so` ggiovani e l`insegnati vecchi, e questo basta per ridere (degli insegnanti tutti, anche di un eventuale professor Raimo).

    Pero` mo me tocca fa` outfit, o coming out, nun lo so come se dice. Quanno stavo a scuola, m`aricordo un gruppo de pischelle bone ma sempre intrippate SOLO co li firm de Wim Wenders, mentre che io me rivedevo ANCHE i Monthy Python e altra robba allegra. Pe` rimorchia`, ho dovuto figne de esse` un piagnone/tromentato/sundancizzato. Po` esse` che questo e` er sottotesto der firme.

  6. Big Christian, tempo fa hai parlato, in questa stessa rubrica cinema paraculo, di Scialla. Anche in quel caso io ero uscito dal cinema entusiasta e ho pensato tra me e me: Cazzo, vedi di film non capisco un fico secco. Poi ho letto l’articolo e ho trovato la tua critica molto ben articolata, in particolare ho apprezzato l’attenta analisi del modello di scuola proposto da Scialla (con riferimenti ad altri film precedenti come ovosodo ecc) e l’ancora più attenta messa in evidenza degli aspetti di quel modello che, come insegnante, come uomo, non accettavi. In soldoni Scialla mi sembra ancora un bel film (nel mio vocabolario “bel film= lo vedo con piacere”), ma alcune delle osservazioni che hai fatto mi hanno fatto riflettere parecchio (come capita ogni volta che apri bocca). Oggi il copione si è ripetuto quasi uguale.
    “Volete fare un brutto film che però poi la gente vi dice che è bello?” Mi presento, sono Federico e a me il film è piaciuto. Ho consigliato Detachment a metà dei miei contatti gmail e puntualmente, appena ho trovato il link sulla tua bacheca, mi son ritrovato a pensare: Cazzo, allora è proprio vero che di film non capisco una cippalippa.

    Ho letto il tuo articolo e ho fatto difficoltà ad arrivare alla fine. Più che altro per dover ammettere a me stesso, che laddove tu abbia ragione sulle cose che dici, ogni osservazione è un difetto del film che non avevo considerato o che probabilmente non sono in grado (ancora) di riconoscere (e se quell’ancora riuscisse ad uscire dalle parentesi, ne sarei pure felice). Ci ho pensato un po’ mentre viaggiavo pomeriggio in treno. La mia impressione è che il tuo accanimento derivi in parte, e di nuovo, dal contesto scolastico in cui si muove la pellicola. Però 1) vai molto più veloce sull’aspetto scolastico che più ti coinvolge 2) (e questo manda la mia ipotesi in frantumi) la tua analisi bocca il film sul piano della sceneggiatura, della creazione dei personaggi, delle inquadrature; ne hai perfino per Lucy Liu, inutile aggiungere altro. Bu, non so. Mi viene voglia di rivedere Detachment e riflettere su ogni singolo aspetto alla luce delle tue osservazioni. Probabilmente hai ragione su ogni singolo passaggio, ma allora sarebbe carino che tu mi spiegassi perché mi sono talmente rincretinito o che mi aiutassi, con un approccio più soft a colmare l’eventuale distanza tra la consapevolezza acquisita della tua ragione/mia incompetenza in materia e l’entusiasmo che avevo uscito dal cinema. Cioè, davvero, non ho nulla contro il tuo articolo; anzi ne vorrei leggere mille altri cosi se questo mi aiutasse ad ampliare le mie chiavi di lettura.

    Solo però una cosa mi sembra buffa. Fino ad ora ho sentito solo pareri positivi su Detachment. Oggi che esprimi il tuo dissenso, improvvisamente la tua bacheca brulica di mi piace e di commenti che rincarano la doce. E mi viene in mente una cosa che hai scritto ieri, sempre in bacheca: “Io una cosa non capisco. Perché devo dire “mi piace” prima che lo facciano i miei amici.”

    Ciao Chris. Grazie dell’articolo. A presto.

