Non ti sta bene come vanno le cose? Ti sembra di stare in una palude? Basta indugi! Fai un governo anche tu! Ecco il nostro modello! Prendi esempio da quello che facciamo noi e gioca con gli amici a Governo anche tu!
Presidente del consiglio
Eunomo, personaggio mitico.
Fu ucciso per sbaglio da Ercole. Mentre Eunomo, che era coppiere alla corte del re Calidone,
gli versava sulle mani dell’acqua tiepida destinata a lavargli i piedi, Ercole volle dargli uno schiaffetto,
ma la sua forza fu così grande che lo uccise sul colpo.
Ministro degli interni
Angelino Alfano, usciere della sede di Forza Italia in via dell’Umiltà, ora in servizio al centro benessere Nuovocentrodestra.
Grande conoscitore di interni. Famosa la sua frase: “Lasci qui, non può salire”.
Ministro degli esteri
James Burnett Monboddo, filosofo scozzese.
Riteneva che la pigmentazione nera della pelle degli africani fosse solo superficiale, dovuta all’esposizione continua ai raggi solari e alla sporcizia in cui vivevano, e che bastasse sfregare con forza la cute per far ritornare in bella vista il colore naturale della pelle umana, cioè il bianco.
Ministro all’innovazione
Arto Gu, magnate lappone.
Ha realizzato un vasto progetto di cablatura dei fiordi, sfruttando il fatto che i salmoni risalgono i fiumi. Legando il rocchetto del filo di fibre ottiche alla coda del salmone, ha ottenuto in pochissimo tempo una rete completa della regione del golfo di Botnia. Conosce più di 600 barzellette sulle renne.
Ministro della giustizia
Julie Recamier, gentildonna francese, inventrice della scala di misurazione omonima. La scala Recamier serve a misurare il “punto giusto”. Dalla cottura delle torte, alla sodezza dei glutei, alla democrazia di uno stato. Famosa anche per le battaglie a favore delle marionette.
Ministro delle pari opportunità
Ivan Fredorovic Paskevic, poeta postromantico e chimico dilettante.
Tentò di innestare il ciclo mestruale negli uomini.
Ministro dell’istruzione
Vladimir Prelog, fisico svizzero di origine incerta.
Ha sviluppato un sistema di apprendimento generale che si basa sull’utilizzo di un numero definito (68) di nozioni chiave, tra cui “fibra”, “occhiello”, “puzza”, “reggi-”. Tramite questi concetti fondamentali è possibile imparare in tempi brevissimi interi sistemi cognitivi: da una lingua straniera a una teoria scientifica.
Ministro dell’ambiente
Wang Yang-Ming, industriale cinese.
Riprendendo le teorie di Aristotele ha cercato di trovare applicazione nell’ambito della lotta all’inquinamento del concetto di vuoto. Tra i suoi tentativi quello di circoscrivere i gas nocivi dell’aria in bolle di sapone.
Ministro delle riforme costituzionali
Roberto Maroni, ex-rappresentante della Avon, ora esponente di spicco della Lega.
Fautore del metodo morbido di “federalismo a piccole riunioni nelle case”. Il sistema consiste nel riunirsi a casa di chi è disponibile in piccoli gruppi con pasticcini e tè, e qui l’addetto dello stato esporrà il progetto di riforma costituzionale. Il piatto che sa cucinare meglio è il maialino al latte.
Ministro alle comunicazioni
Marco Avito, imperatore romano d’occidente e collezionista di lische di pesce.
Il suo progetto più ambizioso fu quello di continuare a far credere tramite una campagna di propaganda che l’impero romano esistesse ancora anche dopo il 476. In questo modo riuscì a creare un sistema di riscossione delle imposte per l’impero che in alcune regioni durò fino all’Ottocento.
Morì ucciso dal cognato Rufo Festo, anch’egli collezionista.
Ministro della sanità
Polonio, elemento chimico e personaggio scespiriano.
Radioattivo, amico di Amleto, scoperto dai coniugi Curie. Tra i suoi progetti futuri c’è quello di trasformare il lago di Garda in una riserva di aspirina effervescente già sciolta.
Ministro dell’economia
Arthur William $, inventore della moneta omonima.
La sua fu un’esistenza avventurosa: abbandonato dai genitori in un cassonetto all’età di ventitré anni, ne uscì solo a cinquant’anni passati. Volle mettere a frutto questa sua esperienza, e inventò il cinema senza schermo.
