di Salvatore Ditaranto

Cara Antonella,

‘le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, perché le parole le immiseriscono – le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella nostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori’.

È stato mentre leggevo il tuo libro “Cose che non si raccontano” (Einaudi) che mi è tornato in mente “Il corpo” di Stephen King.  Con i libri va sempre così, almeno per tanti lettori come me e immagino anche per te che citi l’autore di Shining a proposito di un altro tuo libro.

Leggevo dei protagonisti della tua storia, leggevo di Antonella e di Andrea, ero in metropolitana, e tra una fermata e l’altra della linea verde a Milano, leggevo di una donna e delle sue gravidanze, quelle interrotte volontariamente quando aveva diciott’anni e quelle cercate dopo in età adulta. Gravidanze, queste ultime, difficili e piene di complicazioni.  Sempre Stephen King nel suo racconto diventato il film dal titolo “Stan by me” scrive “è difficile far in modo che un estraneo provi interesse per le cose belle della tua vita” e io, sempre mentre leggevo, mi domandavo: ma se è complicato immedesimarsi nelle cose belle della vita di un altro, quanto sarà difficile immedesimarsi nelle tragedie, nelle cose tristi, nelle cose che di solito poi non si dicono?

A volte si può pensare che se le cose succedono agli altri è più improbabile che succedano anche a te oppure si pensa che se le cose cattive sono dentro un libro, poi una volta chiuso, sia le sfighe che le tragedie, tutto rimane nel libro. Io però sono convinto che con i libri e la lettura non funzioni così. Forse questa cosa succede per i film  e per certe serie tv che si vedono in televisione o sui computer, che quando spegni il device finisce tutto. Con i libri non funziona così, un po’ perché con i libri i personaggi te li devi immaginare quasi del tutto tu, prendendo anche dal proprio vissuto, e un po’ perché le storie che si leggono con la propria voce interiore, squarciano quelle dighe mentali dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male.

Mentre leggevo Cose che non si raccontano, sempre tra una fermata metro ad un’altra, non potevo non notare tutta la gente attorno a me che entrava ed usciva dai vagoni e cercavo di osservare tutte le donne, quelle incinta, le madri con i bambini e anche le donne e gli uomini con i cani che parlano da soli. E mentre continuavo a leggere ed ero nella direzione di un ospedale molto famoso qui a Milano, mi sono reso conto anche di quante persone avevano delle cartelline mediche, tutte in ordine e le proteggevano. Erano persone vestite bene, in quel modo in cui ci si veste quando si va dai dottori, e ho pensato sia a cosa stessero andando a fare in ospedale e sia a te e alle tue pagine ambientate a Milano quando dovevi fare un intervento.  E così mi sono chiesto: se le cose più importanti sono le più difficili da dire, e scrivere, cosa ce ne facciamo di tutti i momenti difficili da raccontare?

Per raccontare quelle cose, quelle che solitamente non si raccontano, ci vogliono le parole giuste, quelle che messe vicine non rimpiccioliscono e non immiseriscono. E solo chi scrive sa quanto bisogna anche litigare con le parole perché siano non solo messe al posto giusto ma che siano anche quelle adatte. Ci sono cose che né le foto, né i video e né gli audio possono raccontare. Come le parole non c’è niente. E quanto questo sia vero lo sanno tutti i lettori. Perché alla fine le parole sono le uniche cose che abbiamo.

Ci sono libri che quando li leggi riescono a farti immaginare gli autori nel mentre stavano scrivendo. Alcune autrici e alcuni autori li puoi vedere seduti ad un tavolo, pieno di libri o appunti, che scrivono al computer o mentre ricopiano dai quaderni la prima stesura. Mentre leggevo il tuo libro, ti ho immaginata scrivere la tua storia a voce, come un’attrice sul palco di un teatro. Ma non di uno qualsiasi, per me eri in un teatro greco, quelli in cui anche oggi d’estate si tramandano le tragedie antiche. Ti ho immaginata ammantata di rosso, come il sangue all’Argentario, e a volte ammantata di nero come i tuoi giorni tra Roma e Milano. Tu eri sul palco, sola, senza scenografia e dietro di te, come nelle tragedie greche, c’era anche il coro. Ho immaginato un coro fatto dalle domande di Andrea, un coro con i messaggi dei tuoi amici e delle tue amiche, sia quelli che ti chiedevano di mandare a quel paese qualcuno, sia quelle che ti chiamavano Antonio. Un coro fatto di telefonate dei tuoi parenti e dei tuoi lettori che non sapevano niente mentre presentavi il tuo libro precedente. Proprio come in quelle tragedie greche mentre tu raccontavi la tua storia, tutti gli dèi cospiravano contro di te, di voi e in un misto di impazzimento e di vendetta c’erano anche quelle divinità che nei miti decidono a chi tagliare il filo della vita o peggio dei cordoni ombelicali.

Poi, sarà stata colpa del periodo in cui è successo quello di cui racconti, il periodo del Covid e del distanziamento sociale, mentre leggevo ho ripensato a quei giorni quando la morte entrava nelle nostre case sottoforma di bollettino. Puntuale ogni pomeriggio c’era in tv chi elencava quante vittime aveva fatto il COVID e mi ricordo che c’era chi gioiva e chi sapeva già che qualche suo parente era all’interno del numero fatidico. Ti ho pensata in quei momenti, in cui gli ospedali erano tutti presi dal Covid, mentre ti toccava combattere tutti i giorni per raccontarti la vita, dovrei scrivere le vite, quelle che avresti voluto tenere e quelle che non potevi tenere o avere. E nonostante tutto quello che ti stava succedendo, leggendoti, ho avuto la sensazione che mai ti ha sfiorato minimamente il pensiero della morte, anzi. Tutto ruotava intorno a immaginare le tue nuove vite.

C’è un’altra cosa che pensavo mentre leggevo il tuo libro. Ero sempre in metropolitana, circondato sempre da tante persone e li vedevo ognuno con il proprio vivere, quelli che scrollano lo schermo del cellullare e quelli che cercano di spiare che libro stai leggendo. Poi c’erano gli studenti e le signore che vanno a fare shopping, i creativi con gli stipendi bassi, i lavoratori edili con gli stipendi ancora più bassi e anche quelli che vanno nel famoso ospedale. E mentre leggevo pensavo: ecco un libro che dovrebbero leggere tutti i politici e tutti gli aspiranti tali. Soprattutto quelli che li senti parlare di maternità, di natalità, di aborto e di diritti civili con lo stesso distacco di certi infermieri e medici che hai incontrato tu. Molti politici, infatti, sui temi vivi, quelli che toccano la carne, il sangue, l’ultimo respiro, la sicurezza sul lavoro, i sentimenti, le inclinazioni, le scelte che ognuno fa con il proprio corpo sembrano sempre non capire la materia di cui siamo fatti tutti. Da una parte ci sono loro e le leggi che vorrebbero o non vorrebbero fare e da un’altra ci sono le persone. Li senti giudicare, sparlare, si mettono in bocca termini tecnici e poi vanno a parlare nei talk show, nei convegni senza avere in mente le persone e le loro storie. Se è vero che esistono le cose che non si raccontano dovremmo fare l’elenco delle cose che si dovrebbero leggere.

Il tuo libro non è un diario, come dici tu, alla fine è più simile ad una lezione di scrittura. È come se tu volessi dire alla Vita, proprio a lei, come si dovrebbero scrivere le storie delle persone. Perché spesso è esagerata, a volte fa un male eclatante, non usa le frasi brevi, quelle senza aggettivi, senza piagnistei e senza sentimentalismi. Faccio mia la tua domanda che ho sottolineato nel libro perché, vita, non sei stata una brava scrittrice?

Ho sottolineato anche i libri non sono figli e poi non si tratta di salvare. Non si tratta di redimere. Non si tratta di urgenza, né di necessità. Si tratta di cercare di creare qualcosa che abbia ancora un valore per me, di provarci con tutte le forze. Si tratta alla fine di esistere’.

Antonella hai proprio ragione, quando la vita non è una brava scrittrice con le storie e i libri… alla fine si tratta di esistere.

 

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1 commento

  1. Grazie Salvatore.
    Mi hai colpita e affondata e commossa.
    Antonella

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