9 novembre 2020
Niente fumetti da valutare. Bambini a scuola, moglie a lavoro, io niente. Niente da scrivere o riscrivere, Lavinia?, nessuna riunione di Ottocervo stamattina, nessun post da seguire o da programmare, non c’è posta, mi resta solo il tifo per i like. I pinguini tattici nucleari nelle cuffie non portano buon umore. Dolore al petto, polmoni collassati, almeno uno, cuore rotto, arterie forate, niente febbre, niente virus. Mi viene in mente che mi piacerebbe parlare con Pirupirpe. Un instagrammer con un nome così, che disegna come lui – non troppo bene, ma con il cuore – non mi farebbe mai del male, penso, mi coccolerebbe. E lui ha bisogno di me, io ho bisogno di qualcuno che abbia bisogno di me.
Factory. Prima sessione di lavoro con Kap, insieme a Gian Marco, via zoom. Siamo separati dagli schermi dei pc, ciononostante dopo pochi minuti si crea il clima di una rimpatriata tra vecchi amici, quando si beve qualcosa di forte dopo un pasto abbondante. E c’è pure il fuoco di un caminetto acceso.
Io riporto a Kap le considerazioni che avete già letto qualche numero fa, Gian Marco mi segue e piazza la tessera del suo puzzle, perfettamente complementare alla mia. È lui a fare lo sforzo di adeguarsi. Vi è mai capitato di avere accanto un collega che si dimostra, in ogni circostanza, più concreto, maturo, generoso e preparato di voi? Ecco il mio. Parla di valori tonali, lavoro sui piani, messa in sicurezza delle bordature, smaterializzazione del lineart, velature, livelli, rottura delle curve. Tutte espressioni incomprensibili, che hanno un suono bellissimo. Poi tira fuori una frase che non dimenticherò – “non c’è peggior cattivo, di un buono che diventa cattivo” – perché suona come l’oracolo del mio futuro.
Kap sembra accogliere con entusiasmo una buona metà delle possibilità spalancate dalle mie parole, con diffidenza un’altra metà. “Non è punta Perotti quella… è il mio cantiere,” mi dice. “E io non sono triste,” aggiunge, “se penso che un ingegnere cinquantenne sta affrontando una cosa così assurda come poter pubblicare un fumetto, alla fine, tutto sommato, la vita non è andata così male.”
Capisco che lui, che è stato così bravo a non lasciarsi chiudere nella gabbia del GRANDE AUTORE, rischia di finire in un’altra gabbia: la propria autobiografia. Fa fatica a digerire ipotesi narrative che non sente in sintonia con l’idea che ha di se stesso.
“L’idea che hai di te stesso è solo una delle tante possibili e, probabilmente, è sbagliata,” non gli dico. “La tua autobiografia, deve essere un trampolino, non una piscina!”, non ribatto. “Non accettare che qualcuno pretenda di conoscerti bene, neanche tu stesso.” “Solo una storia può rispondere all’interrogazione: chi sono?” “Essere unicamente se stessi, è morire.”
Tutte cose che non dico. Alla fine è Gian Marco a tirare fuori la frase giusta, quella che disegna la linea sottile su cui deve camminare Kap e tutta la nostra factory. “Ok Kap, tu non devi assecondarci. Devi convincerci”, dice.
(Disegno di Filippo Capodiferro)
Maurizio Cotrona è nato a Taranto nel 1973. Esordisce nel 2006 con il romanzo “Ho sognato che qualcuno mi amava” (Palomar). Nel 2011 pubblica “Malafede” (Lantana, Premio Puglialibre come miglior romanzo) e nel 2015 “Primo” (Gallucci HD, vincitore del premio del gruppo GEMS “Io Scrittore”). Il suo ultimo romanzo è Il figlio di Persefone (Elliot edizioni, 2019). Co-direttore editoriale di “Ottocervo edizioni”, è maestro della scuola di lettura per ragazzi “Piccoli maestri”.
