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Il 2 novembre 1975, quarant’anni fa, moriva Pier Paolo Pasolini. minima&moralia gli dedica la programmazione della giornata: il primo contributo è un estratto da Improvviso il Novecento. Pasolini professore di Giordano Meacci, in libreria per minimum fax.

Piccola città, luci spente

di Giordano Meacci

Tu stai seduto al tavolo di un ristorante che si chiama «Novecento». Hai capito troppo tardi che non potevi arrivarci, senza qualcuno che ti ricordasse la strada. E ora ti senti addosso i fari allucinati delle automobili, le gocce meticolose che ti hanno scalfito la giacca incollandola alla maglietta di cotone. Per tutto il pomeriggio hai camminato con Aldo, e con Paolo Garofalo, l’archivista, un signore magro che ti ascoltava poco quando facevi le domande ma che aveva pronta per te tutta una serie di risposte. Ti ha riportato a Versutta e in giro per Casarsa, è andato a cercare le chiavi della chiesa di Santa Croce, scomparendo dietro un cancello di legno e ricomparendoti davanti due minuti dopo, mentre fissavi il verde del prato davanti al portone chiuso. Ti ha fatto vedere gli affreschi sfaldati dentro la chiesa, e la targa dei Turchi. Poi ti ha detto che probabilmente Pier Paolo Pasolini ha pensato di scrivere I Turcs tal Friûl partendo da questa iscrizione. Tu non lo sai ancora se è vero, nemmeno adesso che stai seduto, da solo, perché queste sono cose che non si sanno mai veramente. Hai ascoltato in silenzio.

Aldo e l’archivista ti hanno portato alla sede dell’Academiuta. Il palazzo che già conoscevi, da fuori. Sei entrato dentro con loro e ti sei sentito un ospite non invitato. Paolo Garofalo ti ha portato nello stanzone sul retro che servì per le prime riunioni dell’Accademia di lingua friulana; e tu volevi uscire, da quella casa, non sai bene perché. Pensi alle case che hai abitato, e ti viene un nodo nel cuore, a immaginarle occupate da altri che non conosci, o sfitte, con la carta da parati staccata in troppi punti e i resti di una vita passata che è stata anche la tua.

Ti si è attaccata addosso una tristezza strana, da quel momento, che non ti è andata via neppure quando, mentre uscivate dall’Academiuta, Paolo Garofalo ha chiamato a gran voce Fedele Ghirart, uno dei fondatori dell’Accademia, vedendolo dall’altra parte della piazza. Adesso tutto quello che ti rimane di lui sono gli occhi neri che fuggivano i tuoi, mentre parlava di Pier Paolo Pasolini. Ti ha raccontato di quando Pier Paolo da Bologna spedì per posta a lui e ai suoi amici un pallone di cuoio usato; di quando fu invitato a pranzo a Versutta, con Pier Paolo e sua madre, perché gli aerei in cielo non davano garanzie e lui era troppo lontano da casa.

Parlava piano, coi toni cupi del dialetto e della distanza, ma tu per un attimo hai visto Casarsa com’era, quando nel racconto Fedele Ghirart ha tolto le strade, e ha riempito di terra rossa le crepe dell’asfalto. L’hai visto ragazzo; è bastato seguire le rughe del viso e tornare indietro, alla colletta per i francobolli e la cartolina postale, al messaggio per Pier Paolo, al pallone di cuoio che arrivò davvero, e te l’ha già ripetuto due volte, ormai sei convinto che quella sia stata la cosa più importante, l’evento che dev’essere ricordato.

Ora sei qui, da solo. E il pomeriggio è lontano quanto la guerra che non hai mai vissuto. Alle cinque hai salutato Aldo Terrezza, Paolo Garofalo, Fedele Ghirart, sei tornato in albergo e ti sei chiuso in stanza a fumare. La tristezza addosso è diventata una frase mancante, e per troppo tempo hai creduto di poterci convivere. Poi sei uscito, e ti sei accorto che pioveva. Ti sei trovato di nuovo davanti al monumento ai caduti e hai deciso di continuare a camminare, col sole già calato e pochi casarsesi stupiti che ti scrutavano da sotto gli ombrelli. I temporali estivi fanno male come i primi amori, hai pensato; ci si accorge di essere zuppi quando sono finiti, perduti del tutto, e ci resta addosso per sempre soltanto un’idea stanca di panni asciugati al chiuso.

