di Simone Bachechi
Il nuovo romanzo di un grande scrittore, uno amato dal pubblico dei lettori che nel corso degli anni non lo hanno mai abbandonato e le cui opere hanno resistito e resistono alla prova del tempo segna dei nuovi territori, delle nuove mappe e dei nuovi itinerari mentali che grazie a un bravo architetto di storie, e un grande scrittore è anche un grande architetto e topografo, ci guida alla scoperta di qualche nuovo quartiere di una città, o proprio di qualche nuova città, ispirando nuove indagini sulla mente umana e sul desiderio, scoprendo che il desiderio non è solo giovane, delle nuove mappe con le quali capire dove stiamo andando e dove l’autore voglia portarci o semplicemente dove si stia egli stesso dirigendo. È una cosa comune quando ci interroghiamo sul percorso di qualsiasi artista, e che porta a posteriori critici e agiografi di vario genere a suddividerne l’opera in fase 1, fase 2 ed eventuali ulteriori, quando queste non vengano contraddistinte da colori o da fantasiosi e diversificati appellativi. La stessa cosa accade per esempio anche ai gruppi rock. Where do we go from here? cantavano i Radiohead in The Bends, brano dell’album eponimo del 1995 della band capitanata da Thom Yorke. La domanda che il frontman del gruppo di Oxford si poneva nel brano nasceva nella fattispecie dal senso di spaesamento e angoscia circa il nuovo percorso umano e artistico della band che aveva raggiunto un inaspettato successo. Analogamente potremmo domandarci dove stia andando Ian McEwan, il celebrato scrittore inglese di Aldershot che oggi vive a Oxford (anche lui). Alla veneranda età di 75 anni Ian McEwan non è certamente agli albori del successo come i Radiohead del 1995, ma la domanda potrebbe in ogni caso essergli posta: Where do YOU go from here?
La sua ultima fatica letteraria è una sorta di romanzo-mondo nel quale la storia di tre quarti di un secolo si interseca ai destini individuali dei protagonisti sui quali svetta la figura di Roland Baines, nato nel 1948 (come Ian McEwan), il quale si prende il palcoscenico di Lezioni (Einaudi 2023, pag 563 euro 23,00), traduzione per noi di Susanna Basso, come per gran parte delle opere dello scrittore inglese. Quindi, dove andrà Ian McEwan da qui in avanti? Dopo un’opera cioè che ha la forma e la sostanza di un testamento letterario, con la sua scrittura di «una sontuosa razionalità a sangue caldo» (dal romanzo), che ha il sapore di una sua (di McEwan) confessione; le cronache letterarie dicono che Lezioni sia ricco di riferimenti autobiografici anche se in tal senso dovremmo affidarci a ciò che l’autore all’interno dello stesso teorizza tramite la voce di Alissa, la moglie di Roland, la quale ha abbandonato marito e figlio in tenera età per inseguire il successo letterario che infatti le arriderà consacrandola come «la più grande scrittrice europea»: «Devo proprio darti una lezione su come si legge un libro? Tutto quello che so, tutti quelli che ho conosciuto – tutto quello che è mio, mescolato con quello che invento».
Sta forse McEwan dirigendosi verso il Nobel sul quale del resto si vocifera da anni? Nobel che naturalmente non vincerà, come il suo amico Philip Roth, con buona pace dei loro lettori che continueranno nonostante ciò a leggere e rileggere le loro opere, in questo modo diffondendole, tramandandole e dando loro in questo modo il giusto tributo. Qualunque sia la direzione intrapresa dall’autore, questo suo ultimo romanzo si colloca di diritto fra i più importanti, significativi, onnicomprensivi degli ultimi anni, e si può azzardare di questo primo squarcio di secolo. Anche affibbiare aggettivi a dei libri o stilare delle classifiche può essere considerata una mappa per dei giudizi che come sempre non prescinderanno dalla molteplicità delle sensibilità personali. La magniloquenza retorica che può essere utilizzata per classificare un romanzo come Lezioni seguirà quindi inevitabilmente queste stesse coordinate e trova in questo caso, cioè nel caso di chi scrive giustificazione nella forma e nei contenuti del libro, nel valore estrinseco e stilistico del romanzo di McEwan, una lezione quasi “nabokoviana” assimilata evidentemente al meglio dallo scrittore inglese, e non è forse un caso che Lezioni per alcune tematiche possa essere accostato a Lolita, il capolavoro del grande scrittore ed esule russo, tema da approfondire.
