
Pubblichiamo, ringraziando l’autore e l’editore Meltemi, l’introduzione e alcune immagini con relative didascalie da libro di Vladimir Crescenzo “Il giro del mondo in ottanta stadi”, un itinerario tra alcuni dei luoghi più incredibili del pianeta, campi da gioco in posizioni straordinarie, ma anche racconto del valore sociale e popolare del calcio, del gioco come origine di una memoria collettiva.
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Lo stadio di calcio è un luogo di comunione per eccellenza. Uno spazio nel quale si mescolano tutti gli strati sociali, riuniti per 90 minuti dalla passione per la stessa squadra. È là che si forma la memoria collettiva dei tifosi, costruendo la cultura tipica di ciascun club. L’identità di uno stadio si modella così attorno a uno o più club che vi giocano, ma anche attorno ai tifosi che tornano instancabilmente ad affollarne le gradinate, in cerca di brividi. I social network hanno contribuito a fare di questi stadi degli oggetti culturali a tutto tondo, celebrando, con il contributo di milioni di internauti, la bellezza di queste arene dei tempi moderni. Va preso atto della tendenza alla rapida modernizzazione di questi contenitori. È innanzitutto di questi impianti rinnovati che mi hanno parlato, quando ho accennato al progetto di realizzare un lavoro sugli stadi più belli del pianeta. Lo Stadio Mercedes-Benz di Atlanta, all’avanguardia della tecnologia, è tornato di frequente nelle discussioni avute sul tema. Ma la bellezza di uno stadio è riducibile alla modernità delle sue strutture? Sembra non possa essere tale il criterio determinante, al contrario. La ricerca dell’ultra tecnologico è in primo luogo un nuovo strumento di entrate per i club, dopo essersi lanciati nel business del marketing. Arrivando a ripensare radicalmente il modo in cui si vivono i 90 minuti trascorsi sulle gradinate, all’insegna della “esperienza spettatore”.
La posta in gioco è in effetti alta per i club, impegnati a sedurre un nuovo pubblico e a spingere quelli che vedono a volte come “consumatori” a spendere sempre di più. A rischio di sostituire i tifosi con degli spettatori disposti a sborsare prezzi non di rado elevati per un posto, ma estasiati dalla possibilità di farsi recapitare un sandwich durante la partita senza doversi nemmeno alzare. Nonché di trasformare in un tempio del consumo quello che per certi versi potrebbe essere quasi definito un luogo di culto. Del resto il terreno era stato preparato in tal senso. Basti guardare all’Inghilterra, dove la gentrificazione degli stadi ne ha espulso le classi popolari, o alla Spagna, dove le gradinate di quello che è divenuto ormai lo “Spotify-Camp Nou”, lo stadio del Barcellona, sono più affollate di turisti che di “soci”. Senza dubbio la corsa agli stadi connessi non farà che acce- lerare un movimento che appare inarrestabile. Se si guarda all’interesse dei club – per esempio l’Olympique Lyonnais ha realizzato un aumento fra il 200 e il 300% degli utili offrendo agli spettatori un’esperienza interattiva – è chiaro che è più difficile valutare quello dei supporter. Oltretutto il Borussia Dortmund ha saputo trarre profitto anche da questa nota dolente. Per non allontanare i tifosi, il club ha deciso di ridurre il costo del Wi-Fi all’interno del Signal Iduna Park, offrendo così una risposta all’interrogativo: uno stadio ultra connesso non rischia di disconnettere i tifosi dalla vera esperienza che andrebbe vissuta in uno stadio, ossia godere della partita, dell’atmosfera, dei canti, degli odori? Resta da capire se questa tendenza è subita dai tifosi, o se la maggioranza di essi l’ha già digerita.
