Questo pezzo è uscito su Orwell.

I grandi editori sono il male della della letteratura, e con loro la grande distribuzione, i grandi quotidiani, le grandi librerie. Noi nobili lettori forti e operatori culturali locali non abbiamo alcun dubbio: è colpa loro se la gente preferisce giocare con l’iPad invece che leggere Calvino; è colpa loro se le piccole librerie chiudono e in classifica ci vanno i romanzi mediocri.

Il primo paragrafo di questo pezzo è stato scritto dalla celestiale omelia collettiva che sale dai cuori della brava gente che ama la cultura (compresi chi scrive e chi legge questo pezzo). Questa omelia collettiva è giustificata se espressa dai lettori; diventa però spocchiosa e deresponsabilizzante in bocca agli operatori culturali locali: che avendo dalla loro parte la ragione, spendono il più delle volte un capitale psichico collettivo in “eventi letterari” brutti e noiosi.

Sono dieci anni che presento libri miei e altrui nelle librerie e nelle associazioni culturali e direi che due volte su tre la presentazione è organizzata male. Ora: nonostante le major, lo scambio diretto tra autori e lettori è regolato per lo più dai piccoli operatori culturali che invitano gli autori in uno spazio preciso, inevitabilmente locale, a incontrare i lettori. Questo esercito di librai e operatori culturali, però, costringe ogni giorno in tutta Italia una massa di amanti dei libri a sedere scomoda in stanze illuminate male, microfonate male, per ascoltare presentatori incompetenti che rendono gli scrittori invitati ancora più noiosi di quanto già non siano (siamo). I lettori stanno lì come a quelle messe lunghe lunghe, in chiese brutte, senza canti gregoriani. E come per le messe, la noia si giustificherebbe con la sostanza inscalfibile dell’evento letterario in sé.

Varie volte sono andato a dei reading in cui non è venuto nessuno per la prima ora, poi con calma sono arrivati uno o due amici dell’organizzatore e siamo finiti a parlare del libro attorno a un tavolo. In una di queste occasioni, l’organizzatore ha letto un suo racconto. In una presentazione recente, parte di una rassegna, la libraia mi ha presentato senza aver letto alcun mio libro. Mi ha fatto una serie di domande generiche sull’ispirazione, i maestri, e sullo stato della scena letteraria. Il mio primo reading doveva già farmi capire l’andazzo. In epoca meno recessiva di questa, nel 2003, presi un aereo col mio editore per andare a Palermo in un pub specializzato in birre belghe che aveva deciso di darsi un tono letterario. Portammo o facemmo spedire decine di copie del romanzo. Ci sistemarono su un divano al centro del locale. I tavolini erano su piani rialzati, il locale era pieno. Non era previsto un presentatore, nessuno dei proprietari aveva letto il libro. L’editore decise di presentarmi lui. Gli diedero un microfono, io gli dissi Ma non sono venuti per il libro, lui disse Ma non importa, intanto cominciamo poi vedrai che si voltano. Non posso dimenticare quella serie di ragazzi e ragazze che sentendo parlare il mio editore si voltano per darci le spalle e continuare la conversazione. Terrorizzato, rispondo a monosillabi alle domande dell’editore. Non ricordo com’è finita, forse ho letto un pezzo del romanzo. I proprietari, comunque, non avevano invitato nessuno; come per scusarsi dissero: Ma c’era il trafiletto sul giornale.

La posizione di sciatteria assoluta riscontrata nella buona maggioranza dei casi potrebbe avere a che fare con una visione cartesiana della cultura. La cultura è tutto ciò che è della mente: il contesto non conta. Arrivano editor e scrittori e critici con i loro cervelli inestesi, il resto sono dettagli, sarebbe futile occuparsene. Ne esce fuori una vita culturale approssimativa, tutta votata al sentimento, due cuori e una capanna, quelle scene dickensiane che si vedono verso le sette di sera passando davanti a una libreria: dieci figure ingobbite e timidamente sorridenti, anelanti, che guardano due o tre relatori neon-cianotici. Se per caso entri, senti le voci nei microfoni, cavernose, monotone, che girano un po’ a vuoto – ogni tanto una risata, poi una lettura con voce accurata. È questa, e non le pile di libri di Paolo Giordano, la vera faccia della letteratura.