Ministro della cultura
Silvio Berlusconi, industriale edile e voce di Chewbecca nell’edizione italiana di Guerre Stellari.
Tra i suoi progetti di riforma: la trasformazione dell’Italia in paese dell’America Latina, l’allestimento di una grande mostra itinerante sul conflitto d’interessi, la privatizzazione entro il 2016 delle cosche mafiose.
Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo – sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory – ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L’Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

Prendiamo ora in considerazione i meccanismi di disimpegno morale elaborati da Bandura, cioe’ le strategie cognitive con cui i ragazzi giustificano le loro aggressioni.
Le forme di disimpegno morale possono strutturarsi, stabilizzarsi e quindi diventare un modello per il soggetto, che in qualche maniera lo svincolano da regole e norme.
Una tra le forme di disimpegno morale individuata da Bandura e’ l'”etichettamento eufemistico”, ed e’ la modalita’ attraverso cui il ragazzo definisce positivamente un comportamento negativo (“stavamo scherzando”), in modo da far capire che non aveva intenzioni negative.
Ci sono, inoltre, due forme di disimpegno morale legate alla vittima. La prima modalita’ e’ la “deumanizzazione della vittima”, la psicologia ha evidenziato come noi abbiamo una propensione naturale e fisiologica a non esercitare violenza nei confronti dei nostri simili se li consideriamo tali. Possiamo, pero’, renderli non piu’ nostri simili (la vittima quindi “non e’ un essere umano, si merita di essere trattata in quel modo”), cosi’ si nega loro il principio di umanita’.
l’altro viene degradato ad essere non umano, ad essere inferiore.
Nel mondo della scuola questo puo’ avvenire perche’ ci sono alcuni soggetti che si prestano ad essere svalutati, perche’ le loro caratteristiche individuali, forse problematiche sotto alcuni aspetti, possono favorire e incrementare questi atteggiamenti da parte dei compagni. La deumanizzazione della vittima favorisce quindi la violenza e rende meno grave l’atto compiuto.
l’altra modalita’ molto frequente e diffusa di disimpegno morale e’ la “colpevolizzazione della vittima” rispetto al comportamento violento che e’ stato esercitato nei suoi confronti (“mi ha provocato”), e’ una modalita’ di disimpegno morale molto frequente perche’ culturalmente si ritiene che se ad una persona e’ successo qualcosa di negativo in qualche modo se lo e’ meritato.
Infine citiamo la teoria del “capro espiatorio”, che sembra adeguata a descrivere il ruolo della vittima nel fenomeno del bullismo. In questo caso, i comportamenti aggressivi diretti verso la vittima, sarebbero espressione di meccanismi difensivi come spostamento e proiezione, cosi’ le tendenze aggressive che non possono essere dirette verso il loro obiettivo naturale, sono spostate su una vittima innocente e meno pericolosa, alla quale vengono attribuite caratteristiche stereotipate negative.
Perche’ il bullo ha i suoi fidati gregari e il gruppo facilmente si uniforma e accetta di diventare complice, in modo passivo o attivo, delle sue prepotenze?
Questo comportamento da parte dei componenti del gruppo risponde a delle finalita’ auto protettive sotto due aspetti. Primo, limita la possibilita’ che quel soggetto diventi personalmente vittima del bullo.
Secondo, l’identificazione con l’aggressore crea l’illusione di essere personalmente potenti e non indifesi. Non si tratta, quindi, del riconoscimento della leadership del bullo da parte dei coetanei, ma piuttosto questi saranno disposti ad accettare i suoi modi, poiche’ combattuti tra amore e timore per lui. Questo rappresenta pero’ una grave minaccia per il benessere del gruppo.
Popolarita’ del bullo: Godere del favore dei compagni significa disporre di preziose opportunita’ sociali, mentre il rifiuto porta all’esclusione dalle attivita’ collettive.
Diversi studi dimostrano che i bulli hanno una popolarita’ che rientra nella media, o poco al di sotto di essa e sono spesso circondati da un gruppo di due o tre coetanei sostenitori.
Spesso i compagni esprimono nei confronti della vittima antipatia e rifiuto, mentre l’atteggiamento verso il bullo varia in base a diverse circostanze, in particolare i fattori contestuali e individuali assumono un ruolo cruciale nel determinare l’atteggiamento dei pari nei confronti del bullo.