E ancora: un impianto ultra moderno non è sempre garanzia di successo economico. Coppa del mondo, Giochi olimpici, campionati europei: tutti i grandi eventi si accompagnano ormai a grandi cantieri. Ma dopo? L’Arena Mané-Garrincha, uno degli stadi più cari del mondo (800 milioni di euro) costruito a Brasilia e rinnovato in occasione del mondiale del 2014, in seguito ha faticato a riempire regolarmente i suoi 70.000 posti. Per far fruttare l’investimento, i dintorni dello stadio sono stati riconvertiti in deposito di autobus, e hanno ospitato festival e serate d’imprese. Per non diventare “elefanti bianchi” – progetti più costosi che redditizi, convertitisi in fardelli finanziari – alcuni sono pronti a far traslocare dei club all’altro capo del Paese. È quanto è successo in Russia, dopo che lo stadio olimpico Fitch, situato a Soči, è diventato inutile una volta terminati i giochi invernali del 2014 e la Coppa del mondo del 2018. Il proprietario della Dinamo di San Pietroburgo, un oligarca russo, ha allora deciso di delocalizzare la sua squadra a più di 2.000 chilometri a sud. Ecco come è nato l’FK Sochi, un’entità variamente assemblata e d’ora in poi titolare di un impianto di più di 40.000 posti. E che dire del Mondiale 2022 organizzato in Qatar, che ha spinto al parossismo le tendenze appena evocate? Fino a sprofondare nell’aberrazione umana ed ecologica, facendo sorgere dal nulla sei nuovi stadi tutti climatizzati, al prezzo della vita di 6.500 lavoratori immigrati. Per quanto l’architettura e la tecnologia possano rendere fotogenici questi stadi, evocare questi due soli criteri di scelta sarebbe qui privo di senso.
Ho dovuto quindi basarmi su altri fattori per stilare una lista di 80 stadi e campi da gioco fra i più belli e insoliti del pianeta. Qual miglior modo di celebrare l’estetica di un impianto, se non tener conto dell’ambiente in cui è inserito? Montagne innevate, foreste lussureggianti, deserti aridi, mari turchesi e persino città densamente popo- late: a volte le immagini selezionate – frutto di una collaborazione con fotografi di tutto il mondo – privilegiano l’armonia di un campo e dello scenario che lo circonda, celebrando il calcio in latitudini di solito poco esplorate. Quest’opera è nata anche per dimostrare che l’anima e la singolarità di uno stadio, tanto nel calcio professionale che amatoriale, sono commisurate a ciò che vi si racconta, alla storia che vi si inscrive. E di ciò che ci svela della cultura locale, non solo calcistica. Ecco perché le storie a margine delle pagine sono scritte minuziosamente, per onorare le foto che le illustrano. Un sapiente equilibrio fra immagini pittoresche e cultura calcistica, con lo scopo di ricondurre a ciò che costituisce l’essenza stessa di questo sport universale.
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Central Coast Stadium / Gosford, Australia – Asia
Inutile dannarsi a costruire quattro tribune quando limitarsi a tre consente di offrire una vista da cartolina sull’estuario del Brisbane Water. Con i suoi 20.000 posti, il Central Coast Stadium ospita le partite dei Central Coast Mariners, uno dei membri originari dell’A-League, la prima divisione australiana fondata nel 2005. Lo stadio si trova a Gosford, cittadina di poco più di 3.000 abitanti, per cui i Mariners costituiscono ovviamente il più piccolo mercato della lega. Il che non ha tuttavia impedito al club di prendere parte a quattro finali dell’A-League, aggiudicandosi il titolo nel 2012-2013 e disputando più volte la Lega dei campioni dell’AFC, la Confederazione asiatica. Infatti, per considerazioni meramente sportive, l’Australia ha abbandonato la Confederazione oceaniana dal 2006.
Ma il Central Coast ha conosciuto anche alcune memorabili battute a vuoto. Tra il 2017 e il 2020 i Mariners sono finiti per tre volte di fila all’ultimo posto. In quasi ogni altro Paese del pianeta, il club sarebbe stato retrocesso dalla stagione 2017-2018. Non in Australia, dove il campionato si basa su un sistema che non prevede retrocessioni e promozioni. Sebbene questa formula a numero chiuso garantisca un’evidente sicurezza a un campionato e a squadre ancora in cerca di un modello economico e di un’audience fidelizzata, certi osservatori considerano il caso dei Mariners come un chiaro argomento a favore dell’introduzione della regola della retrocessione. È vero che in quel periodo i risultati sono stati costantemente mediocri, e il Central Coast è stato anche accusato di pensare solo ai risultati invece che a divertire il proprio pubblico. Queste critiche alludono certamente a un episodio che ha messo i Mariners sotto i riflettori dei media…
Infatti, nel corso dei preliminari della stagione 2018- 2019, era stato messo alla prova l’otto volte campione olimpico Usain Bolt. Desideroso di riciclarsi nel calcio, Bolt sperava di strappare un contratto malgrado le sue eviden- ti lacune tecniche. L’ex sprinter aveva realizzato cionono- stante una doppietta nel corso di una partita amichevole e il Central Coast si augurava di proseguire l’avventura. Pur- troppo l’affare era sfumato prima dell’inizio ufficiale della stagione a causa delle pretese economiche del giamaicano, eccessive per il club. La storia non ci dice quindi se Bolt abbia sfiorato una carriera da calciatore. Né se il Central Coast abbia mancato il più grosso colpo di mercato della storia dell’A-League. Quel che è certo è che i Mariners hanno chiuso la stagione all’ultimo posto, e che non avrebbero certamente potuto fare di peggio con l’uomo più veloce del mondo alla guida del loro attacco.