Gli operatori culturali locali procedono forti della loro ragione, con quello spirito del “fare cultura”, del “purché si legga”.

A questo punto, vorrei stabilire, dopo essermi consultato con molti colleghi, una serie di richieste che gli scrittori potrebbero fare come condizione per partecipare a un reading. Potete ritagliarlo e attaccarlo sulla bacheca della libreria o associazione culturale. A sua volta lo scrittore invitato a presentare il suo libro può spedire all’associazione o alla libreria le sue richieste:

– Il Libraio o l’Organizzatore (L/O) devono aver letto il libro che si presenta o da cui si legge. In alternativa, deve averlo fatto un loro Delegato.

– L/O devono scriversi su un foglio gli elementi principali di biografia e bibliografia per introdurre l’autore. Se è presente un altro scrittore in veste di presentatore, oppure un critico, dovrà essere presentato con la stessa cura. Così gli avventori sapranno chi hanno davanti.

– L/O devono sincerarsi che microfono e amplificazione siano adatti al luogo della presentazione. Si può presentare senza microfono solo se l’ambiente è raccolto.

– Le luci: non da supermercato. È difficile concentrarsi.

– Il grosso del pubblico deve provenire dal tessuto sociale e culturale, perfino comunitario, creato dalla libreria o associazione culturale. La volontà di creare un tessuto sociale e culturale deve precedere il desiderio di creare eventi culturali. L’evento culturale dev’essere un tassello di un progetto, di un processo.

– L/O non devono aspettarsi che l’autore porti il pubblico. L’autore non è un piazzista.

– L/O, o il loro delegato, devono avere un’idea della struttura dell’incontro, che dev’essere fatta a misura del tessuto umano e sociale della libreria o associazione – del quale lo scrittore invitato sarà nella gran parte dei casi all’oscuro. L/O devono avere un’idea della lunghezza dell’incontro, e soprattutto devono avere un piano per impedire all’autore, o (NB!) al critico che eventualmente lo presenti, di parlare per mezz’ora di fila senza interruzione.

– L/O devono sapere che tipo di pubblico hanno davanti, visto che è il loro: un pubblico che può sopportare un’ora, mezz’ora o dieci o cinque minuti di lettura.

– L/O devono mediare tra l’autore e il pazzo che fa la domanda di rito sugli UFO o sulla massoneria.

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29 commenti

  1. ho letto il pezzo con interesse essendo – aimhè molte volte – incappato nelle presentazioni deserte. credo che i problemi siano molteplici. innanzi tutto le case editrici non fanno più scouting. comprano i diritti di autori stranieri e siamo invasi da spagnoli, nordici, americani e portoghesi spesso con pagine mediocri se non addirittura pessime.
    poi devo dire che i reading annoiano. non a caso sta scomparendo l’idea di presentazione classica e si sta affermando un’idea di racconto/narrazione del libro (almeno nelle sue prime pagine). è quello che faccio io e che ho visto fare spesso. terzo. ogni autore dovrebbe trascinare i propri amici alle altrui presentazioni e creare una rete (non virtuale) dove ci si possa riconoscere e prestare mutuo “soccorso”. se ogni autore trascinasse due o tre amici ad un reading sarebbe un successo o quantomeno saremmo in 5 chi presenta non sarebbe da solo con l’editore(quando c’è). un abbraccio di solidarietà. rf

  2. “se ogni autore trascinasse due o tre amici ad un reading sarebbe un successo o quantomeno saremmo in 5 chi presenta non sarebbe da solo con l’editore”
    AIUTO

  3. l’immagine dell’autore che ‘trascina’ due o tre amici al reading è quantomeno tragicomica. :-‘(

