Questo articolo è uscito su Repubblica in versione leggermente ridotta
Capita che quando parlo di pornografia, anche con gente colta, disinibita, femministe, intellettuali, persone di vedute ampissime, c’è sempre chi senza falsi pudori mi dice che, a trenta, quaranta, cinquant’anni, non ha mai visto un video porno in vita sua. Se pongo la stessa questione in classe – insegno in un trienno di un liceo – la reazione è rovesciata: una risatina d’imbarazzo e una sbruffoneria, però non c’è mai nessuno che si ritragga scusandosi perché non si sa di che cosa si tratta.
Ma non è che io abbia amici particolari né studenti speciali, il mio osservatorio non è per nulla privilegiato, faccio parte dello standard – me ne ha dato conferma Ilaria Bonato, che l’anno scorso ha realizzato una ricerca nelle scuole della provincia di Bologna, intervistando sul tema della pornografia 600 ragazzi di terze medie e prime superiori (età media: 14/15 anni) e il principale dato che ne ha ricavato è già molto significativo: solo tre persone del campione non guardavano porno on-line. Lo 0,5%. Per il resto: molti hanno dichiarato di mandarsi foto intime col cellulare (il sexting), anche se la maggior parte degli intervistati non ha saputo cosa rispondere sul problema dell’adescamento da parte degli adulti (il grooming). Il 70% non sapeva cosa pensare nei casi di cyberbullismo (un compagno manda in giro delle nostre foto intime), mentre non pochissimi hanno risposto di essere stati coinvolti nella compravendita di immagini porno.
La riflessione su questi e altri interessanti, per molti versi inquietanti, dati Bonato l’ha affidata all’ultimo numero di Hamelin, una rivista bolognese, una delle riviste più belle d’Italia, che si occupa in genere di letteratura per ragazzi, che a ogni uscita riesce attraverso questa lente a entrare nel vivo delle più cruciali questioni sociali che attraversano l’Italia, e che qualche mese appena realizzato un numero intero dedicato all’argomento: la sessualità dei ragazzi e come se ne parla, tra amici, su internet, in tv, nei romanzi, nei fumetti…
Leggersi questo numero di Hamelin, il 34esimo, è come navigare in mare aperto. Perché se è vero che l’interrogativo è ineludibile – e lo sa qualunque genitore che abbia dei figli dai dieci (otto? sei?) anni in su -, è vero anche che la sessualità infantile e adolescenziale è ancora – dopo più di un secolo di psicanalisi – un territorio inesplorato, minaccioso, non solo per adulti inesperti, ma anche per i media: “dei bambini e persino dei pre-adolescenti si conserva perlopiù un’immagine candida e celestiale che, tempo il passaggio a una compiuta adolescenza, è irrimediabilmente trasformata nel suo esatto contrario”.
A poco valgono le ricerche militanti di una Loredana Lipperini (Dalla parte delle bambine) di un Joel Bakan (Assalto all’infanzia) o da ultimo di Stefano Laffi (La congiura contro i giovani), capaci di svelarci un universo fatto di minori perversamente adultizzati – nei consumi, e quindi nelle relazioni, e quindi nella sessualità. Dalla parte degli educatori si avanza a tentoni: non solo la famiglia, ma la scuola o l’editoria, come si devono comportare? Come possono reagire al fatto che la pornografia rappresenta in questo momento la modalità principale di educazione sessuale?
Se penso alla mia generazione (40enni) che è ha formato il proprio desiderio sull’immaginazione, i ragazzi e i bambini di oggi partono dalla situazione opposta, la saturazione dell’immaginario: come capire qual è il mio desiderio dopo che ho visto la mia più sterminata gamma di scelte possibile (un sito porno ha una media di settanta categorie, da Milf a Interracial)? I ragazzi possono essere aiutati a capire come funziona la loro sessualità dalla pornografia? Serve a liberarli dalle inibizioni, legittimando di fatto ogni orientamento e ogni pratica sessuale? Bisogna essere tolleranti o anche aperti oppure bisogna stigmatizzarla, in quanto in genere mostra un erotismo conformista, consumista e sessista (la maggior parte dei video di uno youporn durano una manciata di minuti e finiscono l’orgasmo maschile)?
L’impasse insomma è reale, e duplice. Se laboratori sull’educazione di genere sono stati sempre sporadici, affidati alle energie dei singoli, se anche la questione dell’educazione sessuale tout-court a scuola non è mai stata affrontata in modo sistematico (nonostante le indicazioni recenti dell’Organizzazione mondiale della Sanità); per quanto riguarda i libri c’è ancora più confusione. I tentativi raccontati da Hamelin sono, prevedibilmente, quasi tutti problematici. Quei testi che hanno uno scopo didattico, roba come C’è un bambino nella pancia della mamma? o E ora parliamo di sesso, vengono analizzati per farne uscir fuori un case-study di una ventina di titoli recenti: con cosa abbiamo a che fare? in genere troviamo pagine molto caste, spesso piene di eufemismi e metafore viete: “Molto di rado è illustrata una penetrazione, o due corpi complici o innamorati che fanno l’amore, o un’eiaculazione”. La paura paradossale sembra quella di risultare pornografici con dei ragazzi che però sanno benissimo la differenza tra un bukkake e un threesome.
