Sesta parte di una serie a cura di Maurizio Cotrona: la testimonianza personale di un progetto che intende produrre editoria a fumetti a Taranto. Un viaggio tra ambizioni e difficoltà. Qui le puntate precedenti.
3 settembre
Addio ordine del giorno. Riunione di assestamento.
In apertura Antonio ci racconta di alcune difficoltà che sta con incontrando per delle questioni che non riguardano Ottocervo. Mentre lui lamenta che “i ragazzini sono corciuli”, Gianmarco mi punta addosso i rintocchi di un indice, facendo un’espressione da maestro affettuoso, e mi dice “ho letto, poi ti dico”. Ci dimenticheremo entrambi e non mi dirà più nulla.
Il fatto del giorno è che Sara (l’apache che dovrebbe occuparsi di comunicazione) non c’è, per problemi personali, e che i suoi micidiali BOT, fino a oggi, hanno riposato.
Non abbiamo i layout del piano di lancio dell’editore. Antonio ci parla della possibilità di far intervenire un esperto di comunicazione milanese, quotato, che potrebbe darci una consulenza light sul tema.
Perché no?, dico, ma non riesco a immaginare come un professionista distante 1000 km possa immedesimarsi nella nostra realtà, senza produrre un risultato annacquato.
A questo punto interviene Gian Marco, che parla con un tono serio che mi spaventa. Devo abituarmi a questa cosa che fa lui fa spesso, usa un tono non perfettamente coordinato con il contenuto del messaggio. Dice “ti voglio bene” come se dicesse a un cameriere “la carne è cruda”.
Il tono di Gian Marco è quello che io userei per dire “ci abbiamo provato, abbiamo fallito, è stato un piacere, addio”. Il significato di quello che dice, per come lo ricostruisco dopo essere rimasto col fiato sospeso per venti minuti, è questo: “la nostra casa ha dei buchi, comprendo le difficoltà che Antonio sta incontrando nel tentativo riempirli e, per un periodo di tempo non troppo lungo, posso pensarci io. Però fatemi sapere con chiarezza cosa vi aspettate da me”.
A questo punto Antonio fa una cosa da manager navigato e, l’avrete capito, io non amo le cose da manager navigati.
Ci porta a prendere un caffè e fare una passeggiata, con la palese intenzione di proseguire la conversazione in un clima più rilassato. Avrà fatto degli studi in cui si imparano questi trucchi?
Io, invece, fin dalla tenerissima età, odio le situazioni tipo “passeggiare e chiacchierare in più di due persone”, perché non so dove stare, dove mettere i piedi e perdo i tempi di inserimento nel discorso.
Mentre chiacchieriamo (chiacchierano), Antonio, tra una divagazione e l’altra, dà la sua risposta alla domanda di Gian Marco (“fatemi sapere con chiarezza cosa vi aspettate da me”). Non mi azzardo a sintetizzarla, perché Antonio ha un modo di parlare luminoso ma rocambolesco, capace di accendere fuochi con una mano e spegnerli con l’altra. Gian Marco, invece, mostra di aver capito e io respiro già meglio.
Aspetto di essere di nuovo seduto, al sicuro, dentro la libreria, per dire la mia.
Io sono d’accordo con Gian Marco, manca una figura che imposti e coordini l’immagine di Ottocervo, apprezzo molto la sua disponibilità a coprila per un po’, accompagnando l’apache nel suo percorso di svezzamento (uomo coraggioso). Non mi sento pronto a fare il direttore editoriale di Ottocervo da solo e questa responsabilità vorrei dividerla con lui. Ammetto che quasi tutto quello che abbiamo realizzato fino a ora (il logo, i primi fumetti da selezionare) è farina del suo sacco. Cosa ci aspettiamo da lui? Molto. Troppo.
Assestamento concluso, pare. Rimane una mezz’ora e la passiamo ad affinare gli slogan della campagna di lancio. Ecco quello che viene fuori:
- Raccoglieremo un testimone caduto secoli fa, perprotrarlo avanti altri 100 metri.
- La periferia sarà il nostro centro.
- La gioventù, l’originalità, l’imperfezione e la timidezza saranno il nostro territorio di caccia.
- Un’immagine ha vita nella misura in cui si decide di dargliela.
- Niente steccati attorno ai nostri fumetti.
- Vogliamo fare fumetti così belli, da accettare il rischio di non farne neppure uno.
- Cerchiamo lettori capaci di farsi attraversare dalle storie.
- Il nostro nome? Lo state già leggendo.
Gian Marco preparerà dei layout e riprodurrà la testa del cerbiatto mixtecooriginario, poi la palla passerà a un misterioso “grafico esecutore” che si occuperà di fare l’ultimo metro e mettere la campagna su strada.
Una l’abbiamo portata a casa.
Maurizio Cotrona è nato a Taranto nel 1973. Esordisce nel 2006 con il romanzo “Ho sognato che qualcuno mi amava” (Palomar). Nel 2011 pubblica “Malafede” (Lantana, Premio Puglialibre come miglior romanzo) e nel 2015 “Primo” (Gallucci HD, vincitore del premio del gruppo GEMS “Io Scrittore”). Il suo ultimo romanzo è Il figlio di Persefone (Elliot edizioni, 2019). Co-direttore editoriale di “Ottocervo edizioni”, è maestro della scuola di lettura per ragazzi “Piccoli maestri”.