  4. Questo pezzo è un colpo al cuore per me, soprattutto per la parte che riguarda Palermo. Da anni ormai con un gruppo di amici e la nostra associazione culturale proviamo ad organizzare reading nella nostra città, Palermo appunto, e ogni volta è un lavoro massacrante. E non tanto per la struttura della presentazione o del testo dello spettacolo, quanto per la fase di organizzazione e “scouting”: alla fine, troppo spesso, ci ritroviamo tra amici e parenti, e amici di amici. Oppure con pochi sparuti partecipanti, che purtroppo spesso hanno l’aspetto un po’ triste. E non contano i “Parteciperò” all’evento creato su Facebook: se non dai da mangiare non viene nessuno, e anche in quel caso aspettano solo il cibo e magari non sanno nemmeno che libro c’è al centro dell’evento.
    Pochi eventi non soffrono di queste carenze e sono le presentazioni di libri scritti da autori da best-seller, le presentazioni di libri inutili scritti da quelli della Palermo “bene”, e le presentazioni organizzate dalla libreria Modusvivendi, che è riuscita a creare un bel gruppo attivo in città. E questo è tutto.
    P.S. Io comunque i tuoi libri li ho letti, e ce ne sarebbero di domande da farti…. Quasi quasi propongo un’intervista al mio giornale…

  5. mah. si risolve così il problema, cambiando le luci, verificando l’amplificazione, accertandosi che il presentatore abbia letto? già, richiedere sempre lo scontrino, mi raccomando… reclamarlo, custodirlo gelosamente. all’occorrenza esibirlo. gli scontrini, anzi: il fisico dell’acquisto e il metafisico della lettura, senza lesinare gli spiccioli né saltare le pagine, sia chiaro. poi è fatta. poi si può dire qualunque cazzata e la salvezza dell’anima non ne andrà compromessa. no. è ciò che si scrive che va rifondato. è l’idea che la buona letteratura sia un surrogato di taboo, il gioco di società, e che il lettore comune sia meritevole di disprezzo, perché, come disse “una collega” su facebook, “se vendessi molto mi chiederei dove ho sbagliato”. poi a quel punto possiamo pensare alle presentazioni, che dobrebbero essere più simili a quelle dei film, le anteprime, rivolte cioè alla critica. il problema è che questa forse è la maggior responsabile dello sfacelo. mah e rimah.

  6. Fra le cause della scarsità di comuni mortali (non addetti; non amici) agli eventi culturali di tutti i giorni (vs. festival, fiere, plpl, garage etc.) ci metterei la poca pubblicità degli eventi stessi. Se, per ipotesi, l’autore di questo articolo prendesse parte stasera a una conferenza sulla perdita o il ritrovamento, o il benessere o il malessere, cosa lo frena dal comunicarcelo – per dire – qui? Se, per fare un altro esempio, uno o più dei tenutari di questo blog presentasse uno spettacolo fra le 19.00 e le 20.00 in un teatro con il nome di un paese straniero lungo un fiume di fronte a un gazometro, perché dare per scontato che chi è interessato fa già parte del suo stormo cinguettante o di quelli che gli fanno pollice su appena lo vedono che manco nei telefilm di quando eravamo piccoli? O che si compri tutti i giorni un giornale e vada a consultarsi gli Eventi cittadini? Ritegno? Discrezione? Timidezza?

    (PS: la cosa sul domandante pazzo che alla fine della presentazione fa la domanda sul complotto della CIA o della massoneria, o che parla 10′ e non arriva mai alla domanda, è grandiosa).

  7. Qual e` il valore aggiunto di un reading (senza cibo) rispetto alla lettura delle parole dell`autore su carta o su shermo? Nel caso che conosco meglio (conferenze tecnico – scientifiche) gli incontri servono per fare network e farre domande dirette (spesso critiche). Ok.

    Diverso il caso dei festival di cinema o di letteratura. I pochi incontri a cui ho assistito non prevedevano domande, o gli autori non accettavano critiche da non specialisti. Allora, che ci vado a fare? Mi godo il film o il lbro e basta.