Qeqertarsuaq Stadion / Qeqertarsuaq, Groenlandia – America del Nord
Organizzare un campionato di calcio all’interno del circolo polare artico sembra inimmaginabile. In Groenlandia, la latitudine, ma soprattutto il clima dell’isola, rendono impossibile praticarlo per la quasi totalità dell’anno. Per nove mesi il 20% delle aree abitabili sono infatti coperte di neve. Eppure un campionato in Groenlandia esiste, e mette alla prova una quarantina di squadre. Innanzitutto nelle fasi di qualificazione regionali in luglio, prima che il torneo finale riunisca le otto formazioni migliori in una settimana di competizioni. Oltre a essere l’unico campionato esistente in questa zona artica si tratta quindi anche del più breve del pianeta. Difficile immaginare una formula differente, visto che le distanze fra le città e l’imprevedibilità del meteo renderebbero le trasferte troppo costose, ma soprattutto troppo pericolose. Del resto, un tragico evento testimonia queste difficoltà.
Nell’agosto 2004, dopo avere giocato una partita a Qeqertarsuaq, tre giocatori sono ripartiti in battello attraverso la baia di Disko. Purtroppo il trio non è mai arrivato a destinazione. Dopo otto giorni di ricerche e in prossimità della fine dell’estate, le speranze erano minime. Bisognerà attendere il mese di giugno dell’anno seguente perché i corpi vengano ritrovati sull’isola disabitata di Hareøen, a Nord della baia di Disko, dove il battello era naufragato. Questo dramma ha sconvolto la popolazione locale e ha ricordato che, date tali condizioni, l’affermarsi del calcio sulla più grande isola del pianeta non può essere rapido come in altre regioni del globo. Per imprimere un colpo di acceleratore, la federazione 50 danese e la FIFA hanno finanziato il primo campo da calcio in erba artificiale della Groenlandia , nel 2010. Al quale ha fatto seguito, qualche mese dopo, quello di Qeqertarsuaq, dove si è svolta la fase finale del campionato nel 2017. Un progresso notevole per i giocatori locali, che fino ad allora si erano dovuti accontentare di campi di terra dove la pratica era relativamente pericolosa.
Tuttavia il fossato che separa la Groenlandia dalle altre nazioni europee è ancora largo e la squadra nazionale non aderisce ancora né alla UEFA né alla FIFA. Non può quindi partecipare alle competizioni internazionali, anche se questo è in prospettiva l’obiettivo. Resta da stabilire se l’adesione alla UEFA sia la via migliore per promuovere il calcio locale. Benché culturalmente vicina all’Europa e soprattutto alla Danimarca, l’isola è geograficamente accanto all’America del Nord, dove il livello medio sembra più abbordabile. La selezione nazionale di pallamano ha scelto di aderire alla Confederazione Nordamericana, con un certo successo visto che ha partecipato a tre Campionati del mondo. Può essere un esempio per la squadra nazionale di calcio?
Sportplatz Heligoland / Heligoland, Germania – Europa
Associato alla Gran Bretagna dopo il 1807, è solo nel 1890 che l’arcipelago di Heligoland entra in area tedesca. Base navale strategica durante le due guerre mondiali, Heligoland è bombardata nel 1947 dagli Alleati per rendere l’isola militarmente inoffensiva. L’esplosione, una della più grandi non nucleari mai registrate, modificò l’aspetto generale dell’isola. Ed è sul cratere causato dalla deflagrazione che la Federazione tedesca ha in seguito finanziato la costruzione dello Sportplatz Heligoland. In seguito vi giocherà il club VfL Fosite Heligoland, creato nel 1893. Si tratta del solo terreno sul quale i giocatori del VfL possono giocare durante tutto l’anno, perché, anche se il club è associato alla Federazione tedesca, non ha mai potuto partecipare a un qualsiasi campionato. Ciò a causa della sua posizione geo- grafica – occorrono due ore di battello per raggiungere il continente – e dei costi di trasporto eccessivi per gli altri club amatoriali.