Dall’altra parte, c’è la letteratura. In Inghilterra nel 2013 è nato un dibattito sui giornali: Malorie Blackman e Philip Pullman, due scrittori, sul Daily Telegraph e in un programma radiofonico, Today – si sono dichiarati a favore di una maggiore presenza del sesso nella narrativa per ragazzi – meglio conoscere il sesso nelle pagine di un romanzo che in video porno, no? Meglio Lady Chatterley che redtube? C’è da dire che qualche romanziere c’ha provato in questi ultimi anni. Non soltanto il caso editoriale The Vincent Boys di Abbi Glines o simili, esperimenti che vogliono ricalcare in minore il successo delle Cinquanta sfumature, una grande quantità di proposte cosiddette “steamy”: romanzi ammiccanti, soft-core, per adolescenti smaliziati; ma anche libri che hanno azzardato a essere seminali, traducendo in storie credibili grandi astrazioni teoriche sulla pedagogia sessuale; l’esempio più citato è quello di Melvin Burgess, che nel 2005 ha pubblicato Il chiodo fisso. Anche qui tuttavia essere espliciti non è una soluzione e nemmeno una strada in sé: se si elimina il pudore, il rischio può essere quello di venire censurati dagli stessi educatori (lo racconta Nicoletta Gramatteri quando propone a un gruppo di insegnanti di lavorare con i bambini sul testo di Ulf Stark, Il paradiso dei matti, in cui si trovano frasi del tipo “Ero distesa con la testa appoggiata al suo petto, e gli guardavo le dita del piede allargate. Tra un piede e l’altro vedevo il suo pisello che si era rizzato”) o anche di risultare paternalistici, didascalici, insomma di scrivere romanzi edificanti. E che ce ne facciamo di una letteratura edificante?
Di fronte a questa serie di fallimenti, la domanda iniziale viene riformulata: sconfortati dalla nostra incapacità di adulti di rivaleggiare con il porno on-line in tema di racconto del sesso, forse dovremmo semplicemente arrenderci con realismo al fatto che la generazione dei nativi digitali imparerà, sta imparando, a amare e fare sesso, barcamenandosi tra modelli di milioni disponibili di video di rapporti sessuali?
Ci sono però due esempi di critica letteraria – un saggio su Tom Sawyer e un’intervista a Manuele Fior – che riescono a darci un ultimo spunto prima di gettare la spugna: il discorso sul sesso e sulla pornografia, capiamo con gli Hamelin, è fuorviante se non lo si esprime in modo diverso. La nostra difficoltà è più ampia: è quella di raccontare i corpi. E, precisamente, la debolezza dei corpi. Il porno questo non lo mostra, il tabù non sono le scene hard ma la fragilità dei nostri corpi: in una società drogata da ansia di prestazione, avere a cuore questa debolezza può farci solo che bene.
Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo – sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory – ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L’Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

Come si fa a rivaleggiare con il porno online se ci sono genitori che estasiati dall’aspetto angelico dei loro figli nella fascia di età tra 3 e 6 anni, poi rimangono esterrefatti se scoprono che i loro angioletti si strofinano un peluche sull’area genitale? E non solo genitori, ma anche educatori e tutto il resto.
Il libro della Lipperini si chiama “Ancora dalla parte delle bambine”. Perchè “Dalla parte delle bambine” è quello della Belotti.
Articolo molto interessante! le mie impressioni da appassionato del genere..
Il porno è legato alla masturbazione. Non è educazione sentimentale. Non può essere associato alle dobolezze e fragilità dei nostri corpi, perchè non ci si può masturbare sopra debolezze e fragilità: sarebbe un’associazione schifosa. Al massimo è educazione alla meccanica del sesso.