  7. una piccola aggiunta al finale del commento

    Solo però una cosa mi sembra buffa. Fino ad ora ho sentito solo pareri positivi su Detachment. Oggi che esprimi il tuo dissenso, improvvisamente la tua bacheca brulica di mi piace e di commenti che rincarano la doce. E mi viene in mente una cosa che hai scritto ieri, sempre in bacheca: “Io una cosa non capisco. Perché devo dire “mi piace” prima che lo facciano i miei amici.” Credo valga anche per il “non mi piace” 🙂

    Ciao Chris. Grazie dell’articolo. A presto.

  8. Secondo me, è un film ambizioso, bello e pieno di difetti. Almeno, però, non è un film ruffiano (a differenza di certe critiche paracule…). E non è che ogni film ambietanto in una scuola debba necessariamente essere un film sulla scuola.

  9. uagliù sparagnate o tiemp, e invece e ve verè Detacimento, ve consiglio co tutto o core nu film e nino d’angelo, pò m facite sapè!

  10. Ringrazio gli autori di Detachment, film che non ho visto (e che magari mi piacerebbe pure). Li ringrazio perché quanto meno, grazie a loro, ho potuto leggere questo divertentissimo pezzo di Christian.

  11. Sono fondamentalmente d’accordo con l’essenza delle recensione di Raimo. “Detachement” è un film paraculo che non funziona per il semplice fatto che non puoi fare una cosa fino a un giorno e poi reinventarti da un’altra parte dall’oggi al domani. Voglio dire, “Detachement” vuole chiaramente far parte di una certa estetica e di una certa forma culturale ma svacca totalmente sul piano dell’economia narrativa. Il problema maggiore, poi, sta nelle note di regie. Il film diventa quindi una tautologia abbastanza ovvia per cui all’inizio di qualunque scena dici tra te e te: “Sì, ok, ho capito” senza la necessità che te lo dicano altre sei o sette volte. Diciamo che la dolenza non basta (più) per fare un film riuscito.

  12. è un ottimo film.
    caro raimo, secondo me di cinema non capisci un cazzo, ma sei simpatico lo stesso.

  13. Questo film è una cagata pazzesca, stilisticamente alla stregua di un videoclip di MTV, banalissimo il soggetto per non parlare poi della sceneggiatura.

  14. Mi sa che non tutti quelli che vanno al cinema si intendono di regia, di inquadrature, macchina a spalla, fissa, carrelli e compagnia bella. Quindi, anche se il film è una cacata dal punto di vista tecnico, un profano potrebbe dire che gli è piaciuto. Magari lo trova anche interessante per i contenuti (che per un cinefilo dal palato fino sono banali) e mentre se ne torna a casa si dice che tutto sommato li valeva, quegli otto euro. Ora, lo stesso profano arriva a casa e accende il computer, cerca qualcosa sul film e trova l’articolo di Christian Raimo che gli dice: se ti è piaciuto questo film è perché non capisci niente di cinema. Sei semplicemente un imbecille, perché solo a un imbecille può piacere questo film. Come hai fatto a non accorgerti che VOLEVA piacerti, che è ruffiano e inconsistente e sotto sotto anche un po’ conservatore, anche non tutti lo notano (ma io sì)?

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  16. …va beh… Christian non l’ha proprio detto esplicitamente…
    Lo farò io.
    Se vi è piaciuto The Detachment non capite un cazzo.
    Ma non di cinema. Proprio non capite un cazzo in generale.
    E di sicuro avete anche speso lusinghiere parole per This Must Be The Place, che non ha nulla a che vedere con questa pellicola,ma che mi ha infastidito in modo analogo.
    Democraticamente vostro… Zona

  17. Io sono entrata in sala con le migliori intenzioni (basate sulla buona critica e sulle sopracciglia all’ingiù di adrien brody) ma continuavo a augurarmi il distacco della corteccia frontale. Intanto l’isterismo dilagante (a scuola all’isterismo si risponde con l’isterismo), poi la musica che non è che sottolinea delle cose, sottolinea qualsiasi cosa, in un minestrone di avvenimenti drammatici continui. Poi lo stile finto-realistico-documentaristico con primi piani dei pori della pelle adolescenziale degli studenti, e i pensieri profondi qua e là. Gli 8 euro sono solo per le sopracciglia all’ingiù di adrien brody.

