“The Whale Theory” (Johan & Levi, 2021) di Claudia Losi è una narrazione polifonica, un luogo di incontro di competenze e sguardi che spaziano dalla performance artistica alle scienze naturali, dall’antropologia alla zoologia e alla tutela ambientale. Le pagine sono solcate da cetacei che disegnano una geografia marina fantastica eppure reale, fatta di parole e visioni che hanno nutrito il mistero della balena tanto nell’immaginario privato dell’artista quanto in quello collettivo.
Con testi di: Christopher Collins, Matteo Meschiari, Vinicio Capossela, Jean Rezzonico, Jean D’Yvoire, Gianni Pavan, Silvia Bottani, Tore Teglbjaerg, Mauro Sargiani, Petra Aprile, Sunaura Taylor, Gioia Laura Iannilli, Jurg Slabbert, Kate Pocklington, Philip Hoare.
Di seguito, una nota di Claudia Losi e un testo di Philip Hoare dal libro.
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Stare dentro e non potere uscire.
Guardare fuori in attesa che passi.
Tutto quello che leggerete e vedrete in questo libro e un racconto durato vent’anni.
Un arcipelago che si compone di isole, stretti e continenti in movimento, come le correnti che lo attraversano, dai tempi e dalle voci differenti.
È la mia Balena. Un animale che è vissuto grazie all’aiuto di molte persone e tante comunità temporanee.
Mi ha inghiottito e protetto per un lungo tempo.
Non avrei mai immaginato che la forzata chiusura di questi giorni sarebbe stato il momento in cui avrei messo la parola fine.
Uscirò da queste stanze. Uscirò dal suo ventre.
Forse.
Claudia Losi, Italia, 2020
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Philip Hoare Ho visto la mia prima balena a Londra
La prima volta che vidi una balena fu al museo di storia naturale di Londra. Non era vera, ma la versione gigante di un giocattolo di pezza, l’imponente modello a grandezza naturale di una balenottera azzurra. Per quanto fosse grande (quella specie arriva a trentatré metri di lunghezza), ciò che mi colpì davvero fu il suo occhio onniveggente. Lo sguardo puntava in lontananza, sopra le teste di ippopotami, giraffe ed elefanti raggruppati sotto di lei come in attesa di una nuova arca di Noè, ma quell’occhio sembrava seguirmi per tutta la sala. Qualche anno dopo vidi per la prima volta un cetaceo vivo, nella cornice surreale del Windsor Safari Park, oggi un parco Legoland, nella quieta campagna inglese. In una vasca appena più grande di una piscina di quartiere, dipinta di azzurrino per ricordare l’habitat naturale dell’animale, una giovane orca maschio di nome Ramu faceva i suoi esercizi. Saltava nel cerchio, teneva la palla in bilico sul muso, prendeva al volo il pesce che le veniva lanciato come ricompensa. Capii che non era il mondo subacqueo di Jacques Cousteau, ma uno spettacolo circense, un po’ bizzarro, persino grottesco.
Per me fu un momento rivelatore: dovetti rinunciare al mio amore per le balene e per i delfini perché avevo capito che facevamo loro grandi torti. Un salto in avanti di trent’anni, Provincetown, Cape Cod. Ero stato invitato in questa località di mare del New England dal regista John Waters. Solo alla fine del soggiorno mi resi conto che si potevano vedere balene vere, vive, nel loro habitat naturale. In attesa del traghetto che doveva portarmi all’aeroporto di Logan, vidi la pubblicità di un’escursione con whale-watching. Per ammazzare il tempo decisi di andare, senza troppa convinzione. Mezz’ora dopo, in mezzo all’oceano Atlantico, una megattera di quaranta tonnellate, lunga quindici metri, saltò fuori dall’acqua proprio davanti a me. Rimase lì sospesa, per una frazione di secondo, a mezz’aria, come a voler rimarcare la nostra affinità di mammiferi. Un mostro infestato di crostacei (Megaptera novaeangliae, “abitante della Nuova Inghilterra dalle grandi ali”), circondato da un’aureola di spruzzi. Come se qualcuno avesse messo in pausa la natura per un istante. Essendo, a quanto pare, uno scrittore affermato, reagii con una sola esclamazione carica di poesia: Cazzo!
Perché non ci sono parole che possano colmare la distanza che c’è fra il loro mondo e tutto il resto. Ero di nuovo ossessionato, punto e a capo. Tornai a Provincetown, feci numerose altre escursioni e moltissime fotografie. Quando le feci vedere a John, mi accusò di spacciare materiale pornografico sulle balene e disse che sarei diventato uno stalker. La balena esercita un richiamo sul bambino che è in noi. Elude il nostro cinismo. Riattiva una comunicazione, quasi fisica, con il senso di meraviglia che abbiamo perduto.
Siamo nel pieno di una rivoluzione ambientalista che questi grandi cetacei hanno reso possibile. Sono state le campagne per la protezione delle balene della mia infanzia – delle quali a malapena mi rendevo conto da ragazzino della provinciale Southampton – le fonti ispiratrici di organizzazioni come Greenpeace e Friends of the Earth. Quando Roger Payne calò l’idrofono nelle acque al largo delle Bermuda e registrò il canto di una megattera, quella creatura, fino ad allora muta e incapace di protestare per le violenze subite in secoli di caccia durante i quali l’uomo se ne era appropriato a suo uso e consumo, ebbe all’improvviso una voce. Un ossessivo canto funebre, un lamento. La balena era entrata nella cultura popolare.
Il mio personale viaggio nel mondo delle balene mi ha portato dai musei e dai grandi acquari fino al mare aperto. Nel 2008 ho pubblicato il mio inno alla balena, Leviatano, ovvero La balena; ma non era in realtà che un effetto collaterale della mia ossessione. A quelli come me, le balene danno dipendenza; i cetacei sono la mia droga pesante. Ho convinto la BBC a farmi girare un documentario con il regista Adam Low, vincitore del premio BAFTA (British Academy of Film and Television Arts), e ho trascorso cinque anni alla ricerca delle balene e della vera storia che sta dietro Moby Dick di Melville, il prodotto della sua ossessione. Il film si chiude con me che nuoto insieme a un capodoglio gigante nelle acque profondissime delle Azzorre.
È stato come se tutti i miei sogni fossero diventati realtà. La balena stava finalmente nuotando verso di me, un grande spettro grigio, la vera forma dei miei fantasmi. Avevo una tale paura che per la prima volta da quando ero bambino persi il controllo delle mie funzioni corporee. Poi la balena cominciò a ecolocalizzare il mio corpo con una serie di schiocchi esplorativi. Più che udirli li percepivo. Che paradosso. Avevo passato anni a cercare di capire che cosa fossero le balene; e ora che stavo per toccarne una, era lei che cercava di capire che cosa fossi io.
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Biografia di Claudia Losi
Claudia Losi (1971), artista visiva, trova nelle scienze naturali e umanistiche, oltre che nelle interazioni umane con l’ambiente, un riferimento costante per la sua ricerca, che si esprime attraverso una grande varietà di media: scultura, fotografia, disegno, performance e interventi site specific. Ha esposto le sue opere in numerosi contesti e musei in Italia e all’estero.
Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente
