di Christian Raimo

Facciamo una cosa? Una moratoria? Un accordo per cui
gli spettacoli a teatro non si chiamano più “eventi dell’anno”?
Considera solo quest’anno, appunto: è già la seconda volta che ci casco:
rimasto seduto dodici ore per i Demoni di Stein,
e alla fine a mezzanotte l’applauso all’Auditorium era uscito
come lo sfiato di un pallone.
E davvero vi assicuro non è un bene nemmeno per gli attori,
questa forma muscolare di richiesta d’attenzione:
certi minuti li vedi recitare come se fossero le ultime parole
che pronunciano sul palco, in vita loro.
Ieri Caino dei Valdoca, la seconda: mi ero preparato per l’evento:
un testo che Mariangela Gualtieri ha scritto e proclamava
da un angolo del palco quasi fosse dal cuore della Terra:
e per dei momenti precipitavo per davvero dentro il sogno insieme a lei:
i vortici di suoni, i movimenti alati degli attori,
il ritorno a un luogo in cui terra e aria non sono più distinte,
niente loci naturali, trasformazione è uguale a stasi: un posto in cui
non è già passato Dio, a separare animali e pietre.
Capitava però, senza accorgermi nemmeno:
un genio maligno nel cervello mi diceva:
ma questa vecchia china in caffettano non ti sembra Yoda di Star Wars?
E Danio Manfredini che fino al buio prima avevo creduto veramente
fosse Dio: il dio nuovo degli uomini mortali:
sopravvissuto agli angeli e ad Abele: la mia razza:
colui che grida per i colpevoli futuri prendendo in giro quell’altro Dio
disposto solo a dare lodi a chi è buono a sacrificar capretti
e non a chi sgrava dalla terra sterile i suoi frutti.
Ma poi, era un nulla, e capitava che per me Caino Danio
diventava un vecchio artritico inumano,
una figura salvaschermo che finge di essere egiziano:
sclerotico, appiattito, una delle Bangles che fa una versione buto
di Walk like an Egyptian. Un attore.
Che vuole assicurare se stesso
e i compresenti di quanto è straordinario
a essere reietto.
È questo l’uomo?, mi son detto.
Questo è il Caino maledetto
che ritrova una sua patria solamente
se fa del suo esilio una corona?
Ho applaudito e sono uscito.
Cercando una trattoria alla buona.

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4 commenti

  1. Ecco si. Capitato parecchie più di una volta, in particolare con la Gualtieri che io provo con tutti i miei sforzi ad amare nella sua dimensione performativa, ma niente non parla a quello che dovrebbe parlare. Ed è strano perchè quando l’ho letta l’effetto è stato davvero diverso

  2. Peccato che la sottocultura dell’evento, o l’arroganza della comunicazione dell’happening, releghi nell’ombra l’arte dei pochi e ponga sul proscenio la fuffa dei molti, spesso rinomati.

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Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

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