Pubblichiamo, ringraziando autore ed editore, un estratto dal libro di Tommaso Lisa “Insetti delle tenebre. Coleotteri troglobi e specie relitte”, uscito per Exòrma e secondo capitolo della trilogia iniziata con “Memorie dal sottobosco”.

di Tommaso Lisa

Divento lillipuziano, una sorta di Alice; attraversato lo specchio passeggio tra i muschi, m’intrufolo tra i sassi, sotto l’architettura esile delle foglie secche. Scendo nelle pieghe e nelle fessure della terra. Sono quasi microscopico, scompaio alla vostra vista, perso nell’humus vitale del sottobosco, nel basso loco della selva. Tra aromi di funghi, pigne e legno umido. La metamorfosi è compiuta. Divento finalmente un insetto.

Vagabondiamo insieme, io e la mia guida, per sentieri entomologici alla ricerca di storie intorno ai coleotteri endogei e ipogei. Avviene un reciproco scambio di sguardi tra me che dilato la pupilla e gli insetti sotto la luce del microscopio, che non è un confronto, al contrario, è il segno di una complicità tra l’abisso della non appartenenza e me stesso. Questi coleotteri sotterranei sono diventati tali seguendo un percorso lungo certamente svariati milioni di anni; da tanto più tempo sono sotto terra, tanto più si sono adattati, evolvendo forme sempre più elaborate, specializzate, consone alla difficoltà dell’ambiente. Una lenta metamorfosi, non una mutazione avvenuta da un giorno a un altro come quella kafkiana per cui “svegliandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo”.

In merito alla differenziazione delle specie nelle svariate parti del territorio, Paolo mi parla anche del fondamentale fenomeno della radiazione adattativa, una rapida (sempre, come ovvio, in termini geologici) diversificazione di nuove specie ognuna delle quali, partendo da progenitori comuni, si è adattata a occupare una differente nicchia ecologica. In Sardegna si sono originate molte specie endemiche di piccole Typhloreicheia (un genere di Carabidi della sottofamiglia degli Scaritinae) secondo un processo di diversificazione, tipico delle isole, che Paolo ha studiato insieme a Piero Leo e Luca Fancello nel 2005. C’è una sottile distinzione tra meraviglioso e strano. Pensare che il centro della terra sia il rifugio di sapienti di origine egizia o di divinità fenicie, di templi e mostri mitici, tutto ciò è assai meno stupefacente della loro reincarnazione nelle sembianze di insetti microscopici reali che per l’appunto un demone divino tiene a battesimo. La dea Tanit s’incarna in tale insetto, evocata dal cartellino accuratamente spillato. Ecco la Typhloreicheia tanit (Leo, Magrini & Fancello, 2005), in fotografia – ingrandita e illuminata in ogni dettaglio – più bella che nelle spoglie racchiuse nella teca. È stata trovata sotto pietre semisepolte in grotte inesplorate ed è strettamente endemica di una piccola area del sud-ovest della Sardegna. La specie è conosciuta infatti solo del locus typicus, cosa che la rende ancora più rara e particolare. Tali frammenti sugli insetti ipogei schiudono le porte dell’oltreumano con un carico di piacere che accompagna l’infrazione del divieto e il ritorno del rimosso.

Tutto è vuoto al mondo, ogni struttura è cava, come sosteneva nel 1818 il capitano J. Cleves Symmes: dagli steli delle piante alle ossa, fino all’esoscheletro dei coleotteri. In effetti, se l’universo si sta espandendo, s’espande dentro qualcosa: siamo comunque dentro qualcosa – una grotta, un fungo, un insetto – e c’è comunque un fuori, un altrove che però non siamo in grado d’esplorare se non con l’immaginazione. Stare dentro un racconto è vivere dentro una bolla. Questo penso osservando i dettagli delle elitre cave e diafane della Typhloreicheia, così simile nell’aspetto alla pallida superficie delle caverne. Non c’è più il modello e la sua copia: c’è una copia che divora il modello e un modello che non esiste più, ed è solo la copia che, per una strana legge di natura, gode del privilegio di esistere. Con un minimo spostamento la parola luce si contagia con locus, luogo, e il luogo è sempre laggiù, in un altrove, oriente o profondità della terra che sia, all’estremo del mondo. Il cartellino sotto al corpo del coleottero riporta il luogo remoto di cattura: Sardegna, Villacidro, 4.IV.2007. Le Typhloreicheia sono Scaritini, una copia ridotta e incolore del ben più noto e grande Scarite nero descritto da Jean-Henri Fabre nei Ricordi di un entomologo dove viene usato a esempio per descrivere il paziente esercizio della tanatosi. Lo Scarite dalle possenti tenaglie infatti, se disturbato, come molti altri insetti inscena una morte simulata; è come quelli da cui mi facevo mordere dietro le dune del camping sulla costa tirrenica dove trascorrevo parte dell’estate, neri come un uccello del malaugurio. Lo Scarite conosce il trucco per sparire all’occhio del predatore facendo il morto, lo stratagemma della morte simulata, come un fasmide che appare fluttuante e attraversato da lievi movimenti mentre mima il ramo secco o la foglia morta, che altro non è se non la scenografia nella quale è immerso. Vita e morte sono indissolubilmente intrecciate.

Nella mitologia fenicia Tanit, che ha dato il nome a questo carabide accuratamente preparato nella collezione di Paolo, era la dea della fertilità, dell’amore e del piacere, associata alla buona fortuna, alla Luna e alle messi, simile ad Astarte, la divinità madre. Rimango suggestionato dal suo simbolo: un’archetipica sovrapposizione di figure geometriche elementari rappresentate da un cerchio, da una linea orizzontale e da un triangolo posto alla base, quasi sovrapponibili nel contorno alla tripartizione di testa-pronoto-elitre del coleottero che ho sotto gli occhi. Con un movimento d’immediata messa a fuoco il dettaglio simbolico si trasla come un tatuaggio sulle cheratine. Questo collage psichico non testimonia solo il regredire dell’oggetto alla sua tautologica enunciazione linguistica, come vorrebbe la poetica francese della littéralité; la lingua perde la sua trasparenza, ritorna a essere opaca e reale, fatto tra i fatti, ma non per questo cessa di rinviare al mondo, di costruire una tensione nei confronti di esso, di fronteggiarlo.

Dentro la teca la creatura, preparata, pur non muovendosi resuscita i fantasmi dei grotteschi abitanti di Plutonia prigionieri all’interno del globo, nuclei infinitesimi d’energia. Tracce di materia oscura.

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