
TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI MA ALCUNI ANIMALI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI.
È ciò che appare scritto sul muro della fattoria degli animali dove i maiali hanno compiuto la loro rivoluzione totalitaria, nel famoso romanzo omonimo di George Orwell. La più vituperata bestia da allevamento, il porco, assurgeva a simbolo, con quel libro, del potere dittatoriale e autoritario, simile allo stalinismo e a tutti gli ismi novecenteschi: i maiali capeggiati da Napoleone-Stalin compievano la mutazione da bestie-popolo a uomini-padroni nel volto e nella postura, trasgredendo il primo e al secondo comandamento dell’alleanza ferina «tutto ciò che va su due gambe è nemico. Tutto ciò che va su quattro gambe o possiede ali è amico».
Ad appena mezzo secolo dall’uscita di La fattoria degli animali, Hayao Miyazaki è riuscito a capovolgere quel simbolo col film d’animazione Porco Rosso, solo ora distribuito nel nostro paese, trasformando un maiale in paradigma d’autarchia, di anarchia e in fondo di libertà.
Il ritardo con cui Porco Rosso è arrivato in Italia è colpevole, perché la storia raccontata da Miyazaki è ambientata sulle nostre sponde del Mare Adriatico e la Milano dei navigli e, soprattutto, durante il periodo tra le due guerre, quindi il fascismo. Dunque storia nostra, ma il luogo e l’epoca sono trasfigurati dall’immaginazione dell’autore giapponese: l’Adriatico è affollato da idrovolanti di tutti i tipi e misure, idrovolanti da turismo, pirati su idrovolanti, flotte dell’esercito italiano composte da idrovolanti e il fascismo sembra un tempo edulcorato. In questo cielo trafficato si aggira anche uno splendido idrovolante rosso, pilotato da Marco Pagot, un ex pilota dell’aviazione italiana, reduce della prima guerra mondiale e trasformato per un maleficio in maiale. Porco Rosso si guadagna da vivere con le taglie sulle teste dei pirati, inviso al regime e lontano dalla mondanità (rappresentata dall’Hotel Adriatico, un bellissimo albergo-isolotto in stile veneziano gestito dall’amata Gina), finché l’equilibrio della sua esistenza e la sua fama sembrano messi in discussione con l’arrivo di Donald Curtis, un asso del cielo americano assoldato dai pirati per sconfiggerlo in una battaglia uno-contro-uno all’ultimo sangue. Eppure l’aiuto di un meccanico milanese e di sua nipote (l’azienda Piccolo a gestione matriarcale) e una sorprendente alleanza anarchica con i pirati chiamati “Mamma mia”, portano a un happy ending comunque aperto sulla vicenda dell’aviatore-maiale: sarà terminato il maleficio? Riuscirà a sposare Gina?
L’unico interrogativo che non rimane aperto è la sopravvivenza al fascismo, alla guerra e alla storia e noi, spettatori, non dubitiamo un secondo che il Porco abbia potuto non osservare il suo antifascismo, la sua continua affermazione di libertà. Due cose dice Porco Rosso che hanno sia forza politica che attualità reale: la prima che “un maiale che non vola è solo un maiale”, cioè sulla necessaria attitudine a puntare in alto partendo dalla mediocrità e dalla nullità di partenza; la seconda che “un maiale non ha né patria, né legge”, un essere schifato e odiato da tutti guadagna dignità solo se afferma la sua indipendenza, la sua non-collaborazione, la sua quotidiana disobbedienza civile al sistema. Con quest’ultima frase è come se Miyazaki tracciasse un filo rosso da Thoreau e da Gahndi fino a noi, perché questo film ci riguarda, oltre a essere un omaggio nostalgico alle nostre regioni e al nostro genius loci (l’idrovolante è un’invenzione italica, tra l’altro). Più di altri periodi, al termine dell’era berlusconiana, del trentennio se includiamo anche quella craxiana, una fine che si auspicano tutte le minoranze, è necessario riaffermare questi concetti base di rifiuto di complicità col sistema in rinnovamento o meno che sia. Se è vero che Berlusconi ha irregimentato gli italiani con i consumi, la televisione e la promessa di ricchezza, meglio che Mussolini con la patria, il manganello e la promessa dell’Impero, l’impressione è che in questi anni di conformismo e complicità molti si siano rifugiati in un territorio simile al Mar Adriatico di Porco Rosso: quel territorio è stata l’intelligenza non sostenuta da un pensiero di posizione forte, ma un’intelligenza che si è bastata a se stessa, che in definitiva non ha dato fastidio a nessuno, che in ultima analisi è stata staccata ma complice, non ha rotto i coglioni. Non c’è stata censura in questi anni, neanche per gli intellettuali che hanno avuto uno sguardo altissimo, hanno praticato una capacità di connessione e una disinvoltura a maneggiare i linguaggi, non dando fastidio al sistema di potere e di ipocrisia. L’intelligenza è stata come avere un velocissimo idrovolante, come quello dell’americano Donald Curtis, e di usarlo solo per narcisiste evoluzioni fine a se stesse. L’intelligenza deve essere invece un mezzo critico per arrivare a qualcosa, deve essere il tratto d’unione tra pensiero e azione, e soprattutto deve partire da una posizione definita. Da dove nasca il fraintendimento che un discorso possa essere non di posizione e non di parte è difficile dirlo: quando si scrive e si parla è come se riaffermassimo continuamente la nostra posizione, altrimenti mistificheremmo. Del resto la non-violenza e la non-collaborazione non sono mai state intese come comportamenti passivi, neanche da Gahndi, ma come attive forme di sabotaggio e di progetto immediato di futuro, forme attive e partigiane insomma. Nel 1946 George Orwell pubblicò un articolo autobiografico sulla rivista Gangrel intitolato Perché scrivo nel quale metteva in fila le sue motivazioni che sono ancora utili e vanno rivendicate: 1) puro e semplice egoismo, 2) entusiasmo estetico, 3) impulso storico, 4) intento politico (usando la parola “politico” nel senso più ampio possibile).
Al maiale è legato anche un’altra immagine, ancora più recente, quella data nel 1976 da Marco Lombardo Radice e Livia Ravera in Porci con le ali: una generazione piuttosto ingabbiata già nel no-future scopriva una sua vitalità sessuale e trovava una forma di liberazione attraverso questa piccola rivoluzione. Ancora quell’immagine può tornarci utile: se in questi anni siamo stati complici col sistema, non diversi dai porci di La fattoria degli animali, è l’ora di impugnare le nostre intelligenze, le nostre ali, e spiccare davvero il volo.
Nicola Villa (1984) è redattore della rivista Gli asini di educazione e intervento sociale. Ha curato con Giulio Vannucci I libri da leggere a vent’anni. Una bibliografia selettiva (Edizioni dell’Asino 2010). Ufficio stampa delle Edizioni dell’Asino. Collabora con i mensili Lo straniero e L’indice.
la prostituzione intellettuale di questi anni è impressionante. Credo che sia dovuta per buona misura al grado di cinismo degli intellettuali che vanno a nozze con lo sfacelo attuale, anche quando lo criticano. In moltissimi campi del sapere troviamo delle teste pensanti (anche non accademiche) che potrebbere affermare con più forza la loro non-collaborazione, ma per interesse (il tengofamiglia italico) o per narcisismo scelgono la mediocrità (francia o spagna…).
“Un maiale che non vola è solo un maiale”. Epico.