  18. Scusate volevo vedere se mi inviava i commenti e ho fatto una piccola prova.
    Caro Raimo, posso dirti una cosa? Nce capisci niente, né te né tutte le pecorelle che leggendo quello che hai scritto hanno preferito non vedere il film, dando ascolto a una recensione ( a mio avviso scadente ) soggettiva, ciò è molto triste perché quelle persone, evidentemente, ancora non capiscono come funziona la psiche umana, in quanto la stessa cosa può essere considerata orrenda e bellissima allo stesso tempo da due uomini diversi, ciò dipende dal nostro approccio con la realtà e dai nostri gusti, quindi è da bambini fidarsi di quattro chiacchiere e giudicare il film orrendo senza neanche averlo visto. Per quanto riguarda il mio punto di vista, è facile fare discorsi come quelli che fai tu, sminuendo trama e personaggi; si potrebbe fare con qualsiasi tipo di film.. ma ciò è poco influente su quello che sto per dire. Guarda mi sei risultato simpaticissimo nel commentare, ironico, alla romana, ma poi niente altro, trovo in te una superficialità estrema di chi vuole fare l’uomo controcorrente criticando in modo estremamente diretto un film considerato capolavoro, e ciò risulta molto infantile a mio avviso. Poi, guarda caso, non hai esaminato il personaggio di Adrien Brody, ora se hai il coraggio di dirmi che in questo film non ha fatto il fenomeno ti mando a quel paese! Ha vinto l’oscar.. e penso che tu non possa neanche minimamente mettere bocca a riguardo, e giustamente non lo hai fatto haha, perché hai pensato che un elogio all’attore non doveva esser fatto, altrimenti la tua critica avrebbe perso la crudezza e pesantezza che le hai dato. Ma poi dico.. “un film che addirittura prende dei premi”.. ma fammi capire.. cosa vuoi dire con questa frase?Hahaha.. mi fai ridere giuro hhaha, vuoi mettere in dubbio la capacità di giudicare di chi ha premiato un film? Hahaha.. parli come se te ne intendessi tu di film.. ma se avrà vinto dei premi.. un motivo ci sarà! Magari tutta la banalità che hai voluto osservare dalla tua mente contorta in realtà non esiste, semplicemente la hai creata per fare il pesce fuor d’acqua come tutti gli altri che ti hanno appoggiato del resto. E’ come dire che Titanic fa schifo! Beh potrai non preferire il genere romantico e potrà pur non farti impazzire il film, ma non puoi mettere in dubbio che sia un capolavoro! I fatti parlano! Ha vinto 11 oscar! Allora caro Raimo.. prima di volerti mettere in mostra con sciocchezze simili.. pensaci due volte 😉

    Per Zona:
    Secondo me quello a non capire un cazzo sei proprio tu! E ti spiego subito perché! Spesso i difetti che osserviamo nelle persone, sono i difetti che in verità possediamo ma non siamo coscienti di avere, e non te lo dico perché voglio smontarti (magari si haha), ma te lo dico perché è un dato di fatto dimostrato non da me, ma da quello che ho studiato. Quindi.. fatti un esamino di coscienza!

  19. Solo oggi ho visto “Detchment”. La storia di questo film una realtà che scuote .Evidenzia il vuoto che tutti noi abbiamo alla spalle. La mancanza di una vita privata, che si appoggi sui valori della famiglia, emerge in questo film di Tony Kaye. La solitudine dei personaggi, trovo che sia ben messa in evidenza, il vuoto attorno all’uomo di oggi si materializza nella solitudine delle mura domestiche, occupate ma non vissute. La paura che tutti noi abbiamo di non essere visti, presi in considerazione dal ns. prossimo, è dietro alla rete nella domanda ” mi hai visto” rivolta a Adrien Brody dal suo collega. La scuola è la rappresentazione il pretesto per portarci nello squallore della vita di molti giovani che non riescono a comunicare perchè nessuno ha spiegato loro che le parole i concetti aprono le menti e il cuore, l’entusiasmo di vivere ecco cosa manca in questo film manca la soluzione a tutto, per questo motivo è deludente.