Tra i fattori contestuali, un elemento molto importante e’ l’efficacia delle azioni: il rifiuto viene espresso verso quei compagni che con le loro condotte aggressive non raggiungono lo scopo.
Tra i fattori individuali, ricordiamo che la popolarita’ dei bulli e’ destinata a diminuire con l’aumentare dell’eta’, perche’ con l’eta’ le strategie aggressive cambiano e si passa da forme di aggressivita’ dirette a modalita’ indirette e si sviluppa la capacita’ di giudicare secondo criteri morali i comportamenti propri e altrui, per cui chi utilizza condotte aggressive e’ considerato riprovevole e degno di rifiuto.
l’autoaffermazione del bullo:
Il bullismo e’ una modalita’ proattiva, ossia, e’ un comportamento messo in atto senza provocazione da parte della vittima ed e’ agito dall’aggressore al fine di raggiungere il suo scopo, il dominio e il potere sugli altri. Il bullismo trova la sua motivazione nell’affermazione di dominanza interpersonale. Il bullo sa affermare se stesso nel gruppo soltanto attraverso l’uso deliberato della forza.
l’aggressivita’, pero’, non ha solo una valenza negativa, puo’ essere prosociale nel momento in cui non mira a infliggere un danno ma a conquistare un obiettivo socialmente accettabile. E’ inoltre una funzione centrale al servizio dell’autorealizzazione, ci permette di confrontarci, reagire, difenderci, avere rapporti con gli altri.
A differenza del bullo, un bambino che utilizza una modalita’ di adgredere in modo funzionale, e’ un bambino che gestisce l’aggressivita’, e’ capace di mediarla, di sentire le proprie e altrui esigenze, e’ in grado di mettersi nei panni dell’altro e utilizzare costruttivamente l’aggressivita’ in una dimensione relazionale, mettendo in atto delle azioni in modo commisurato all’importanza della posta in gioco e ai propri principi morali, senza ricorrere alla rottura della relazione come soluzione del contrasto.
Bullo: leader impostore?
Appare ora chiaro che il fenomeno del bullismo non risiede soltanto nella relazione bullo-vittima, ma e’ un fenomeno collettivo, che coinvolge l’intero gruppo, che puo’ sostenere e rinforzare il fenomeno.
Il bullo e’ il leader del gruppo?
Se pensiamo alle caratteristiche fondamentali del leader, quali l’empatia, l’abilita’ a relazionarsi, la valorizzazione e il coinvolgimento degli altri, il senso della comunita’, l’agire efficacemente, l’essere attento al clima del gruppo e ad arbitrare eventuali conflitti, l’essere assertivo, ci rendiamo conto che queste caratteristiche non appartengono al bullo.
Il bullo non e’ empatico, non possiede la facolta’ di porsi nei panni altrui, l’identificazione con l’altro da se’ e’ un concetto che non gli attiene, l’identificazione invece e’ un concetto fondamentale relativo alla sicurezza e costituisce un efficace inibitore dell’aggressivita’. Infatti secondo studi di etologia, l’essere umano possiede una facolta’ di inibizione innata all’aggressivita’ che gli impedisce di eliminare il proprio simile, facolta’ basata sulla possibilita’ di identita’ ed empatia con l’altro percepito come essere uguale a se’.
Il bullo non attua un comportamento per valorizzare e coinvolgere gli altri, le introiezioni che propone sono rigide e vanno accettate incondizionatamente, i compagni non sono chiamati ad attivare le proprie capacita’ e risorse.
Una competenza comunicativa fondamentale per il leader, e di cui il bullo e’ mancante, e’ l’assertivita’.
Questa rappresenta uno stile comunicativo che permette all’individuo di esprimere le proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere positivamente le situazioni e i problemi. Tale modo di comunicare nasce dall’armonia tra abilita’ sociali, emozioni e razionalita’: chi e’ assertivo sa esprimere in modo chiaro e efficace emozioni, sentimenti, esigenze e convinzioni, riducendo ansia e aggressivita’. Obiettivo per una comunicazione assertiva e’ la capacita’ di ridurre le proprie componenti aggressive e passive. Per contro il bullo ha una modalita’ relazionale improntata sulla prevaricazione e sulla coercizione.
Il bullo e’ quindi un leader impostore?
Innanzitutto chiariamo cosa intendiamo per impostore.