Nell’ultimo romanzo di McEwan, la storia, la grande storia del secolo scorso è l’indiscussa protagonista, il grande mare o liquido amniotico che tutto contiene, fra cui i maggiori e minori protagonisti del libro, con su tutti Roland Baines, alter ego di McEwan? Il tempo del romanzo inizia con sullo sfondo il secondo conflitto mondiale, l’immediato dopoguerra che segna la nascita del protagonista e i suoi primi undici anni di vita in Libia a fianco della madre Rosalind e del padre, un autoritario capitano veterano di guerra allora di stanza in Nord Africa. Il suo percorso è punteggiato dai grandi eventi collettivi del secondo Novecento, dalla guerra fredda con l’incombente minaccia nucleare alla crisi dei missili a Cuba, dal disastro di Chernobyl alla caduta del muro di Berlino, dalla guerra nei Balcani all’11 settembre 2001 fino ad arrivare a ridosso del presente e alla più prossima attualità con la Brexit e la recente pandemia e post-pandemia. Come già avvenuto in molti altri romanzi di Ian McAbre, nomignolo affibbiatogli in ambiente critico agli inizi della sua parabola letteraria per il suo scandagliare l’anima oscura, le ossessioni e le meschinità dell’essere umano, anche in questo caso macrocosmo e microcosmo si intersecano e si contaminano. In romanzi come Miele (2012) sono i servizi britannici e i programmi di spionaggio in chiave antisovietica, in Solar (2010) la storia che ci riguarda e ci contiene è esplicitata dall’incarico del protagonista circa un rivoluzionario metodo per combattere il riscaldamento globale e risolvere i problemi energetici del pianeta, in Sabato (2005) lo sfondo sono i tragici eventi del 11 settembre 2001 e la successiva invasione dell’Iraq, in Cani neri (1992) l’ambientazione è la Londra degli anni Quaranta e la fede e successiva disillusione nell’ideale comunista ad andare di pari passo con la fine della storia d’ amore dei due protagonisti, in Lettera a Berlino (1990) è il 1955 e il tempo della guerra fredda e delle spie a fare da sfondo a una struggente storia d’amore e a un viaggio metaforico negli abissi dell’esistenza.
In questo breve e sintetico viaggio a ritroso nella bibliografia di McEwan non possono mancare riferimenti a opere più recenti quali Lo Scarafaggio (2019), una dissacrante e caustica satira in tempi di Brexit che trae ispirazione dal celebre personaggio de La Metamorfosi di Franz Kafka e a Macchine come me (2019), una distopia che immagina il 1982 della guerra delle Falklands in un modo alternativo e che costituisce una drammatica e profonda riflessione sull’intelligenza artificiale.
Con Lezioni sembra che il bisogno di McEwan di incastonare i protagonisti nella grande storia recente obbedisca al progetto di un disegno definitivo, ampio, onnicomprensivo riguardo alla ricapitolazione della Storia collettiva e all’essenza stessa dell’essere umano, con le sue aspirazioni, fallimenti, gioie, cadute e risalite. Macrocosmo e microcosmo, dimensione collettiva e individuale si sovrappongono grazie alla calibrata perfezione stilistica che integra i due piani come in una corposa ed elegante sinfonia o in un brano dei Beatles, nei quali l’armonia si lega in modo perfettamente coeso e quasi magico alla melodia.