  8. “Il grosso del pubblico deve provenire dal tessuto sociale e culturale, perfino comunitario, creato dalla libreria o associazione culturale”.
    Il punto centrale, al di là degli accorgimenti vari, mi pare proprio questo. L’autore, per quanti amici possa portare, non può certo invitarli ad ogni presentazione. Una libreria che non fa questo, vende libri così come potrebbe vendere qualsiasi altro tipo di prodotto…

  9. Ho letto questo articolo un paio di settimane fa su Orwell. Dopo mezz’ora ho scritto una mail a Christian e Francesco che faceva più o meno così. Ve ne invio una parte leggermente rivista e corretta da refusi e vari.

    Caro Christian, caro Francesco,
    ho appena finito di leggere l’articolo sui brutti reading e sono rimasto in parte deluso. Mi sembra che venga fuori solo metà del problema. E mi sembra quasi inutile scrivere cose che sapete meglio di me. Prima di trasferirmi a Roma, ho dedicato molte delle mie energie ad un’associazione culturale attiva sul territorio calabrese. Bene, insomma, noi ci occupavamo di organizzare laboratori di lettura con frequenza quindicinale e periodicamente officine multimediali dedicate all’approfondimento di un tema/autore. Occasionalmente presentazioni di libri. A volte erano gli autori stessi a proporle. Alcuni avevano il coraggio di spedirci mail in cui ci chiedevano di comprare il loro libro e di parlarne sul blog (certo, perché io muoio dalla voglia di comprare il tuo libro che costa sedici euro più spedizioni – assurdo pensare che sia tu a mandarmene almeno una copia, una dico, perché io e gli altri soci lo si possa leggere e parlarne. Senza contare il tempo che io impiego a leggere il tuo di libro piuttosto che leggere Il peso della grazia o Il caso Vittorio che sono lì sul comodino ad aspettare).

    Si parla di amplificazioni scadenti. Potrei dirvi che di solito i mezzi li fornisce la libreria, che un’associazione decide di comprare microfoni, telo, proiettore quando è stanca di dipendere dal fato. Ma soprattutto quando ha i mezzi. Un microfono voce costa venti euro, un mixer duecento, un proiettore decente 500. E dove li si trova i soldi? Chiaro, dai contributi degli enti per gli eventi che organizzi. Comune, provincia che fanno a gara per darti dei soldi. Aspettano te 🙂

    E poi? Cosa succede? Senza fare nomi ho visto scrittori che ti chiamano un giorno prima per dire che non vengono, lasciando vacante una delle poltrone della serata, scrittori che fino alla fine ti dicono che sono per strada, scrittori che si portano dietro amici e amiche e poi li devi pure invitare a cena, a spese dell’associazione. Ho visto scrittori che non avevano assolutamente idea di chi li avesse invitati. E anche questo mi sembra troppo comodo.

    Adesso non trovo carino che l’organizzatore legga suoi testi durante la serata, ma se al termine dell’evento,dopo che hai venduto le tue copie e mangiato e bevuto a dovere, adesso io e te si parli anche della mia scrittura e dei progetti dei miei soci, mi sembra il minimo. Se ti sei trovato bene, mi sembra il minimo che tu parli in futuro di questa associazione ai tuoi amici scrittori. Perché c’è gente che si fa un culo enorme affinché le cose funzionino, dalla presenza di un pubblico al pagamento del’imposta comunale per attaccare i manifesti per strada. La mia impressione è che questo articolo faccia terra bruciata ovunque, senza tenere conto delle difficoltà che incontrano gli operatori del sottobosco, specie nelle piccole città.

    Non apro neanche il discorso del pazzo di turno perché una mail non basta. Però insomma mi sembra che abbiate caricato eccessivamente il dito sulle brutte cose e non su quelle che meritano maggiore attenzione, maggiore respiro, maggiori contributi per lavorare bene.

    Tutto qui.
    PS: piuttosto, quando giochiamo a calcetto? Buona serata. Fede.

