
di Francesco Recami
Milena Q. (Quaglini) è un personaggio realmente esistito e che nel 2001 è assurto agli onori della cronaca come “l’angelo sterminatore”, avendo ucciso almeno tre persone, tre uomini, probabilmente di più. Ma tre sono sufficienti per meritarsi l’appellativo di serial killer, e così è stata definita la Quaglini. Sulla stampa, in libreria, sono usciti numerosi articoli e reportage, e perfino alcune trasmissioni televisive le sono state dedicate, un’occasione succulenta per gli amanti del genere, soprattutto perché il killer è una donna. Ci si è concentrati sul suo modo di agire, e di fuggire, e poi sulle dinamiche processuali, fino al gesto estremo che ha messo fine alla sua vita.
Elisa Giobbi riprende in mano il caso, ma non certo per lanciare nuovi misteri polizieschi o interessi pruriginosi sul criminale della porta accanto, bensì per lavorare sulla complessità, contro gli stereotipi sulla violenza maschile (accettata e tollerata, se non elevata a valore definitorio del maschio) e su quella femminile (impossibile, e quindi necessariamente patologica). E guarda la storia con gli occhi di oggi. Molto è cambiato: basta con l’interesse desolante per i “crimini d’Italia”. Parliamo di Milena.
Giobbi si dichiara molto fortunata e riconoscente in quanto ha potuto consultare i faldoni dell’avvocato(a) Licia Sardo, difensore e forse unica amica della Quaglini. Così ha potuto dare una voce a Milena, anziché sottoporla al pubblico ludibrio o a stuzzicare l’acquolina in bocca degli appassionati di serial killer, che sono milioni. Varrebbe forse la pena di chiedersi perché.
Un solido impianto teorico, non esibito ma che fa da sottofondo, ci fa pensare alle teorie sulla violenza (maschile), ma il racconto è una storia, che non quadra. Milena ci narra la sua vita, fatta di soprusi, di botte e di umiliazioni. E di odio, per un padre alcolista, violento, bestiale. E per altri maschi brutali. Parla come se di Milene ce ne fossero due, o forse tre, c’è anche quella che beve. Anche lei è consapevole della sua dissociazione, tanto utile in situazioni processuali. Suo padre diceva che la Milena “è nata storta”.
La violenza e l’aggressività si assorbono, si apprendono (Bandura), si imitano, e sono una reazione alla violenza, l’unica reazione culturale che si è imparato a desiderare. La vittima si trasforma in carnefice, la pressione aumenta sempre di più, come in una pentola. Questa teoria della “pentola a pressione” (Dollard) di solito viene utilizzata per spiegare, o per giustificare, la violenza maschile, come uno sfogo obbligato dalle circostanze avverse.
Nella narrazione di Giobbi ci sono vari piani di realtà: quelli della vita e della coscienza di Milena Q., donna la cui passione, mortificata dalla vita, sarebbe quella del disegno e della pittura, irrisa e impedita da vite difficili, dalla disperazione e dalla violenza, a fronte di un animo gentile. In più ci sono documenti degli inquirenti, della magistratura, dei medici periti sulle condizioni mentali dell’assassina, dell’avvocato. Questi ci riportano a realtà esterne, fredde, inconsapevoli della complessità, che l’autrice ci disvela con semplicità: questa per me è una delle sue maggiori capacità, osservare la complessità con l’arma di uno sguardo pulito e dubitoso, senza, in fondo, prendere una posizione di partito.
Si parla di androcidio, parola coniata a specchio su femminicidio e utilizzata negli ultimi anni per ridimensionare le teorie femministe sulla tragica “normalità” della violenza maschile sulle donne. Allora affiorano e si organizzano visioni revansciste e neo machiste: non sono solo le donne a essere uccise ma anche e soprattutto gli uomini, a causa della pressione alla quale sono sottoposti e alla crisi della struttura sociale tradizionale. Quasi si invidiano i diritti dei maschi appartenenti ad altre culture nelle quali la sottomissione della donna è garantita. E un caso come quello di Milena Q. – vedete? Anche le donne uccidono – viene preso ad esempio. Per questo il lavoro di Giobbi è estremamente coraggioso e innovativo, ed evita con bravura la didascalia e gli obblighi moralistici: qual è il confine fra la vittima e il carnefice? Milena Q. subisce questa contraddizione fino alla sua morte. E le nostre certezze piccolo-borghesi vacillano.
Complimenti a Elisa Giobbi e anche alla neonata casa editrice napoletana Mar dei Sargassi, un gruppo di giovani coraggiosi e con le idee chiare che ha deciso di percorrere la strada dei confini, dei margini, dell’ambiguità della distinzione fra bene e male. In bocca al lupo, qualsiasi cosa significhi.
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