La capacità di McEwan di giocare sullo scarto tra dimensione individuale e collettiva si esplica in Lezioni semplicemente (si fa per dire) e “magicamente” nel percorso di vita di Roland Baines, perché in ultima analisi questo bellissimo romanzo potrebbe avere come sottotitolo Biografia di Roland Baines.
Chi è Roland Baines veramente? Quale è il giudizio che i lettori potranno dare di lui? Quali e quante sono queste lezioni di cui al titolo? Un romanzo degno di questo nome, come ogni opera d’arte pone delle domande, spesso inevase, è un’arte ancella di un “pensiero debole”, “socratico” non come la scienza sulla quale in un inciso del romanzo la voce narrante si sofferma stigmatizzandola, eppure questa debolezza è ciò che più ci contraddistingue, ci qualifica e ci interroga, ed è in questo modo interrogativo e apertura che un romanzo (degno di questo nome) mostra la sua grandezza e potenza ineguagliabile nel rappresentare le umane vicende.
Roland Baines è un uomo di una ordinarietà e mediocrità sorprendente, eppure riesce a risplendere ed affascinare perché anche la mediocrità, la radice della cui parola sta in “medio” ha il suo splendore, forse molto più delle vite straordinarie, perché è quella cosa che in fondo ci accomuna tutti e nella quale riconosciamo noi stessi e i nostri simili, come in Fantozzi, anche se nel caso di Roland Baines non con gli stessi effetti tragicomici dell’antieroe del celebre personaggio al quale ha dato vita Paolo Villaggio. Per restare in ambito letterario Roland Baines può essere accostato al William Stoner del romanzo di John Williams, una vita minima, in fondo un po’ noiosa e triste, tratteggiata anche in questo caso in modo radioso grazie alla lucente suggestione dello stile del suo autore. Roland può anche essere paragonato all’uomo senza qualità musiliano, non a caso il capolavoro dello scrittore austriaco è citato nel romanzo di McEwan nel quale i riferimenti e le citazioni letterarie abbondano, quanta letteratura c’è in queste lezioni! Il romanzo è infatti anche un discorso del suo autore sull’amata letteratura. La moglie di Roland, Alissa, alter ego femminile di McEwan è una scrittrice di successo e diventerà tale per effetto della sua presa di coraggio e conseguente rinuncia a una scialba vita matrimoniale che la porterà ad abbandonare marito e figlio di tre anni. Un rovesciamento dello stereotipo femminile, non l’unico, che può fare accostare la Alissa del romanzo a una vera scrittrice, la Doris Lessing che analogamente troncherà il matrimonio abbandonando marito e figli e dedicandosi a tempo pieno alla letteratura, mettendo in pratica «quel genere di stato tremendo che molte donne si limitano a sognare» (dal romanzo di McEwan).
Un’altra donna, Jane, la madre di Alissa è anch’essa un’aspirante scrittrice, come Roland del resto il quale fa i conti con le sue frustrate velleità poetiche che naufragano e si concretizzano nel suo diventare per parte della sua esistenza scrittore di biglietti per ricorrenze, come allo stesso modo le sue aspirazioni di diventare un famoso pianista concertista sfociano in una più prosaica attività di esecutore da pianobar in un lussuoso albergo di Londra, senza tacere il suo non essere diventato un campione di tennis. È una caratteristica del romanzo che i suoi protagonisti facciano i conti con le frustrate aspettative di diventare immortali con la scrittura o altro, innescando un’implicita riflessione sul fallimento e le speranze tradite. L’altro aspetto del sovvertimento dello stereotipo femminile è l’abuso che Roland subisce in età prepuberale da parte della sua insegnante di pianoforte al collegio, eventi e conseguente relazione che gli impediranno di continuare gli studi e alimentare quel talento che da promessa della musica classica avrebbe potuto portarlo al successo e che innescano in Roland la classica Sindrome di Stoccolma che scandirà il tempo del romanzo e lo svolgersi esteriore e interiore nella vita del protagonista. Drammaticamente comune è diventato parlare di abusi di un uomo su una donna, meno è farlo di una donna su un uomo, un poco più che bambino in questo caso, senza pruderie e ipocrisie. Il giovane ragazzo diventa vittima inconsapevole e succube della sua insegnante, Miriam Cornell.