Da una casa, sulla destra, in via Trieste, hai sentito una musica di giostre, e hai visto tre ragazzini che correvano verso un portone. Non hai chiesto niente a nessuno, neppure a quella donna col fazzoletto in testa che ti fissava stupita dal patio di casa sua. Hai deciso di continuare a camminare, hai superato una roggia e ti sei trovato sulla provinciale. Dovrebbe essere dopo quella curva laggiù, ti sei detto, e ne eri sicuro. E invece dopo quella curva c’era solo un altro tratto di strada, e un’altra curva, più lontano; e i filari di viti intorno, una casa, con un cane che abbaiava a te e alle due macchine che ti hanno lampeggiato contro. Chiedendosi, probabilmente, cosa ci stavi a fare sotto la pioggia, col buio, sul ciglio della provinciale.

«Una luna rosea sta sorgendo in fondo alle file di pioppi; non sembra nemmeno la luna, ma un pezzo sanguinante e informe di qualche grande e soave corpo disfatto». Vedi questa luna friulana che ti deride, e decidi di rinunciare, anche se qualcosa non va; la mattina ci sei arrivato in macchina, e la via ti sembra proprio questa. Ma non ci avevi fatto troppo caso, perché hai fatto gli sbagli di chi si fa condurre senza pensarci sopra. E ora sei andato troppo lontano per smettere di camminare. Anche se ogni passo che fai ti sembra inutile, la strada non è questa, avresti dovuto chiedere prima di superare la roggia. Ma a chi?

Da una parte e dall’altra siete soltanto tu e il Friuli, che è in questo giugno perché hai deciso così, ora che sei al buio, e bagnato. E cosa ti aspetti di trovare, a quest’ora? Sei di nuovo lì, a decidere di tornare indietro sconfitto; anche adesso che sei seduto e il cameriere non ti ha ancora portato quello che hai chiesto. Le idee si confondono come il doppio te stesso che vedi, ormai. Ti accendi una sigaretta e cominci a pensare a questa mattina, al cimitero che ora non trovi più, e al perché non sei riuscito a pensare a niente, mentre fissavi i nomi sulle tombe. Per mesi hai cercato di capire un tempo che non ti appartiene. Sei andato in giro a ricercare un passato fatto di persone e di luoghi, di racconti che hanno attraversato tutto il secolo e si sono dati appuntamento qui, per te, in mezzo a questi campi che non ti conoscono. Hai parlato con vecchi ragazzi di un tuo coetaneo, cercando di ritrovarlo nelle loro parole, nei libri che ti hanno guidato, per venticinque anni, fino a questa strada e a questa pioggia di giugno.

All’improvviso ti sei reso conto che ti divide da quel tempo lo stesso abisso di coincidenze che hai trovato; quella stessa paradossale diffrazione che ti ha visto inseguire gli anni Cinquanta, la gioventù di Pasolini, il dopoguerra ancora da costruire, l’infanzia di tuo padre. Ti ha ingannato il fastidio del tempo, il lampo improvviso di un secolo già trascorso mentre ti accorgevi che la sua fine ti avrebbe trovato a trent’anni, con un fardello di memorie invecchiate. I quattro anni inutili che hai convissuto con Pier Paolo Pasolini prima che morisse.

Questa strada è una piega degli anni, mentre la attraversi. È il punto nel tempo che hai cercato, il fulcro buio attorno a cui ruotano gli anni che hai raccontato con altre voci. Non hai trovato il cimitero, stasera, semplicemente perché il cimitero non esiste. Volevi la sicurezza di essere alla fine del viaggio, rivedere la tomba per recuperare quei quattro anni di stasi tra la tua nascita e la sua morte, colmare il vuoto del vostro non incontro. Non hai potuto farlo.

Perché in questo momento, mentre questa Uno blu ti sfreccia accanto e ti fermi sul margine del fosso a guardare Caino, Pasolini è ancora vivo, e ha trent’anni. Domani mattina prenderà il treno per Ciampino, arriverà puntuale, come sempre, alla Francesco Petrarca, e parlerà ai suoi allievi di Ungaretti e di Mizoguchi. Ora che il tempo era riuscito a ripiegarsi su se stesso, hai sbagliato il luogo dell’appuntamento. Ti sei fatto trovare troppo lontano.

© minimum fax

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Autore

giordanomeacci@minimaetmoralia.it

Giordano Meacci (Roma, 1971) ha pubblicato per Rizzoli Fuori i secondi e per minimum fax il reportage Improvviso il Novecento. Pasolini professore (2015) e la raccolta Tutto quello che posso (2005). Un suo racconto è incluso nell’antologia La qualità dell’aria, ripubblicata nel 2015. Il suo primo romanzo, Il Cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax), è stato finalista al Premio Strega 2016. Con Claudio Caligari e Francesca Serafini ha scritto Non essere cattivo (2015) di Claudio Caligari.

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