  10. sono uno dei blogger di Tutta colpa della maestra, spesso organizzo readings nella zona di Palermo. Premesso che un reading non riempirà mai uno stadio, la misura delle 30/40 persone è raggiungibile, spesso ne abbiamo raccolte anche di più. Innanzitutto in un reading non tutto è leggibile: ci sono pagine che nascono per essere lette con gli occhi; poche hanno quella tipo di struttura (e non è un fatto qualitativo) che le rende piacevoli ad un ascolto offerto da un lettore (per esempio meglio pagine con non troppi personaggi). Il reading ha bisogno della luce giusta: buio e simil-occhio di bue sul lettore, magari anche silenzio, magari anche un proiettore che alle spalle del lettore lancia un’immagine che possa essere correlativo oggettivo della pagina letta. Meglio se il lettore sa interpretare senza fare però il Foà della situazione (lettura lineare e accattivante priva di teatralismi). Magari anche un minimo di stacchetto musicale prima dell’inizio della lettura e poi ripresa a lettura avvenuta. E poi una buona dose di amici che credono in quello che organizzi: se si divertiranno, ritorneranno al prox reading che organizzi.

  11. vedo presentazioni librar-letterarie dal 1997-sto a bologna,bolognese doc,questo non fa di me un figo,ovvio,ma ancora recentemente il numero di happening culturarl -letterari dalle nostre parti non era lontanissimo da quello di roma o milano,numericamente,e di presentazioni-con critico o bibliotecaria-amo meno i reading-ne ho viste parecchie

    quel che ho notato:

    -molti autori in pubblico so o timidi:timidi,ne piu ,ne meno

    -il pubblico spesso,c’è,non enorme,ma poche volte ho visto plateau vuoti

    -i bibliotecari mi son sembrati spesso preparati,per quanto con qualche domanda convenzionale di troppo

    -il pubblico si abbastanza partecipe,mi sembrato spesso seguire senza distrarsi ,certo al momento delle domande ,la debacle:la gente spesso travalicava,da uomini intimiditi che non sapevano tenere un microfono in mano ,e letteralmente si impappinavano,a donne che andavano palesemente fuori tema(parlo del pubblico)

    -singolare qualche successo recentemente ,autore noto,sala piena,le donne che quasi sembravano pensar di e esser a un concerto dei take that dei tempi d’oro.e non era certo paolo giordano o baricco,l’autore (quest’ultimo però,con la parola in pubblico,ci sapeva fare,non era timido,insomma se l’ cavata)

    a volte ho trovato autori(dico,autori,scrittori)così noiosi nel parlare,con così poco mordente e senso del ritmo,che mi son chiesto ,diamine,se il libro lo avevan scritto loro

    idee per risolvere?una presentazione non è una tragedia,se l ‘autore sa il fatto suo(facile a dirsi..) qualcosa si rimedia anche senza esser degli animali da palcoscenico,piu dura nei reading dove giocoforza 2/3 del pubblico non ha ancor aletto il libro ed è li piu che altro per curiosità

    come si rimedia:in maniera un pò smargiassa,direi non facendo pubblicare a persone pallose :)..che spesso giocoforza pubblicheranno libri solo poco meno pallosi di loro,:)eccezioni qui e la a parte 🙂