L’amore che sconfina nel possesso, nel predominio, nella follia, nel perturbante rimanda a precedenti opere di McEwan quali Cortesie per gli ospiti e L’amore fatale. Il sovvertitore, il Ian McAbre che abbiamo conosciuto in tanti altri romanzi, in Lezioni si esplicita in questo modo: rovesciando lo stereotipo, mostrando la faccia oscura della realtà, l’ipocrisia e il buonismo di facciata. Nel romanzo l’agente di polizia al quale Roland si era rivolto per la scomparsa della moglie, lo contatta molti anni dopo per sanare e rendere da par suo giustizia a un’infanzia di abusi; si affretta ad affermare che i tempi sono cambiati e c’è attenzione e sensibilità alle tematiche di abuso, quando poi in fondo per Roland quella storia è stata una grande storia di amore, o anche questo. La scabrosità del tema ricorda la Lolita di Nabokov a ruoli sessuali invertiti, un riferimento al capolavoro dello scrittore russo che il romanzo di McEwan ha assimilato al meglio come testimonia la magniloquenza dello stile: non un periodo che non sia illuminante e stilisticamente perfetto, non una frase fuori posto, ché forse il segreto di un grande romanziere è solo quello di mettere sulla pagina una frase bella facendola seguire da una ancora più bella, con alcune vette di magnifica potenza in scene destinate a rimanere difficili da dimenticare come in tutti i romanzi che si rispettino, nel caso di Lezioni cose come come il rogo di libri che mette in atto Roland a seguito della sua interruzione del rapporto con l’insegnante di pianoforte e all’abbandono della scuola, con lo stesso che molti anni dopo a Berlino cerca e intravede la moglie fuggita nella calca che festeggia la caduta del muro.
La lezione stilistica che dà Lezioni è quella che avvalora la convinzione che il romanzo sia la forma artistica che a tutt’oggi rimane quella maggiormente in grado di rappresentare la società e ciò che si agita nelle coscienze umane, con la forza della memoria, in un racconto quasi proustiano, il continuo salto avanti e indietro nel tempo della narrazione è un marchio di fabbrica di McEwan come testimonia al meglio uno dei suoi capolavori come Bambini nel tempo. Lo stesso accade in Lezioni che la posterità, il tempo (sempre lui) e l’esercizio di memoria della sua lettura dirà se esserlo altrettanto, nel quale la riflessione esistenziale e le domande con o senza risposta si dipanano tramite la voce e nei dialoghi del e dei protagonisti lungo tre generazioni. È un dato di fatto che arrivati a una certa età si faccia un bilancio della propria vita, ed è allora forse che si comincia davvero a morire, e Roland si domanda cosa sia stata la sua di vita: «Dunque, la sua vita era un succedersi di decisioni corrette? Chiaramente no». Arriverà persino a redigere un diario, un’esigenza che si fonda proprio sul bisogno di dare dei punti fermi al fluire della vita e a ciò che è stato, con l’evidenza di non essere diventato il grande scrittore che avrebbe voluto essere (altra lezione) come invece accaduto alla moglie fuggitiva Alissa e in parte alla di lei madre Jane: «Succedeva lo stesso nella prosa di Alissa. Là dove lui si limitava a registrare esperienza, madre e figlia le facevano rivivere». Una sentenza che in ogni caso non gli impedisce di realizzare che: «Nessuno, uomo o donna che fosse, si prendeva la briga nei suoi scritti, o così la pensava Roland allora, di farsi qualche domanda sul mistero dell’esistenza o sulla paura di quel che l’avrebbe seguito».