  20. Ricordate Sogni d’Oro? la Scena del Bar?

    «Hai visto l’ultimo film di Don Siegel? – chiede il barista – è pieno di luoghi comuni, banalità, personaggi tipici. Fa schifo. È un film orrendo».

    Poi Moretti incontra un altro cliente. Anche lui parla dell’ultimo film di Don Siegel: «Hai visto l’ultimo film di Don Siegel? – dice – ecco! Quello è una cosa… perché è tutto giocato sui luoghi comuni, le banalità, i personaggi tipici. Una vera chicca…»

    A me comunque Il Distacco è piaciuto, con tutti i suoi limiti.

  21. Capisco perché non capisci un cazzo di film,sei romano XD continua a guardarti i cinepanettoni con de sica

  22. Io ho visto il film molto tempo fa, e nei miei ricordi non è né un film sulla scuola, né un film sulla società, né sull’alienazione e chi più ne ha più ne metta dell’uomo moderno. Io ricordo un film su Adrien Brody, che è un uomo emotivamente atrofizzato, ed è conscio di esserlo in modo intellettuale e naive, abbastanza pretenzioso nell’atteggiamento “non attaccatevi a me che non posso darvi nulla”. Tutti sono depressi e hanno problemi, ma “detached” è solo lui, e non ce ne sono molti così nemmeno nella vita reale (grazie a dio): le normali persone tirano avanti (vedi la preside) o fanno le eroine da operetta e si suicidano (studentessa sensibile). Il film è la storia di ‘sto tizio che a un certo punto si rende conto che era un poco ridicolo nel fare l’eroe tragico, che non sei speciale solo perché hai problemi, e che i legami umani sono inevitabili (merda!) e che se pensi solo a te stesso e al tuo dolore la gente ti si suicida sotto il naso. Nel finale decide di imparare a provare sentimenti e far qualcosa con quel legame umano che gli è capitato. Tutto il resto del film (gli studenti, la giovane prostituta, la società…) sono solo macguffin.

    Al recensore dico: ci stanno le note di regia, la sceneggiatura e le musiche, ma del soggetto non hai capito nulla. Sei uno di quelli che “reservoir dogs parla di una rapina” e “psyco racconta di una ragazza che ruba dei soldi e tenta di fuggire”.

  23. Per inciso, ho trovato il finale molto intelligente, oltreché realistico. Era semplice fare uno scivolone grosso con un bel lieto fine in cui tutto è risolto e sono tutti felici, invece il film si chiude con Brody che cambia atteggiamento, e decide di provare a imparare a “attaccarsi” a qualcosa (la ragazza), non con Brody che da una sequenza all’altra magicamente si trasforma in una persona a cui “gliene sbatte qualcosa”. Nella realtà, quando sei (diventato) insensibile, è un casino imparare la sensibilità. Non è affatto innato e spontaneo curarsi di qualcosa solo perché vuoi, letteralmente non sai da che parte cominciare. E il disagio da “primo giorno al lavoro” nel finale del film è mostrato. è un bel colpo.

  24. Silvia, è il commento più giusto del thread. Lo condivido in toto. Aggiungerei anche che per Tony Kaye, che si è sempre e solo occupato di spot pubblicitari è un ottimo esordio.

  25. E’ un film bellissimo, sul vuoto e sul dolore che questo comporta. Non ho avuto nessuna difficoltà ad arrivare in fondo nella sua visione. Invece ho provato una gran fatica fatica nella lettura di questa recensione ammalata di protagonismo intellettuale.