  12. Inaugurai a Verona nel 2006 uno dei primi Centri di lettura presso la libreria – centro culturale Il Gelso. Ci riunivamo mensilmente per leggere e commentare testi per lo più di poesia, tanto che si costituì un gruppo nutrito di poeti veronesi denominatosi I liberi poeti del Gelso. Lo spazio era angusto, i sedili scomodi. I più giovani si sedevano intorno sul pavimento. L’atmosfera era calda, accogliente, fasciata di libri e di carte preziose.
    L’incantesimo durò quattro velocissimi anni, testimoniati da un magazine redatto dalla sottoscritta e stampato in proprio per qualche centinaio di copie, al semplice scopo di preservare memoria. Credo che decine di persone abbiano letto per la prima volta in pubblico le proprie poesie, e molte per la prima volta abbiano ascoltato leggere una poesia e abbiano avuto l’opportunità di dialogare con l’autore. Un bel giorno, di fronte ad una inspiegabile evasione di massa, ci ritrovammo appena in cinque, e la padrona di casa, una abile e generosa libraia, fino ad allora carica di entusiasmo, manifestò sedutastante la sua esplicita volontà di non volerci più ospitare. Ancora mi chiedo il motivo del fallimento di una così fattiva esperienza che univa conoscenza, opportunità di dialogo e di aggregazione. È, vale sottolinearlo, tutto gratis! Sono sorti poi centri di lettura con iscrizioni a pagamento. Per quel che mi riguarda, ho chiuso con simili esperienze, anche se penso che occorra incentivare il dialogo diretto e l’incontro, pena il restringimento del pensiero e l’atrofizzazione del linguaggio.

  13. e soprattutto mai, e dico mai, associare la presentazione e il reading a un concerto.

    (come autore di quart’ordine, ho fatto presentazioni e reading brillanti, penosi, densi, depressivi, ne ho fatti con sempre poca gente, a volte due persone, altre dieci, altre con solo amici o parenti – pochi, per la verità. ne ho fatti in feltrinelli, in associazioni appena nate, in librerie brutte, o buie, oppure all’Italia Wave. la risposta che mi do è: sono un autore di quart’ordine. anche quando ho avuto un buon ufficio stampa alle spalle, la domanda era: “perché diavolo dovrebbero venirmi a sentire, se il libro non lo hanno letto ancora, per di più?”.
    da organizzatore di reading e presentazioni, invece. ho fatto tesoro della mia esperienza di autore. chiamo qui – nel profondo e ricco sud della Puglia – persone che hanno realmente qualcosa da dire (secondo il mio gusto). poi lavoro molto sull’organizzazione pratica dell’evento – ci sono soldi per farlo? a chi può interessare? – e sulla comunicazione. ho chiamato qui Guido Catalano e Cinaski, per dire, perché hanno un buon modo di raccontare in pubblico – e non avevano altre date in Puglia. sono stati due reading molto affollati, e non era così scontato. ultimamente c’è stato Paolo Cognetti, e l’ho chiamato perché è bravo e le sue storie toccano tutti noi. c’erano 20 persone, quelle che mi aspettavo, ma si poteva fare di più. non chiamarei, chessò, Stefano Benni, che ho visto da poco, c’erano 200 persone, ma ritengo abbia poco da dire di nuovo.
    cosa voglio dire? che la questione è nel “sentirsi indispensabili”. non stiamo facendo nulla di nobile. nessuno ti ha investito del ruolo di operatore culturale. non m’interessa neppure la cultura. se ci sono persone con storie “forti”, le voglio qui. e cerco di far capire alle persone le connessioni tra queste storie e la loro vita, quando sono io a presentare. ci vuole molto senso pratico, nell’organizzazione, e grazie a dio lavoro con gente che ne ha più di me.
    ed è bello, infine, farlo qui: è bello anche l’incontro tra la comunità – non solo libraria o editoriale – e gli scrittori, quando sono aperti e curiosi.)

  14. A parte l’insopportabile spocchia di Raimo, sembra che di editoria e cultura ne sappia solo lui. Quello che a mio parere rende i reading un po’ sonnolenti e noiosi è che chi introduce lo scrittore spesso non ha la preparazione per farlo, e non è solo questione di aver letto il libro. Inoltre gli autori non sono necessariamente buoni lettori, la presenza di un attore che legge il testo spesso fa la differenza. Un altro dettaglio pratico: la maggior parte delle presentazioni sono alle sei del pomeriggio, io a quell’ora sono ancora al lavoro, e come me tanti, suppongo. Ed è vero che sono poco pubblicizzate, se non fosse per le pagine facebook degli autori, è difficile averne notizia. Le stesse librerie a volte non mettono fuori nemmeno un cartello. Comunque, in quasi tutti i reading a cui ho assistito c’è stato qualche momento interessante, ho conosciuto meglio l’autore, ho chiarito dei dubbi, ho sentito commenti pertinenti da parte di altri lettori (a parte quello che fa la domanda sugli Ufo). Anche solo per questo vale la pena andare. C’è anche chi, come i tipi di Sugarpulp, a Padova, organizza gli Spritz letterari, un modo alternativo e più informale per avvicinare le persone alla lettura.

