(illustrazione di Maia Evangelisti)

di Alice Sagrati

Veronica non riusciva più a ricordare il viso di sua madre.

Aveva sue foto sparse nella casa dove viveva: una sul comò in legno, una sulla mensola dei libri in camera, un’altra in bagno, un po’ rovinata dai vapori dell’acqua. Alle volte passava ore davanti alle fotografie della madre per cercare di fissare bene in mente i lineamenti del suo volto: occhi, labbra, orecchie, naso, nei, la sua particolare montatura degli occhiali. Ogni qual volta, poi, le capitava di distogliere gli occhi dalle fotografie, l’immagine era già persa, disintegrata nei meandri della sua memoria. Quando chiudeva gli occhi e il nero iniziava a impossessarsi della sua visione, il volto di sua madre scappava. A dire il vero qualcosa rimaneva ed era qualcosa che non c’era in nessuna delle fotografie appese per la sua casetta. Veronica ricordava perfettamente sua madre da dietro: i riccioli castani ben definiti, spesso raccolti in una coda di cavallo alta, che scoprivano una nuca elegante, fine, slanciata, un piccolo neo in basso a destra e una macchietta color caffelatte proprio all’attaccatura della schiena. Alcune volte aveva una sottile collana di oro puro con un aggancio a forma di conchiglia, altre volte la ricordava con il collo ben sgombro, liscio.

Sua madre era morta solo da qualche mese, ma la sua memoria aveva iniziato subito a farle dei bei scherzetti, come li definiva lei. All’inizio il suo lutto era stato liquido, non riusciva a fare pace con l’idea di essere rimasta intrappolata nel corpo di un essere umano, mentre si sentiva attratta dalla gravità e voleva trasformarsi in una pozzanghera. Si sentiva come un groviglio di acque putride, non riusciva a smettere di piangere, non riusciva a chiudere occhio, non riusciva a smettere di mangiare qualsiasi cosa le passasse sotto il naso. Ogni cosa che vedeva o toccava, le ricordava qualcosa che aveva fatto con sua madre o qualcosa che avrebbero potuto fare insieme a lei. Veronica capì, per la prima volta, che è proprio vero che il lutto è una continua mancanza, di quello che c’era e di quello che non c’era, ma soprattutto di quello che non ci sarebbe stato. Poi un giorno, di colpo, smise di piangere e non ricominciò più.

La pozzanghera si era trasformata in un corpo, sì umano, ma martoriato. Veronica descriveva il suo dolore come se le sue iridi fossero perennemente inquinate dal petrolio. C’era una macchia nera su tutto quello che vedeva. Si svegliava la mattina e la prima cosa che guardava ogni santo giorno da anni, la scrivania di fronte al suo letto, era offuscata dalle piccole macchioline nere che il lutto aveva fatto, lentamente, apparire nei suoi occhi. Per un periodo diede loro dei nomi, Giulia e Arianna. Due ragazze del suo lavoro che non le stavano per niente simpatiche. Giulia e Arianna danneggiavano ogni paesaggio, ogni film visto al cinema, ogni corsia del supermercato, diventando quasi pericolose. Ci fu una volta che evitò, per poco, un incidente stradale notturno. Veronica, allora, andò a farsi vedere da un’oculista, cercando di capire che cosa fossero quelle macchiette e se, magari, c’era un qualche tipo di cura. L’oculista la liquidò dicendo che forse era meglio provare con uno psichiatra, non c’era nessuna macchia nei suoi occhi e di avere a che fare con i pazzi, non ne aveva proprio voglia. Veronica non seguì il consiglio e dopo un po’ sparirono da sole.

Veronica si chiedeva, costantemente, quale sarebbe potuto essere il suo prossimo sintomo. Ogni giorno andava al lavoro, faceva la fioraia in un piccolo mercato del centro, annaffiava piante, creava bouquet per le future spose, sfogliava riviste di lifestyle, e faceva lunghe chiacchierate con Gina, la sua collega di sessantatré anni che iniziava ogni frase con “pensando e riflettendo”. Una mattina, apparentemente simile a tutte le altre che aveva vissuto, mentre stava fissando un mazzo di gardenie, pensando e ripensando al film degli anni ‘50 Gardenia Blu, una piccola rondine atterra sulla soglia d’ingresso del piccolo negozio di fiori. Veronica all’inizio non ci fa molto caso, in generale la sua soglia dell’attenzione sul resto del mondo è abbastanza bassa: spesso non si accorge del cambio delle stagioni e si ritrova con maglioni pesanti ad aprile o scarpe aperte durante i temporali di ottobre, ogni tanto inciampa per strada perché è troppo concentrata ad ascoltare qualcuno blaterare nelle sue orecchie oppure, come succede negli ultimi tempi, a ricordare il volto di sua madre.

La rondine si avvicina a Veronica, fa passetti svelti, decisi. Supera la soglia dell’ingresso del negozio e inizia a girovagare tra i fiori, come se stesse cercando qualcosa di preciso.

Veronica lo guarda, l’uccello fa lo stesso, si osservano per una buona manciata di secondi. Poi l’uccello prende con il becco una gardenia e vola via, in un rapido movimento di ali. Veronica all’inizio non da peso all’incontro con la rondine. A fine giornata, fa cassa, saluta Gina e passeggia verso casa. Dopo pochi metri, infila la chiave nel chiavistello della porta, sale la rampa di scale e con la seconda chiave rigirata nella toppa entra dentro casa sua. Allora si accorge che tutte le foto di sua madre sono sparite, ma non come se un ladro fosse entrato e avesse avuto un impulso di stalking verso una defunta, le cornici sono rimaste, le foto anche, ma è sparita la figura principale. Nella foto sul comò di legno, che raffigurava sua madre in viaggio a Parigi, rimane solo una tour eiffel in lontananza, di quella sulla mensola della sua camera, che la raffigurava abbracciata a due amiche di vecchia data, rimangono solo gli altri due soggetti fotografati, di lei non c’è più traccia. Veronica, dopo un primo momento di panico, chiude gli occhi e prova a immaginare sua madre: occhi chiari, di un verde striato, una carnagione chiarissima con qualche neo che circumnaviga la bocca molto carnosa, due labbra decise, il naso importante che svetta su un volto timido ma accogliente. Veronica apre gli occhi e si sente sollevata, poi toglie accuratamente tutte quelle foto vuote dalla sua casa. Quello fu l’ultimo sintomo.

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

redazione@minimaetmoralia.it

Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente

Articoli correlati