Nonostante nell’uso comune questo termine abbia una connotazione negativa (bugiardo, ciarlatano, imbroglione), secondo la Gestalt Psicosociale rappresenta una parte dell’identita’ che appartiene a tutti, vuol dire che a volte si mostra una parte o un solo aspetto di se stessi, si modifica in qualche misura e in qualche circostanza la percezione che si da’ di se’, e questo puo’ avere una valenza positiva o negativa, a seconda se lo si attua funzionalmente o rigidamente.
Il bullo e’ un leader impostore e lo e’ in modo rigido e quindi disfunzionale. Persegue deliberatamente i propri obiettivi di dominanza e di mantenimento della reputazione attraverso modalita’ aggressive e di supremazia, dando nessuna importanza ai sentimenti altrui per il proprio tornaconto. Quindi manipola le situazioni per vantaggio personale, ignorando l’infelicita’ della vittima e non accettando la responsabilita’ delle proprie azioni.
Il bullo utilizza l’impostura in modo pervasivo e costante, e cio’ non e’ funzionale al benessere suo ne’ a quello del gruppo, che e’ un gruppo dove non c’e’ tranquillita’ emotiva nei rapporti, un gruppo che non puo’ crescere, dove le potenzialita’ individuali non sono valorizzate, dove l’espressione dei membri non puo’ essere libera, poiche’ le critiche non sono accettate.
Conclusione:
In una cultura dove dominano i “Franti” di De Amicis, in cui l’autoaffermazione passa per la scissione degli individui tra forti e deboli, una cultura lontana dalla valorizzazione degli aspetti prosociali del comportamento, vale la pena impegnarsi affinche’ i nostri ragazzi possano crescere in un clima di educazione affettiva e di promozione di armoniche relazioni sociali.
Cosa si puo’ fare?
La paura di essere spodestati, di perdere il proprio ruolo, la gelosia, sono reazioni piuttosto naturali, diffuse, specialmente nello sviluppo, quando ci sono tante conquiste da fare: un’identita’ da costruire, uno spazio da crearsi, una posizione da acquisire all’interno dei gruppi di riferimento (la famiglia, la classe); specialmente in queste fasi dello sviluppo, dove il proprio ruolo e’ ancora in parte da definire, e’ facile percepire come minaccioso qualsiasi tentativo di intrusione.
Il bisogno di ferire l’altro minacciandolo o deridendolo e’ un modo di esprimere l’aggressivita’ che ha trovato largo spazio nella storia dell’umanita’, facendosi largo all’interno della cultura.
In quest’ambito la scuola dovrebbe svolgere un ruolo importante in senso positivo, aiutando il bambino ad avere una buona sicurezza, il che comporta la sua valorizzazione e l’apprezzamento delle qualita’ positive personali. La sicurezza si rinforza e si costruisce in un contesto relazionale che offra l’opportunita’ di esprimere se stessi e le proprie capacita’.
La valorizzazione aiuta il bambino ad avere fiducia in se stesso consentendogli di superare senza timore e aggressivita’ difensiva, gli ostacoli, gli insuccessi, le frustrazioni.
Per contro, un’educazione autoritaria, ponendosi come un’educazione frustrante e punitiva che limita il bambino nel raggiungimento degli obiettivi e nella realizzazione di se’, e’ fautrice di atteggiamenti di risposta di tipo aggressivo. Svalutare un bambino punendolo, non serve ad evitare il ripetersi dell’azione indesiderata e significa provocare indirettamente comportamenti aggressivi di tipo difensivo.
Questo non significa che la scuola e la famiglia non debbano porre limiti al bambino, infatti la sicurezza in se’ si stabilisce nel progressivo incontro con le difficolta’ commisurate alle proprie possibilita’. Significa, invece, che il modello educativo che suscita comportamenti meno aggressivi non e’ ne’ autoritario, ne’ aggressivo, ma autorevole, che non evita ostacoli e punizioni, e lo fa in un clima di affetto e valorizzazione.
E’ importante osservare e lavorare il prima possibile su comportamenti aggressivi e di prevaricazione, perche’ la violenza e’ un’abitudine che e’ molto difficile da destrutturare quando si organizza in maniera forte. Quindi e’ importante intervenire, altrimenti l’aggressivita’ diventa una modalita’ che poi si trasforma e puo’ impedire ai ragazzi di sviluppare competenze prosociali, emozioni, empatia, comunicazione assertiva, tutte quelle emozioni sociali che servono per crescere armonicamente come individuo tra gli altri e conquistare i rapporti interpersonali.
Monica Vivona