  26. il film è realistico parla di tematiche realmente vicine a noi giovani,in un certo senso anche della decadenza del ruolo di insegnate spesso sottovalutato,dell’insegnante che non trasmette il suo valore aggiunto ma solo nozioni, come dice nel film Adrien Brody “I giovani non ti ascoltano se non hai nulla da condividere con loro” pura verità. Il titolo è pienamente azzeccato il distacco non è solo quello del protagonista nei confronti della società e della sua stessa vita ma è anche la lontananza che separa noi studenti dal docente,quella distanza tra banco e cattedra che solo il protagonista della pellicola riesce a colmare aprendo gli occhi e il cuore dei ragazzi,Se sono state fatte critiche alla regia e alle inquadrature lo trovo comprensibile essendo un film indipendente ma ciò non toglie a questo il suo significato anzi le immagini potrebbero passare in secondo piano sentendo solo i dialoghi e monologhi che spesso parlano da soli.

  27. Dopo un quarto d’ora ho visualizzato nella mia testa il ragioner Ugo che gridava alla cagata pazzesca, ma la cosa che mi ha raggelata definitivamente è stata sentire il protagonista lanciarsi in una filippica contro il marketing dell’immagine. Non riesco a levarmi dalla testa Adrien Brody che sfila per Prada (e credo ci sia stata anche una campagna pubblicitaria.)
    Scusatemi.

  28. Beh, romano per romano ( l’hai voluto tu Christian coll’H…)
    “Capì poco va bene, ma non capì un cazzo è brutto…”

  29. Scusami, premettendo che non comprendo come a una persona talmente superficiale e frivola possa venire in mente di scrivere recensioni, ma, se proprio hai la necessità di elargire i tuoi commenti insignificanti, sappi che non hai capito un cazzo. L’unica cosa che mi dispiace è che tu stia menando merda su uno dei pochi film originali che ci sono in circolazione ( imperfezioni di sceneggiatura e pesantezza a parte) al posto di soffermarti un attimo sul suo reale significato. Mi dispiace anche della gente che come pecore si accoda a questo marketing di ignoranza e banalità.

  30. Voglio pensare che tu abbia visto un film diverso da quello che ho visto io per sfoderare un simile disprezzo.
    Sicuramente non sono colta e fenomena come te ma ho trovato Il distacco un film profondo e bello… Poi, se per fare gli intellettuali bisogna tirare merda su tutto, capisco il tuo ruolo.

  31. Ho visto il film questa sera e cercando recensioni sul web ho trovato questa. Non so chi sia questo Raimo, ma mi sa tanto che sia il Ferrara delle recensioni cinematografiche, ossia uno che per la pagnotta deve dire per forza il contrario anche di ciò che è ovvio. Dura sbarcare il lunario, eh? Oppure fin troppo facile, dipende dal senso di onestà, dagli scrupoli che ciascuno di noi ha (o non ha, vero Raimo?). Fai abbastanza pena, lasciatelo dire. Oppure sei un poveretto che ha veramente bisogno di andare a scuola, più dei ragazzi derelitti del film.

  32. Concordo in pieno con Giovanni e con quelli che hanno apprezzato questo film. A me è piaciuto, e’ un film che fa riflettere, non mi è sembrato esagerato nei toni e non credo sia così lontano da certe realtà scolastiche (e non), soprattutto negli Stati Uniti… E Adrien Brody e’ bravissimo nel suo ruolo, come pure tutti gli altri attori…

  33. Ho visto il film due anni fa; In Italia lo vedete oggi?
    Ma gia’ questo spiega molto -di uno sfasamento temporale, attitudinale, culturale-
    Ho potuto vederlo appena uscito. In lingua originale rende un po’ meglio, ma puzza di fuffa lo stesso.
    Troppe disgrazie; troppi disgraziati, con la disgrazia finale, attuata della poveretta sovrappeso che e’ un po’ troppo “fantascientificamente elaborata”.
    Due anni fa sono tornato in Italia: il nostro Paese assomigliava all’assurdo del film (e anche alla bruttezza del film), ma ancora -in sePaese- non era propriamente un film.
    Sono tornato questa estate e l’Italia ha superato il film che critichiamo…
    Impressionante perche’ rapido decadimento e conforme all’americanismo piu’ triviale. Spaventoso: un film assurdo che dipinge -assurdamente- l’assurdo degli americani (ma quelli sono americani) che poi si innesta
    -de facto fenomenologicamente- in un Paese che in qualche modo si imparenta all’assurdo e si -distacca- dalla realta’.
    Piu’ brutto e’ questo film e piu’ aderisce all’attualita’ di cio’ che ho veduto in Italia (scuola; cultura; lavoro; enti pubblici; giustizia; politica; religione; societa’; media; criminalita’; rapporti con il mondo…tutto). Ecco perche’ piace. Molti, e non solo alcuni, in Italia oramai ci si riconoscono.
    -The detachment- e’ un altro fenomeno: quello che vive chi sta fuori dall’Italia.
    Chi sta dento non ha distacco, vive tutto in prima persona e non si accorge piu’ di nulla.
    Come fa il pubblico a comprendere l’assurdita’ e la bruttezza di questo film…Dato che quello che vive nel suo quotidiano e’ pari, se non superiore alla bruttezza e follia di questa sceneggiatura?