  15. arrivi al punto diretto e senza certi buonismi/barocchismi haimè a volte frequenti anche nell’editoria “piccola ma buona”. e da letttrice dico che sì, DECISAMENTE, le regole elencate dovrebbero punzonarle in libreria o nelle associazioni culturali vicino al tavolo dove poi fanno le riunioni operative

  16. no capisco tutta questa enfasi su organizzazione e altro

    c’è un problema grosso,come fatto notare da marco m.,sopra:

    c’è in giro la stessa gente che dice le stesse cose da 20 anni,anche se magari richiama davvero pubblico(vedi il caso di Benni,autore che non leggerei manco sotto tortura)

    il problema è che qualche novità,come autore,essendo non troppo conosciuto,tutto sto pubblico non lo richiama
    E fin qui ci arrivano tutti,ma come gia fatto notare,c’è anche un secondo problema:a volte ti chiedi questi da dove sbuchino..mica si devono trasformare in baricco ai tempi di Totem,ma molti a parlare in pubblico sono davvero delle frane

    molte presentazioni finiscono per aver piu quello che presenta come minuti di “parlato”,che non l’autore stesso!,se poi ci aggiungi un pubblico che fa domande “originali”,beh,frittata,bingo!

    potrei fare molti esempi,senza far nomi,ma con simpatiche scenette viste negli anni.ah!ma solo se me lo chiedete!:)

  17. Da anni a Vercelli si svolge il festival della Poesia Civile, ce l’avevano già propinato al Liceo ma gli hanno dato il giusto merito e la giusta pubblicità, da un paio d’anni frequento gli eventi assiduamente, poichè sono rimasta affascinata.
    Ho 23 anni, premetto di non essere molto amante dei classici, sicuramente a causa dei professori che ci rifilavano 7/8 volumi da leggere ogni estate (malloppi indigestibili per l’età che si aveva), ammetto però di leggere molto e spaziare dai vari generi, posso solo dire che le edizioni recenti hanno solamente una grande pubblicità, alla fine sono pochi gli scrittori e specialmente i traduttori, che sono veramente degni di nota.
    Credo che la cultura debba essere diffusa prima di tutto dalla propria famiglia, ora fatto molto difficile poichè molte volte gli stessi genitori preferiscono passare 3 ore davanti alla televisione piuttosto di leggere un libro al proprio figlio, a scuola poi dovrebbero essere date letture adatte all’età, non secondo programma istituzionale.
    Ho sviluppato la mia passione per la lettura finita la scuola, perchè finalmente posso scegliere quello che volevo, scegliere i miei “mattoni” e se voglio smettere di leggere lo faccio senza aver timore delle scadenze.
    E poi, ci vanno eventi ben organizzati e pubblicizzati, interattivi e piacevoli, letture per i più piccoli, magari provando già nelle scuole.

  18. Se tra quelli che stanno leggendo l’articolo sopra c’e’ qualcuno di Palermo, lo invito questa sera a partecipare al reading da “Fine del Mondo” di TUTTA COLPA DELLA MAESTRA che si terra’ alla Libreria Garibaldi di Via Paternostro alle 21.30 , affinche’ si possa rendere conto che non tutti i reading sono noiosi e che la partecipazione della gente è fantastica nonostante i mezzi a loro diposizione siano pochi e autogestiti
    Vi faranno ridere ma non solo!

  19. L’unica risposta SAGGIA a questo articolo può e deve essere: Il vostro mondo di libricini e presentazioncelle vanitelle è semplicemente e completamente autoreferenziale. Non provate a salvare nulla di tutto ciò, perchè i morti non possono essere più salvati. Buon funerale.