Inoltre il porno fa di tutto (ok non tutto, ma per lo più, basta guardare i video più visti, votati, ecc..) per rendersi irreale: perchè è lontano da quel che ci potrà mai capitare nella vita reale, perchè si presenta tale nei dialoghi, nei corpi degli attori, nelle pose, nelle situazioni, nella “sceneggiatura”, etc.., perchè ricorre spesso all’ironia e alla parodia (ok non un grande umorismo, diciamo un umorismo del c…o, ma pur sempre distanziante), perchè i suoi personaggi sono assurdamente unidimensionali, perchè la meccanicità degli atti sessuali e la loro serialità, sono qualcosa che eccita – rimandando a una sessualità pura spogliata di tutto il resto, solo carne, corpo, piacere, godimento, sudore, sperma, ecc.. orgiastica e liberatoria – ma tiene distanti altre emozioni e limita l’identificazione a non più di quanto si possa identificarsi con Robocop, coi Power Rangers o con Kenshiro e l’Uomo Tigre.. ed è vero che tutti quelli della mia generazione hanno giocato ad essere questi personaggi, ma ben sapendo che era un gioco e senza portare l’imitazione dei loro comportamenti nei rapporti rapporti reali “seri”. Non è casuale che in genere non si immagini la propria fidanzata nelle situazioni estreme in cui immaginiamo e vediamo un’attrice porno. D’altronde ripeto con i porno ci si masturba e la sessualità con sè stessi è prima di tutto immaginazione e fantasia (con la libertà che questo comporta di abbandonarsi ben oltre i limiti che invece rispettiamo convintamente nella realtà), è fondamentalmente diversa da quella con gli altri, tanto che non siamo gelosi se il partner si masturba. Nella situazione autoerotica è sempre e comunque con la propria fantasia e con sè stessi che si ha a che fare. Quindi non credo che un porno abbia più probabilità di portare qualcuno a “fare qualcosa di male che non avrebbe fatto altrimenti” (per es. essere violento-aggressivo verso l’altro sesso) più di quanto possa portarcelo un cartone giapponese anni 80-90 o un libro della Vargas (anche la lettura può avere qualcosa dell’autoerotismo). A una persona dovrebbe mancare quasi del tutto l’esperienza di una vita reale per fare confusione (un bambino appunto). Se si è in grado di distinguere fantasia e realtà (e il porno presentandosi irreale viene incontro) lo si è nel porno come negli altri ambiti. Certo la pornografia è in qualche modo volgare, ma la volgarità è limitata – ancora – dall’irrealtà: anche molti romanzi o fumetti sono volgari o violenti.. Cane mangia cane di Bunker è fra i romanzi più violenti che ho letto ultimamente. Ma si pensi al fenomeno Dylan Dog con le sue scene horror-splatter o a qualsiasi serie manga o Marvel. Se non ci hanno rovinato film e fumetti, non ci rovinerà di più la pornografia, penso.
Segnalo questo sito, http://yourbrainonporn.com/. Con l’esatta amoralità della scienza e una reale conoscenza della materia trattata, mi ha aiutato a capire.
Secondo me spago di sesso e porno e di sesso e porno nella vita reale non c’ha capito nulla. Il suo commento quantomeno è utile, per capire un po’ di cose basta prenderlo e rivoltar completamente di segno le affermazioni che contiene.
Egr Raimo
lei sembrerebbe non essere a conoscenza degli ultimi sviluppi del settore. Negli ultimi 10 anni al porno mainstream dei modelli scolpiti che copulano in apparente assenza di gravità si è affiancato un genere detto amateur o alt porn in cui persone normali, con corpi normali, si producono in acrobazie gravitazionalmente plausibili in ambienti normali quando non quotidiani.
E qui bisognerebbe fare una disamina su certi copriletti e certe tapezzerie che costituiscono la vera essenza porno di questi filmati, ma il punto è un altro.
Questa tendenza ha contribuito a marcare la distinzione tra fiction e non fiction cui peraltro gli adolescenti mi sembrano più avvezzi dei loro genitori che ancora credono nell’ uomo del destino che salverà le sorti della patria.
La diffusione del sexting, in aumento, avvalorerebbe quanto esposto.
È possibile che sia l’ inizio di una rivoluzione dei costumi, come negli anni ’60, ma corroborata dalle immagini, altri 10 anni ancora e magari ci scambieremo cartoline di auguri natalizi dove i riferimenti all’ abbondanza e alla fertilità saranno più espliciti.
Negli USA molte pornostar tengono corsi nelle università su sessualità o copyright o identità di genere, con buona pace di Giovanardi, hanno rubriche fisse su riviste e approfitto per segnalare questo articolo di miss Stoya che sull’ anonimato in rete ha capito molto di più di beppe severgnini, e scrive pure bene:
http://www.nytimes.com/2014/03/09/opinion/sunday/can-we-learn-about-privacy-from-porn-stars.html?smid=tw-share&_r=1
Per quanto riguarda promiscuità e letteratura confesso di aver letto Anais Nin la prima volta a 14 anni e vivo la mia sessualità, e quella degli altri, con estrema disinvoltura.