  34. il commento di raimo mi ha fatto piegare in due dalle risate, n’antro pò me strozzo, come non essere d’ accordo?
    in effetti il film non resterà nella storia del cinema, ma io ho un debole per Samy Gayle e sono pronto a sorbirmi qualsiasi cosa in cui reciti.
    spero di farmi altre due risate con altri commenti di raimo che ringrazio

  35. QUESTA RECENSIONE è STATA SCRITTA DA UNO CHE DI CINEMA NON CAPISCE UN CAZZO.
    SE DETACHMENT NON TI è PIACIUTO è Perché SEI LIMITATO MENTALMENTE

  36. Tipica recensione del provincialoto coatto italiano che si sbellica alle scoregge di Frank Matano.

  37. Secondo il mio modesto parere non hai e non avete capito una bega del film e quindi cercate in tutti modi di farlo risultare un fallimento, ma i falliti siete voi. Purtroppo peccate anche di mancanza di umiltà sentendovi così in alto da giudicare come avete fatto. Forse la verità è che è troppo profondo per gente superficiale come voi. L’unica cosa che riconosco (come ha già scritto qualcuno) è che il film non ti da una soluzione finale, ma io credo che il fatto sia proprio questo… cioè che una soluzione a tutto ciò non esiste…

  38. Aggiungo inoltre che il protagonista è un attore grandioso…e che se ci guardiamo bene intorno abbiamo esattamente quello che vediamo nel film. Non c’è più umanità (sempre che ci sia mai stata), la gente pensa solo a sé, troppa indifferenza per ciò che ci succede attorno e anche vicino a noi. Non ci sono valori, non ci sono sentimenti profondi. Non c’è rispetto. Questa è la realtà. La vita è comunque bellissima eh, però bisogna saper vedere anche come stanno le cose nel mondo.

  39. Io ho visto il film solo oggi, beh…non mi ero persa nulla.
    L’analisi di Raimo non fa una piega onestamente.
    Film paraculo e inutile sotto ogni punto di vista.

  40. “THE DETACHMENT, OSSIA IL DISTACCO DELLA CORTECCIA FRONTALE CHE TI AUSPICHI DOPO VENTI MINUTI CHE SEI ENTRATO IN SALA”

    CHE TI AUSPICHI? CHE TI AUSPICHI? MA CHE CAZZO DI LINGUA PARLA RAIMO?

  41. “Ogni opera anche la più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio”

    Personalmente non ho visto il film completo, ho visto solo i pezzi che girano qua e là su internet.
    A pensarci bene, in nessun caso ho sentito pronunciare dalla bocca dei personaggi verità sconvolgenti, o descrivere realtà ispirate. Riflettevo comunque sul fatto che se quello che questo film comunica fosse così scontato e alla portata di tutti noi, allo stesso modo, non ci sarebbe stato bisogno di farci un film e sopratutto il film non avrebbe ottenuto tutti i consensi che invece ha evidentemente ottenuto.
    Comunque questi sono pensieri scoordinati di una persona come me che non fa nella vita il critico cinematografico, quindi perdonatemi per le banalità gratuite 😃

