«Le api si orientano col sole. Sugli occhi hanno un fotorecettore speciale con cui percepiscono l’angolazione dei raggi del sole. Da lì ricavano le coordinate spaziali. Noi umani registriamo lo spazio come una serie di immagini. Quel cartello. Quel viottolo. Le api invece lo registrano come una serie di punti. Per questo sono tanto brave a tornare ogni giorno all’alveare dopo l’impollinazione. Ma questo è anche il motivo per cui adesso non ci sono più, e non sono sicura che torneranno».

Incontriamo questo breve passaggio a pagina 45, nel libro E il sole se ne va – primo romanzo di David Connor, pubblicato da Black Coffe, tradotto da Sara Reggiani -; un giorno di colpo il sole è sparito, o quantomeno non è più visibile, ma prima ancora che per gli umani, questa scomparsa è fondamentale per altri esseri viventi, come le api. Il sole se ne va e queste non sanno più che fare, cosa fare, dove andare e soprattutto dove tornare. La frase la pronuncia una donna che ne sta studiando il comportamento in assenza, la dice a Mr. Blue il protagonista di questo romanzo. Romanzo che a che fare con la fisica, con la metafisica, la scienza, la poesia e l’amore. In definitiva, un romanzo sullo smarrimento.

Lei possiede dello spazio? Mi chiede e io ci penso su. Non so rispondere e mormoro un no, spiegando che sono sempre in movimento. Non mi fermo da un mese e l’unica cosa che possiedo è la mia macchina che ho lasciato in stazione.

Mr. Blue da quando il sole è sparito non può stare fermo, non sa stare fermo. Di lui non sappiamo niente, viene da un posto, come tutti, ed è arrivato in Arizona, lui crede che il sole sia lì, dalle parti della cittadina di Sun City. Ma quale? Chi ha inventato quel luogo afferma di averne inventate centinaia. Da Sun City a Phoenix e poi Tempe, e dopo Bumble Bee, e ancora a Mente (già!), e a incrociare una stazione di treni chiamata Sostanza nera. Mr. Blue viaggia, e questo rende il libro un romanzo americano tradizionale, macchina e chilometri. Ma Connor è uno scrittore insieme lirico e onirico, postmoderno e curioso, perciò, il libro si scioglie su un confine che ondeggia continuamente tra realtà e sogno, come se discendesse direttamente da una poesia di Mark Strand, l’ultimo Strand, quello del quasi invisibile.

Mr. Blue di tappa in tappa incontra strani, curiosi, misteriosi e affascinanti personaggi. Abbiamo detto della donna delle api, e poi c’è il dottor Highley, scienziato dell’eliosismologia, che dorme con un uovo sulla fronte, ininterrottamente, dal giorno in cui il sole è scomparso, e ci sono Pete e Tom che si improvvisano ballerini davanti un Jukebox di un bar sperduto lungo la strada. E poi c’è M., amata e scomparsa, ricordata per frammenti, come in una nebulosa, come accade per i sogni. Chi è M.? Dov’è per davvero? È lei a sapere dove si nasconde il sole? Oppure, dato amore x amore, è lei il sole? Le api si orientano con il sole. Le donne e gli uomini con l’amore? Forse non è vero ma è tanto bello da immaginare.

Una luce attraversa la stanza e si frantuma in una tempesta di polvere fine che pervade lo spazio vuoto. Fuori, la torre dell’orologio produce un rumore che pervade tutto il paese che sembra identico a Sun City […].

Lo scopo di Connor però – e per fortuna – non pare essere solo una relazione che finisce o un astro che scompare; il suo obiettivo prima del destino è il viaggio, è il luogo in continuo movimento in cui conduce la lettrice e il lettore. Perché poi, lo sappiamo, qualunque sia la storia, in America ce n’è sempre un’altra che si fonda, costruisce e trasforma lungo la strada.

Questa è solo una delle tante storie che si svolgono sotto lo stesso cielo in continua evoluzione, sotto la stessa inconcepibile costellazione di stelle di sempre.

La gente in questo romanzo, apparentemente, pare non curarsi dell’assenza del sole, non perché si sia abituata ma perché è predisposta ad accettare lo stato delle cose, così com’è. Eppure, loro stessi sono cambiati, cambiano ogni istante, ogni giorno. Il sole se ne è andato ma non è buio, è tutto solo più vasto, bianco opaco, grigio sporco. Tutto sperduto e perduto. Lo si capisce dalla polvere lungo la strada, dai boccali di birra finiti a metà, dai discorsi filosofici senza senso o pieni di senso, o entrambe le cose. Lo si capisce dalla lentezza e dal suono piano che hanno tutte le frasi. Lo si capisce da come le persone si guardano, da come se ne vanno, da come ballano in pochi metri di pavimento.

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

Articoli correlati