«I tronchi segati sul retro della treggia profumavano di buono, di fresco. Profumavano come se fossero ancora vivi».

Qualche giorno ho incrociato uno dei più bei racconti sul dolore e sull’amore che io abbia mai letto, qualcosa che si avvicina molto alla perfezione tecnica, stilistica e sentimentale; qualcosa che pare tradurre in prosa breve il significato del titolo di Gadda, La cognizione del dolore. Qualcosa che arriva a ricordarci come si dovrebbe fare, come si deve prendere una storia che immaginiamo, che veniamo a conoscere, che ricordiamo o pensiamo e trasformarla in narrativa, in narrativa indimenticabile. Il racconto in questione lo ha scritto Rick Bass ed è quello che apre il libro La vita delle rocce, da qualche settimana edito da Mattioli 1885, con la traduzione di Silvia Lumaca.

Il titolo di questa storia è Cavalli selvaggi e c’è molto di selvaggio e c’è molta rabbia e molta dolcezza. E i cavalli c’entrano come figure che si muovono tra le pagine fungendo da specchio e correlativo oggettivo dei personaggi, solo che non è così evidente, per lungo tempo i cavalli stanno là, attori della storia. Quelli furibondi da addestrare da una parte, e quelli vecchi, morenti dall’altra, entrambi i tipi da curare in qualche modo. C’è una donna che ha perso il suo compagno, morto annegato e  c’è il migliore amico di lui che era presente la sera della morte. C’è il territorio aspro degli Stati Uniti, quello fuori dalle città, dove le case sono distanti l’una dall’altra e animali, persone e alberi spesso parlano la stessa lingua e ciascuno capisce cosa farà l’altro, laggiù la vita si svolge nel ritmo che dettano la natura e le stagioni e ci si può soltanto adeguare.

E che erano tutti così ingenui, così leali, così dimentichi del dolore. Era come se, anche se lo sentivano, non potessero prenderne coscienza. Era una cosa dolce, pensava Karen, e stupida.

La donna non riesce a superare il dolore, quasi non vuole. L’amico si sente responsabile. Si vedono, stanno spesso in silenzio, instaurano un codice che alterna abbracci a violenza. In questo muoversi tra senso di perdita e senso di colpa, si capiscono ma fanno fatica a dirselo, in qualche modo vanno avanti così come le stagioni, qualche volta si allontanano, poi si riavvicinano. Non posso fare a meno l’uno dell’altro, anche se quel legame nasce dalla perdita, dalle accuse, dal dolore. Ma là nell’istante in cui si passa dal sereno al temporale, in cui un cavallo che non vuole saperne viene domato, arriva qualcos’altro, e non vuol dire amore, vuol dire essere forse pronti a suturare le ferite. Rick Bass è un vero talento, questa storia e le altre si reggono su un equilibrio perfetto in cui ogni dettaglio non è fuori posto, ogni aggettivo non eccede.

Stagni dove potevano ancora nascondersi dei pesci gatto giganti, imbronciati e maledetti, anche mentre la carcassa della città avanzava, bloccando ormai in parte il sorgere e il tramontare del sole.

Sa essere duro e lirico nel giro di una frase, è capace di cogliere qualcosa che sfugge a ogni descrizione come il rispetto che può correre tra un animale e la sua possibile cacciatrice. Sa trovare nuovi modi di narrare il soffio del vento e mille altri ancora per far spuntare un sorriso in mezzo alle lacrime. Persone che hanno subito una perdita, che lottano con la malattia, persone che a un certo punto – senza sapere il perché e il come – non sanno più come comportarsi.

Bass sa alternare l’uso della terza persona (la sua cifra migliore) a quello della prima persona, i suoi personaggi, uno dopo l’altro, ci sembrano molto vicini a noi, ci sembra di capire le loro ragioni e di intravedere il momento in cui le cose sono cambiate, e sono andate a rotoli (qualche volta) e poi bene (qualche altra).

Dentro di me, sentivo una confusione rimbombante, un subbuglio che a volte precede le rivoluzioni e altre volte non porta a niente, solo all’acquiescenza, e poi alla vecchiaia.

In un altro bellissimo racconto, una donna ha un cancro ed è debilitata dalla terapia che fa ogni giorno, vive sola in una casa che sta abbastanza in alto, da lì osserva il paesaggio, il fiume che scende e una casa dove vive una famiglia che non fa altro che lavorare da mattina a sera, tutti loro, marito, moglie, figli, piccoli o grandi che siano. Non hanno cassetta postale, non hanno telefono, non hanno contatti con nessuno. La donna cerca di far passare il tempo intagliando barche di legno, lo fa nella sala d’attesa per la chemio, lo fa a casa la sera, davanti alla stufa, prima di crollare di stanchezza.

Scrive dei biglietti, li mette sulle barchette e le lascia scivolare sul fiume. Non sa nulla del proprio destino e nemmeno del suo, ma le barche da qualche parte arriveranno, nasce così un rapporto tra la donna e due dei figli di quella famiglia. Ancora una grande delicatezza nel raccontare un altro tipo di dolore, e di come il fiume e le parole lo portino a valle trasformandolo in qualcos’altro. E se non fosse questo un tipo d’amore non sapremmo davvero come chiamarlo.

Quale altro meraviglioso frammento svanirà nel corso delle nostre vite, diventando un giorno solo memoria e storia, racconto di eredità, e poi frammenti di storia e eredità, e poi niente, soltanto vento?

Rick Bass racconta queste storie fatte di terra e radici, di sbandamenti e assenze, di piccoli guai che diventano inferni, di persone sulla soglia del baratro che si salvano perché ora comincia a piovere dopo la siccità, ora qualcuno ti mette la mano sulla spalla, ora il vento sta cambiando il giro. Ed ecco che un uomo che ha buttato via tutto, trova un piccolo bagliore nel quale salvare il rapporto con le figlie. Ed ecco che una donna trova in due fratelli, due sconosciuti, qualcosa che la riporta alle sue radici, a un’amicizia che durerà tutta la vita.

I racconti di Rick Bass sono pubblicati in Italia in due volumi, questo e il precedente, Cane da petrolio (sempre per Mattioli) e sono tra le cose che vale la pena leggere quest’anno e nel tempo a venire.

 

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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