    La cosa che però mi fa veramente riflettere, rivolta ad alcuni commenti letti, è:
    Raimo esprime liberamente il suo punto di vista senza presunzione profetica.
    Bene!
    A questo punto ci si appetterebbe un dibattito incentrato sui contenuti. Opinioni diverse che si confutano arricchendosi l’un l’altra. Tesi diverse sostenute con forte voglia di sostanza.
    Invece no.
    Vedo attuare una strategia infallibile, attualissima ancora oggi che scrivo dal futuro 👽
    Se non riuscite a confutare l’idea fate come vi dico: create un diversivo!
    Attaccate la persona e strappate al collettivo una risata, questo vi permetterà di uscire dal contenuto e rimanere nella forma, così il terreno si spianerà magicamente anche se non hai gli strumenti per affrontarlo. 😌 Funziona sempre credimi! 😉
    Morale della favola.
    Alla fine il film lo vedrò, anche se in ritardo per farmi comunque un’idea tutta mia! Confutare un’opinione è sempre più faticoso che ridicolizzare chi la esprime, però credetemi: da soddisfazione! 🤩
    Ringrazio comunque questa divertente discussione per avermi fatto tornare in mente Ratatuille: “Ogni opera anche la più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio”

  42. La logica di questa recensione è piuttosto curiosa.
    Seguendone coerentemente il filo dovremmo sostenere che pure l’Edipo Re era una cagata pazzesca in quanto non puoi mica fare una sceneggiatura in cui uno ammazza per sfiga il padre e poi, sempre per sfiga, si tromba pure la madre. Possibile che Edipo non sparasse mai e poi mai manco una cazza?
    Ma che realismo è?

  43. Christian Raimo chiedi a Verdone se ti fa fare la continuazione di Un sacco bello…come comparsa però..

  44. Post vecchi di anni (cioè, chi se lo ricordava Detachment?) resuscitati per dare addosso a Christian Raimo. L’odio che quell’uomo s’è guadagnato – in genere da parte di gente peggiore o almeno non migliore di lui, a giudicare dai loro commenti – è abbastanza sconcertante. Immagino uno debba essere romano per capirlo, perché l’impressione è che sia una cosa nata e cresciuta rigorosamente dentro il Grande Raccordo Anulare.

  45. @ Ficara

    No, anche fuori. (Anche se odio mi sembra eccessivo. Insofferenza?) Invece di sconcertarti prova a chiederti il perché.

    (Commenti a post vecchi di anni sono prassi normale in rete, mi pare)

  46. @ Grammann

    Insomma. Un tempo nei blog e siti letterario-culturali, non solo su Minima, erano normali i dibattiti sotto gli articoli subito dopo l’uscita mentre ora, di solito, le sezioni commenti fanno venire in mente le palle d’erba che rotolano nel deserto nei vecchi film western. Che poi ogni tanto spuntino questi commenti a distanza di anni da parte di gente che non è in grado di stabilire quando sia stato pubblicato un articolo sì, è prassi normale ma mi pare abbastanza desolante.
    Quando all”insofferenza’ per Raimo sarà anche in qualche modo giustificata – a pelle non ispira simpatia neppure a me – ma qui dalla provincia profonda l’impressione è di un sottoprodotto del calzone ripieno andato a male del circuito letterario romano, che non dipenda da quel che dice (potrebbe dire l’esatto contrario e le stesse persone lo attaccherebbero lo stesso) e che gli hater di Raimo non siano in alcun modo migliori di lui, solo meno fortunati.

  47. @ Ficara

    Il bello dei blog e delle riviste on line è che i vecchi articoli non finiscono al macero o nella migliore delle ipotesi in uno scatolone in soffitta, ma navigando ci capiti sopra anche dopo anni e, se ti interessa o se hai voglia, commenti. Non ci vedo né palle d’erba né alcunché di desolante – anzi, il segno che certi argomenti sono interessanti anche dopo anni. A volte sono argomenti frivoli, ad esempio la conoscenza approssimativa della lingua italiana da parte di Raimo, ma che vuoi, non sempre ci si può sollevare al livello dei massimi sistemi.
    Non conosco il circuito letterario romano. A me di Raimo danno proprio fastidio le cose che dice e come le dice. La grande fuffa. Naturalmente potrei fregarmene. Tutti potremmo fregarcene di tutto, così non si porrebbe neanche il problema dei commenti – vecchi e nuovi.