Quante e a cosa sono servite le lezioni a Roland Baines? Difficile rispondere. Forse lo si può fare, come nel caso di ognuno di noi, solo con l’esteriorità. Nel caso di Roland a suonare il piano negli alberghi di lusso a Londra, a confrontarsi con un figlio di fatto orfano di madre, a fare i conti per una vita con le conseguenze del trauma degli abusi subiti nella preadolescenza, con il non ultimo effetto di non essere riuscito a diventare un celebre pianista, a trovare in età avanzata un nuovo amore che crudelmente gli verrà tolto, ad arrivare all’incontro con un fratello sconosciuto, a scoprire la bellezza e tenerezza di essere nonno e farsi guidare dalla nipote, a provare in ogni caso a prendere in mano la propria esistenza: «Ecco come ci si può mettere con successo alla guida della propria vita, pensò Roland, facendo una scelta, imparando ad agire! Era questa la lezione», a perdonarsi e perdonare, forse con la consapevolezza che certe cose non si risolvono, e più ci ostiniamo contro il fato avverso più saremo destinati a soffrire, certe cose ce le porteremo fino alla tomba, fanno parte nostro bagaglio e quindi della nostra ricchezza, senza che a queste dobbiamo permettere di schiacciarci. Le lezioni del romanzo di McEwan e quelle che il suo protagonista ha interiorizzato sono quelle di una vita, per Roland come per ognuno di noi, piccole sentenze, profonde e drammatiche, come quella che Ronald propina ad Alissa spiegandole il motivo di aver abbandonato lui e il bambino: «Tu volevi innamorarti, volevi sposarti, volevi avere un bambino, e hai avuto tutto quanto. Poi hai voluto un’altra cosa», chiosando in un passaggio successivo circa il suo voler «vedere il mondo come per la prima volta» che è quanto di più letterario vi possa essere.
Se Roland Baines riuscirà a rimanere nella mente di chi leggerà la sua storia e le sue lezioni sarà perché da queste ne è nato un romanzo bellissimo su cosa significa essere umani, scoprendo che Roland Baines nel bene e nel male è un po’ ognuno di noi, uomini e donne indistintamente.
Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente

Bellissima recensione che mi da ulteriori apprezzamenti del bellissimo libro di Ian McEwan.
Libro che ho faticato ad apprezzare all’inizio, ma che piano piano ha fatto breccia in me: Roland Baines è un po’ tutti noi, ma non ce ne accorgiamo che alla fine, dopo aver invano atteso un primo posto nella hit-parade del successo. E lo amiamo, come cominciamo ad amare insieme a lui, le nostre inadeguatezze e le risibili speranze di sopravvivenza alle mediocrità.
Un romanzo che lascia storditi, da tanto è vicino all’esperienza di vita di ognuno di noi. Anche se non ci siamo sposati due volte, non abbiamo visto con i nostri occhi fatti d’importanza storica, non abbiamo avuto o non abbiamo famiglie allargate. L’esperienza di Roland Baines non é forse proprio da “uomo comune “, no. Ma lo è il suo approccio alla vita, l’essere così esposto agli eventi. Questo è che accomuna il protagonista al lettore. E il dipanarsi degli eventi narrati Mc Ewan li rende così mirabilmente e tragicamente ineluttabili nel suo carico di delusioni e speranze che quando si chiude il libro si deve necessariamente prendersi del tempo per elaborare,digerire e superare quanto letto, prima di dedicarsi a qualunque altra occupazione.