  20. tutto ciò è oro colato, grande articolo! non capisco quale sia il motivo, o forse ce ne sono troppi da spiegare qua, ci vorrebbe molto più spazio, ma la situazione, in provincia e anche nelle grandi città, è sempre la stessa: presentazioni devastanti, con gente noiosa che parla a gente annoiata. Di sicuro, avere grandi libri e scrittori in grado di parlare in pubblico è parte della soluzione, però troppe volte ci si trova invischiati in eventi organizzati malissimo, ultrafantozziani, ahimè. 🙁

  21. p.s.
    a scanso di equivoci voglio aggiungere e precisare questo: la “colpa” della mancata riuscita dei reading non penso sia da addossare alla “casta” degli organizzatori. I fattori in gioco sono tanti, e l’augurio è di poter assistere SEMPRE (o almeno spesso) a incontri letterari curati nei dettagli e all’interno di un progetto culturale.

  22. Il “male” della cultura italiana è anche la piccola editoria perché – al pari della grande – è una casta impenetrabile, alla quale possono accedere solo gli eletti, gli amici, gli amici degli amici. Questa prassi patologia, analogamente al settore economico in cui la moneta cattiva scaccia la buona, ha abbassato il livello qualitativo della produzione letteraria inducendo lo scrittore Raffaele La Capria a prendere una forte posizione critica sulla produzione letteraria attuale e a chiedersi se sia vera letteratura o no. L’editoria italiana – lo dico con rammarico – è lo specchio riflesso della società italiana stantia, asfittica. Che tristezza.

  23. Giuseppe: ma quando mai. Sulla grande editoria il discorso è complesso perché ci sono dei minimi di vendita da rispettare, da cui i casi di cantanti o dj pubblicati magari a spese di autori meritevoli. Ma la piccola…Tutti i direttori di collane e piccole case editrici sono sempre disperatamente alla ricerca di roba decente. E gli arriva per lo più robaccia. Questi sono i fatti, il resto è fuffa, vulgate messe in giro da frustrati i cui libri sono stati GIUSTAMENTE cestinati.

  24. Se la vendita dei libri in Italia è in crisi la colpa non è solo dei grandi editori ma anche dei piccoli che – nati per dare spazio laddove la prima non arriva – sono delle caste accessibili solo ai soliti noti, non leggono opere veramente valide sul piano artistico. Alcuni piccoli editori poi pretendono che per leggere un manoscritto inviato da chi è poco noto, lo stesso deve prima comprare un loro libro già edito.Avvilente espediente. E così la cattiva letteratura scaccia la buona. Di che meravigliarsi? Non è l’amaro sfogo di uno sfigato. Sull’argomento, infatti, è intervenuto l’autorevole scrittore Raffaele La Capria che nega qualità artistiche a tanta produzione letteraria attuale.

  25. Egregio Dedalo, non è per frustrazione che scrivo. Vuole un esempio concreto a rincalzo di quanto ho scritto?Basta telefonare ai piccoli editori per sentirsi dire che i loro programmi sono completi fino al 2014 o che prendono in considerazione solo opere da loro commissionate. Sarò pessimista ma sono più che persuaso che tutti gli editori hanno un loro giro. Me ne sa suggerire qualcuno puro?

  26. Francesco Pacifico ha dimenticato un punto essenziale : l’operatore culturale deve garantire allo scrittore vanesio e spesso noioso un’adeguata claque magari dietro compenso economico ! Cose da matti

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Autore

francesco.pacifico@gmail.com

Francesco Pacifico è nato a Roma nel 1977, dove vive. Ha pubblicato i romanzi Il caso Vittorio (minimum fax), Storia della mia purezza (Mondadori) e Class (Mondadori). Ha tradotto, tra gli altri, Kurt Vonnegut, Will Eisner, Dave Eggers, Rick Moody, Henry Miller. Scrive su Repubblica, Rolling Stone, Studio.

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