  48. “Se ti è piaciuto questo film non capisci un cazzo”
    è la cosa più triste e deprimente del mondo del cinema, dell’arte. Siamo 7 miliardi e la nostra intelligenza viene determinata da UN singolo che ci dice cosa ci deve emozionare nell’arte (cinema, teatro, musica)?
    Ma per favore.
    Il film non l’ho mai visto e fanc*** me lo guardo apposta.

  49. Complimenti per la raffica di sarcasmo. Ma il tuo veleno non nasconde un fatto: hai mancato l’essenza di ‘Detachment’. Tony Kaye ha realizzato un film che non vuole piacere, non vuole accarezzarti il cervello con personaggi sfumati e dialoghi levigati. Vuole urlarti in faccia il dolore, la solitudine, l’impotenza di chi vive e lavora in un sistema educativo al collasso. Quei ragazzi ‘difficili’ non sono cliché: sono urla soffocate di una generazione che cresce ignorata. Quella scuola non è solo un ambiente, è una trincea dove gli adulti, già svuotati dalla vita, cercano di insegnare valori che non riescono nemmeno più a credere. Adrien Brody non è solo un ‘insegnante tristissimo che piange sempre’: è un uomo spezzato che ancora si ostina a tendere una mano. E il suo modo di vivere la vita, quel distacco doloroso che tenta di mantenere, è una difesa, non una posa. Non ha senso dell’umorismo? Certo, perché è un uomo che ha visto troppa sofferenza per scherzare. E la scelta visiva di Kaye, fatta di flashback taglienti, immagini tremolanti, inserti animati, non è ‘cheap’. È l’anatomia della frattura: la frattura di una mente, di un sistema, di un mondo. Quei cartoni sono il riflesso di pensieri che non trovano parole.
    Detachment’ non è ‘realismo scolastico’: è un grido di dolore, è l’ammissione che la cultura, l’educazione, persino la bontà possono sembrare inutili in un mondo che ha già perso l’anima. Ma è anche il disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa, anche solo per un attimo. Puoi chiamarlo moralismo, ma è solo disperata onestà.
    Sai, la tua recensione sembra quella di chi vuole solo dimostrare di avere più spirito critico degli altri, di chi spara su ciò che non capisce per paura di sembrare debole. Ma il cinema non è un esercizio di cinismo. È uno specchio, e a volte quel che vedi ti fa schifo. Forse ‘Detachment’ ti ha fatto schifo perché ti ha costretto a guardare troppo a lungo. A volte il cinema è solo la preghiera di qualcuno che sta affogando e cerca di ricordarti che, anche nel buio più totale, c’è una scintilla da trovare.

    GUARDA MEGLIO LA PROSSIMA…

  50. “Volete scrivere una recensione superficiale e poco seria, che poi la gente vi dice che è profonda e semi-seria come foste uno novello Berchet?” …. e potrei andare avanti così, giocando a fare l’intellettuale che dall’alto della propria sapienza recensisce un prodotto ritenuto “basso” ma poi non si abbassa a prenderlo sul serio. Ma delle due l’una: o questo film è insignificante, noioso e stupido e allora dovrebbe valere l’adagio “non ti curar di lui, ma guarda e passa”, oppure tocca una corda, un nervo scoperto, una cattiva coscienza non ancora ammessa a se stessi e tocca parlarne, con disprezzo. Recensirlo con una recensione che dice, fra le righe “non meritavi una recensione”.
    Non sono tanto i contenuti espressi da Raimo (quali, poi?), ma il metodo: un metodo che si può applicare sempre, a tutti i film, e a tutti gli scritti. Anche a questo mio commento, s’intende, in un processo senza fine il cui unico denominatore comune è il desiderio manifesto di non prendere sul serio l’oggetto del proprio discorso.
    “Volete scrivere una recensione superficiale, che poi la gente vi dice che è profonda?….”.

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Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

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