L’ho appena finito e trovo illuminante il commento di Sergio: un uomo comune che vive esperienze non comuni. Non ci avevo pensato ma è proprio questa la cifra del romanzo, la sua novità nel panorama narrativo di McEwan. Altrove lo scrittore inglese mette in scena situazioni paradossali, prove terribili, individui posseduti, instabili o addirittura demoniaci alle prese con situazioni altrettanto anomale. Forse qui è la prima volta che il protagonista è un «uomo senza qualità» (non per caso il romanzo di Musil è esplicitamente evocato). Ne esce una tinta nuova, a un primo sguardo meno seducente rispetto ad altri meccanismi narrativi in cui rifulge l’acuminata intelligenza dell’autore ma alla fine di un’umanità straziante. Roland Baines è il primo uomo mite di McEwan: alla fine non denuncia la maestra di piano, perdona la moglie che lo ha abbandonato, solidarizza col fratello che aveva mai saputo di avere, assiste fino alla morte la ex amica con cui voleva trascorrere i suoi ultimi anni, è un padre integro e amorevole. E per la prima volta McEwan sembra dirci che la mitezza, nel tragico secolo che fa da sfondo alla vicenda, è un grande valore.
La vita, a volte, è faticosa. Ma non per questo meno sorprendente e meritevole di essere vissuta.
Il mondo è egoista, anche il mondo femminile dove te lo aspetti di meno. Accettare, perdonare e perdonarsi, non necessariamente nel senso religioso, forse è la soluzione più matura.
Libro molto intenso. McEwan ispirato.
Io non saprei se l’intento di McEwan fosse proprio quello di scrivere un libro-mondo come è stato detto nei commenti precedenti. Fatto sta che a scrivere un libro di tal fatta si corrono sempre parecchi rischi. Io apprezzo molto le narrazioni di Mc Ewan , amo i suoi libri, alcuni dei quali li conservo come reliquie nell’ambito dei libri che più ho apprezzato da lettrice di lungo corso. però devo dire che questo libro non mi convince. Se rappresentare un uomo qualunque privo di grandi pregi e di altrettanti difetti , in questo caso Roland Baines, significa raccontarne la storia particolareggiatissima attraverso trances de vie dei suoi antenati , dei suoi amici, della moglie che poi lo abbandonerà, muovendosi tra analessi e prolessi per conferire dinamicità al testo, inserendo poi per tratti molto lunghi , certo documentatissimi, della Storia della seconda metà del novecento, significa architettare un grande romanzo-mondo, mi sembra che Mc Ewan in questo caso sia andato un po’ sopra le righe. A me è sembrato che , in questo romanzo, non sia la narrazione dei fatti occorsi ai personaggi a sostenere e giustificare il racconto della storia generale, quanto invece la voglia di raccontare questa parte di storia che coincide con quanto accaduto nel corso della vita dello stesso autore. Quasi che fosse per lui urgente parlare dei fatti che hanno trasformato l’assetto dell’Europa e degli altri continenti, analizzarli e valutarli attraverso il punto di vista del personaggio Roland Baines il cui punto di vista prevale su quello di tutti. E questo mi ha portato a non entusiasmarmi nella lettura a non riuscire a seguire bene tutti i personaggi, quegli stessi personaggi che , nelle altre sue opere, sono scavati fino in fondo e offerti al lettore a tutto tondo. Mi sembra che la giustapposizione fatta nelle precedenti recensioni con Stoner di o , addirittura, con L’uomo senza qualità di Musil, non regga bene. Nei libri-mondo che ho letto finora, mi è sembrato di potere seguire i personaggi -tutti i personaggi- nel loro agire, riuscendo ad intravvedere le ragioni e le conseguenze nel loro farsi mentre nello sfondo scorre la Storia che si interseca con la storia personale di ciascuno di loro. Così non mi è parso che avvenga in “Lezioni”, naturalmente al netto della scrittura sempre precisa e puntuale come di norma avviene in tutti i precedenti romanzi di Mc Ewan. Come mi sembra, ad esempio, sia avvenuto in Chesil Beach – giusto per citarne uno- dove in primo piano si situa il disagio dei protagonisti di fronte alla grande trasformazione sociale, economica, sessuale, in atto alla fine degli anni sessanta.