«Sam Millar non ha inventato il noir, ma… potrebbe anche averlo fatto» ha scritto Jon Land sul New York Times. Scrittore e sceneggiatore di Belfast, dopo la lunga militanza nell’IRA, Sam Millar è diventato uno dei più famosi scrittori irlandesi di crime. I suoi libri sono tradotti con successo in tutto il mondo e lo scorso 8 luglio è uscito in Italia – per i tipi di Milieu Edizioni – “Sul fondo del Black’s Creek”, un romanzo pregno di dark americano, in parte poliziesco, in parte racconto di formazione. Di seguito un estratto. 

*

di Sam Millar

 

La scienza, caro ragazzo, è fatta di errori, errori che però
è utile fare perché, poco alla volta, portano alla verità

Jules Verne, Viaggio al centro della Terra

 

Riaperto il caso di omicidio di Black’s Creek strilla la sezione locale del New York Times di stamattina nell’istante in cui mi siedo a fare colazione. Mentre procedo nella lettura, il mio stomaco fa un piccolo salto mortale involontario, uno di quei messaggi d’allarme pre-indigestione che invia quando l’imprevisto lo attacca. Per un attimo, mi gira la testa. Il mio cervello brucia malamente. Lampi azzurri e rossi mi offuscano la vista. Se ciò non bastasse, la cicatrice che ho sotto il labbro inferiore e quella sul sopracciglio sinistro iniziano a pulsare. Per un attimo, le tenebre del mio passato mi travolgono come un cazzotto di Muhammad Ali, costringendomi a pensare alle due persone che quelle cicatrici le hanno causate e al legame che avevamo con quell’omicidio.

«Tom?». L’apprensione segna lo splendido viso di mia moglie. «Tutto a posto?».

«Eh? Ah! Sto bene. Solo acidità di stomaco, Belinda». Cerco di mantenere una voce calma, ma le parole se ne escono scabre, artificiali. Vedo che non è convinta. È preoccupata che possa trattarsi di un principio di svenimento.

I miei svenimenti si sono fatti più frequenti, meno prevedibili. L’ultimo bello grosso si è verificato circa un mese fa, mentre facevo una lettura dal mio ultimo poliziesco, Le tenebre della notte, in una libreria di Astoria, nel Queens, a pochi isolati da dove abito. Ovviamente, me l’hanno raccontato dopo. Stavo leggendo il capitolo finale, quello in cui il protagonista spara al boss omicida colpendolo in piena fronte. Il piccolo assembramento di fan ha applaudito, pensando che facesse parte dello spettacolo, quando mi sono accartocciato in terra, sbattendo duramente la testa sul duro pavimento in rovere della libreria.

Se si vuol guardare il bicchiere mezzo pieno, quella sera ho venduto più libri che in qualsiasi mia altra presentazione. La mia agente, Tina Winters, mi ha consigliato di ripetere la manfrina della botta alla testa in tutte le mie presentazioni future, dato che le vendite ultimamente erano state scandalosamente basse. Avevo fatto tutto tranne che guadagnare un sacco di soldi.

«Sei pallido, Tom» dice Belinda, avvicinando la sua faccia alla mia. «Sei sicuro di stare bene?».

«Sì, sono sicuro». Mi sforzo di sorridere.

Lei mi restituisce il sorriso. Timido. Falso. Proprio come il mio, ma è in qualche modo un sorriso, almeno. Protende una mano, sfiorandomi il viso. Il suo tocco delicato ha un effetto calmante, ma solo per qualche secondo.

Riprendo a leggere dell’indagine, con il terrore verso ogni parola cupa che marcia sul pallore della pagina.

Tracce di DNA riaprono caso d’omicidio

L’accusa dice di aver ottenuto nuove tracce di DNA in relazione all’omicidio di un sospetto pedofilo e assassino di bambini di oltre vent’anni fa. Ha riaperto il caso irrisolto, nella speranza di compiere degli arresti…

Nonostante la calura estiva nella stanza, è come se del ghiaccio secco mi sfiorasse la base della spina dorsale. Smetto immediatamente di leggere.

«Vado a finire il caffè in giardino, tesoro».

Mi alzo in piedi, ripiegando il giornale e infilandomelo sotto un braccio. Sento formarsi delle chiazze di sudore esattamente dove ho riposto il quotidiano. «La caffeina mi darà la spinta per finire il capitolo soporifero su cui sto lavorando».

«Non essere così duro con te stesso». Belinda mi rivolge uno sguardo di incoraggiamento. Ci intravedo pietà. «Le parole ti verranno. Prima o poi, succederà».

«Che contafrottole sei. Ma ti amo lo stesso». Mi sporgo e le do un bacio sulla fronte.

«Anch’io ti amo. Ti raggiungo fuori fra qualche minuto».

Il sole di prima mattina sta sciogliendo il velo di condensa simile a mucillagine che si è posato sull’erba. Sarà una giornata torrida, quel tipo di giornata che riesce immancabilmente a farti sentire felice di essere vivo, per quanto la prospettiva opposta sia ormai un tuo parente stretto.

Dopo aver trovato un posto comodo all’ombra, mi siedo a leggere l’articolo, temendo le nuove prove scoperte dalla polizia. Dopo tutti questi anni, il passato mi ha raggiunto. Ne sento i passi. L’unica domanda è: quanto sono vicini?

Il nome della vittima appare nel primo paragrafo e una nauseante sensazione di déjà vu mi fa ripiombare indietro di tutti quegli anni, fino a un tempo che avevo sperato restasse sepolto, a giorni e notti saturi di follia e incubi, quando ero a malapena adolescente, con un omicidio a sangue freddo in testa…

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