@ Umberto Equo a parte che di sesso e porno ho una mia esperienza personale che a me suggerisce quel che ho scritto.. colgo il tuo suggerimento.. ci provo:
Il porno non è legato alla masturbazione. È educazione sentimentale. Può essere associato alle debolezze e fragilità dei nostri corpi, perchè ci si può masturbare sopra debolezze e fragilità: non sarebbe un’associazione schifosa. Non è neppure educazione alla meccanica del sesso.
Inoltre il porno fa di tutto (tutto, basta guardare i video più visti, votati, ecc..) per rendersi reale: perchè è vicino a quel che può capitare nella vita reale, perchè si presenta tale nei dialoghi, nei corpi degli attori, nelle pose, nelle situazioni, nella “sceneggiatura”, etc.., perchè non ricorre quasi mai all’ironia e alla parodia (che sarebbe distanziante), perchè i suoi personaggi sono credibilmente pluridimensionali, perchè la creatività degli atti sessuali e la loro unicità in ogni video, sono qualcosa che eccita ma allo stesso tempo conserva la capacità di suscitare tutte le altre emozioni favorendo l’identificazione come se fossimo davanti a persone, situazioni, relazioni reali ben di più di quanto si possa identificarsi con personaggi fantastici quali Robocop, i Power Rangers o Kenshiro e l’Uomo Tigre.. ed è vero che tutti quelli della mia generazione hanno giocato ad essere questi personaggi, ma senza sapere che era un gioco e portando l’imitazione dei loro comportamenti nei rapporti reali “seri”. Non è casuale che in genere si immagini la propria fidanzata nelle situazioni estreme in cui immaginiamo e vediamo un’attrice porno. D’altronde ripeto con i porno non ci si masturba e la sessualità con sè stessi non è prima di tutto immaginazione e fantasia (e questo non comporta la libertà di abbandonarsi ben oltre i limiti che invece rispettiamo convintamente nella realtà), è fondamentalmente identica a quella con gli altri, tanto che siamo gelosi se il partner si masturba. Nella situazione autoerotica non è mai e poi mai con la propria fantasia e con sè stessi che si ha a che fare. Quindi credo che un porno abbia più probabilità di portare qualcuno a “fare qualcosa di male che non avrebbe fatto altrimenti” (per es. essere violento-aggressivo verso l’altro sesso) di quanto possa portarcelo una qualsiasi altra opera di fantasia come un cartone giapponese anni 80-90 o un libro della Vargas (la lettura non può avere qualcosa dell’autoerotismo). A una persona dovrebbe mancare quasi del tutto l’esperienza di una vita reale per non vedere la sovrapposizione porno-realtà (un bambino). Se non si è in grado di distinguere fantasia e realtà (e il porno presentandosi reale non viene incontro) non lo si è nel porno più che negli altri ambiti. La pornografia è tremendamente volgare, e la volgarità è accentuata – ancora – dal realismo. Si pensi al fenomeno Dylan Dog con le sue scene horror-splatter o a qualsiasi serie manga o Marvel. Così come ci hanno rovinato film e fumetti, ci rovinerà di più la pornografia, penso.
Caro Raimo,
la ricerca intende illustrare una tendenza. Il campione è formato da studenti e studentesse (incontrati a scuola dalla ricercatrice, selezionati in base all’età e all’istituto) che hanno accettato di compilare un questionario anonimo e volontario.
Non ho ancora letto Hamelin. Mi riferisco perciò alle parole che scrivi nel tuo articolo.
Nell’articolo, che ho apprezzato, si trova un breve passaggio che mi sembra discutibile:
“il principale dato che ne ha ricavato è già molto significativo: solo tre persone del campione non guardavano porno online. Lo 0,5%…” (Sottolineo: “principale”; “non guardavano” invece, forse, di “non hanno mai visto”).
Non si specifica, per esempio, se gli altri studenti e studentesse guardino abitualmente o piuttosto si siano imbattuti, o abbiano talvolta visto, porno online. Dubito che il 99.5% (dei ragazzi e delle ragazze di Italia o di Bologna…) sia consumatore abituale di pornografia (se non vogliamo dire che tutta la tv, lo “spettacolo” ecc. è pornografia; e, aggiungo, consumatore di quale pornografia?).
Spero che tu non la consideri una sottigliezza inutiile. Ho dei dubbi sull’ordine di grandezza e sulla frequenza del consumo. E sono convinto che la diffusione del fenomeno sia più discontinua.
Vivo a Bologna, sono nato nel 1967. Posso dire che ho avuto a che fare con la pornografia (una pornografia di pessima qualità) prima dei dieci anni. Si trattava di una rivista pornografica in bianco e nero, Le Ore (credo), trovata e sfogliata con gli amici ai giardinetti pubblici. Non sono diventato però un consumatore abituale di pornografia né a dieci né a quattordici anni.
Ciao.
L.