Per mantenere in vita il calcio locale, nel 2013 il VfL Fosite si aggrega quindi alla Confederazione delle Associazioni di Calcio indipendenti. La ConIFA organizza la Coppa del mondo e il Campionato d’Europa delle squadre non affiliate alla FIFA. Nella maggioranza dei casi, queste squadre “nazionali” rappresentano gruppi culturali marginalizzati, come il Kurdistan o i Rohingyas, o regioni che rivendicano l’indipendenza come Cipro del Nord o l’Alto Karabakh. Se l’adesione di Heligoland sembra sfiorare il folklore, non per questo il VfL Fosite è meno riconosciuto in quanto “squadra nazionale” dell’isola. Sascha Duerkop, ai tempi segretario generale della Confederazione, esprime il proprio rincrescimento per l’evoluzione successiva degli eventi: “I giocatori del 134 VfL Fosite non hanno mai potuto partecipare alle nostre assemblee o ai nostri tornei. Sia per mancanza di fondi, sia perché là si passano le estati e l’80% degli abitanti vive di turismo. Perciò, non abbiamo più sentito parlare di loro per due anni, per cui abbiamo purtroppo dovuto toglierli dalla Confederazione”. Una volta di più, l’isolamento di Heligoland ha avuto ragione delle ambizioni dello VfL Fosite.
Di questi appuntamenti mancati la storia di Heligoland è piena. Per esempio la squadra nazionale di Cuba si era resa disponibile a disputare una partita, ma anche in quel caso il progetto è fallito. Dopodiché il club si accontenta di disputare una dozzina di partite amichevoli per stagione, sia contro club tedeschi di passaggio che contro semplici turisti. Il campo è del resto liberamente accessibile e utilizzabile anche per i vacanzieri. Se passate dalle parti di Heligoland, approfittatene per dare qualche calcio al pallone col VfL, sarete senza dubbio accolti a braccia aperte. In compenso, se venite a sfidarli con la vostra squadra, attenzione, perché sul continente circola la leggenda secondo cui il vento che soffia sull’isola rende il VfL praticamente invincibile. Siete avvisati.
Stadio Mahamasina / Antananarivo, Madagascar
Il risultato di questa partita disputata il 31 ottobre 2002 farà impallidire la cocente sconfitta (31-0) subita un anno prima dalle Samoa Americane dall’Australia. Quel giorno, lo stadio di Mahamasina ospitava l’ultima partita del Campionato del Madagascar tra l’AS Adema e lo Stade Olympique de l’Emyrne (SOE), due squadre di Antananarivo sin qui in gara per il titolo. Tenuto a distanza fino alla giornata precedente, il SOE non ha più speranze al calcio d’avvio e l’AS Alema tiene già in pugno la sua prima consacrazione a campione. Ma il modo in cui lo Stade Olympique è stato estromesso dalla corsa al titolo nella partita precedente – un rigore fischiato allo scadere dei minuti supplementari che gli è costato vittoria e chance di vincere il campionato – induce i giocatori a perdere intenzionalmente quest’ultimo incontro, in segno di protesta. Per ridicolizzare l’arbitraggio di cui si ritengono vittime, i giocatori dell’Emyrne decidono quindi di passare i 90 minuti della partita a fare gol nella propria porta.
Risultato finale 149-0, uno scarto incredibile e una polemica clamorosa.
Gli spettatori hanno apprezzato assai poco lo spettacolo. Ben presto si precipitano verso le biglietterie dello stadio per chiedere il rimborso dei biglietti acquistati. La cronaca non dice se abbiano ottenuto soddisfazione. In compenso, la Federazione malgascia di calcio ha deciso di sanzionare questa parodia di partita.
L’allenatore dello Stade Olympique, accusato d’aver orchestrato il tutto, viene sospeso per tre anni. Quattro giocatori – fra cui il capitano e il portiere del SOE, autori di buona parte dei gol – vengono sospesi fino alla fine della stagione 2002, con il divieto di accedere allo stadio per lo stesso periodo. Tutti gli altri giocatori, di entrambe le squadre, ricevono un semplice avvertimento. Quanto all’arbitro non riceve alcuna sanzione, benché alcuni dirigenti del calcio malgascio gli rimproverino di aver lasciato arrivare la partita alla fine, invece di fermare una simile pagliacciata. Il che è ciò che ha permesso di ufficializzare il risultato, che figura ormai nel Guinness dei primati. Un record mondiale che verosimilmente non verrà mai battuto.
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