Il 28 e 29 novembre al teatro Vaccaj di Tolentino torna il festival Biumor. Tema della edizione 2020, la stupidità (per Voltaire, cita puntualmente il lancio, «la sola cosa che mi dà una idea dell’eternità».) A organizzarlo è l’associazione per la pop-filosofia Popsophia. A chiarirne i temi centrali, e fugare eventuali dubbi di approccio, i nomi delle serate: «Cretinetti. Filosofia del cialtronismo all’italiana» e «Webeti. Filosofia della stupidità 2.0». Incontri con focus sulle nuove culture digitali all’interno dei quali troverà spazio l’intervento di Alessandro Alfieri – professore di teoria e metodo dei mass media – sulla musica demenziale. «Da Cochi e Renato agli Squallor, fino a Elio». Una nicchia compositiva talvolta guardata con superficialità, eppure rilevante nella storia della canzone e meritevole di una chiacchierata di approfondimento.

di Gabriele Merlini

GABRIELE – Dato il viscerale amore che nutro nei confronti dell’argomento, conservo ancora un articolo risalente all’ottobre del 1992 pubblicato su Repubblica. La firma: Loredana Lipperini. Il titolo: «La mucca fa mù, il merlo fa mè». Lancio al pezzo: «da Elio e le Storie Tese ai Pitura Freska, la musica “demenziale” mostra una singolare abilità nel fotografare l’esistente. Oltre ai suoi divertissement linguisticamente ineccepibili».
Tornando a scorrerlo è impossibile non notare elementi validi oggi come ieri. Su tutti, la correlazione tra quanto viene definito rock demenziale e la socialità – politica, morale – del paese, nonché l’importanza della tecnica nelle band che sembrerebbero produrlo. Partiamo dall’inizio.
Ammette Rocco Tanica: «la distinzione in musica impegnata e non mi fa infuriare. Mi sembra di essere tornato al liceo quando non volevo partecipare alle assemblee e mi dicevano che ero qualunquista. Cioè? Chiedevo io. Cioè fascista. Cioè? Cioè reazionario».
Del resto le Storie Tese, tra rap di Ciarrapico e servizi segreti bulgari, marcavano stretti la contemporaneità. Idem molte formazioni che li hanno preceduti o affiancati. Cochi e Renato nei Sessanta con surrealismi e boom economici, gli Skiantos inscindibili dalle rivolte giovanili del ’77 o gli Squallor a inizio Ottanta, spietati contro la TV e i nascenti luoghi comuni mediatici.
Lo sberleffo serve a mettere il potere in mutande, e compararlo con la sfera cantautoriale classica è certo uno sport un po’ sterile. Ma credi anche tu sia stato di grande peso, nella storia della canzone italiana, questo filone definito (un po’ generalizzando, nonché facendo imbufalire i protagonisti) demenziale?

ALESSANDRO – Le definizioni fanno sempre imbufalire gli artisti e gli autori, tanto che mi sei piaciuto quando hai utilizzato il termine “filone” senza azzardarti a parlare di “genere”; quando parlo di musica demenziale io di solito parlo di una “tradizione” per dire…perché effettivamente non è un genere (e sappiamo bene anche quanto gli stessi artisti e autori si infurino quando vengono relegati a un “genere”). Però, rispetto ad altre occasioni, la cosa qui è più delicata da un punto di vista etimologico: demenziale proviene da una malattia mentale, la demenza, perciò sai, capisco che tale etichetta potrebbe suscitare qualche disturbo…è pur vero però che lo stesso Freak Antoni ha coniato in Italia la definizione di Rock Demenziale.

Alla tua domanda la risposta non può che essere affermativa: la tradizione demenziale ha accompagnato la storia dei “generi nobili” quasi fosse il lato oscuro di questi ultimi, ed è stata capace di disinnescare le pretese “seriose” del cantautorato e dei generi stranieri importati impunemente. E tuttavia, come per gli Squallor e i Prophilax, in un ribaltamento dialettico l’elemento della denuncia e della critica sociale, ad esempio, ha saltato la staccionata ed è diventato caratteristico proprio della musica demenziale, nello stesso momento in cui si opponeva all’ambizione di venire preso sul serio.

GABRIELE – Prosegue ancora Tanica. «C’è una frase di Mirò che amo particolarmente e suona così: “ci ho messo ottant’anni per imparare a dipingere come un bambino”. Però prima delle facce, dei soli e dei gabbiani sapeva rifare Mantegna». Tradotto: «per fare gli spiritosoni ci vogliono mezzi e tecnica. Per prendere in giro quelli che suonano male la chitarra, la chitarra bisogna saperla suonare.»
Ciò che riceve l’etichetta demenziale – provocatorio, dissacrante, sboccato – oltre alla capacità di raccontare il presente attrae perché sottende spesso un notevole livello di studio ed esecuzione, finendo anche per essere cartina tornasole di quanto avviene in musica a livello sovranazionale. È colta la naïveté da chansonnier della scuola milanese, al pari della attenzione riposta dai bolognesi Skiantos verso il punk di oltremanica. Lo ska citazionista dei Pitura Freska per finire al discepolo del virtuosismo zappiano Elio. Quanto il lato tecnico, più strettamente musicale, ha interessato il tuo lavoro sul demenziale?

ALESSANDRO – Ciò che stupisce quando si prendono in esame molte delle band riconducibili alla tradizione “demenziale” è l’incredibile livello tecnico e la sofisticheria compositiva e di scrittura di queste band. Da Elio e le Storie Tese ai The Darkness e agli Axe of Awesome sul piano internazionale…si tratta di un “ossimoro” magnifico perché la musica demenziale non è per niente stupida né banale. Anzi! E’ l’operazione concettuale che è particolarmente arguta a tal proposito: questa tradizione (o “filone”) dimostra che quando la demenzialità o la “stupidità” arrivano ad autocoscienza esse si trasformano in modalità espressiva. Insomma, fare lo scemo è complicato, ci vuole una tecnica matura, perché facendo lo scemo si può dissacrare e far riflettere con una buona dose di cinismo. D’altronde, tipico di questi artisti è il piano continuamente meta-testuale: lanciare l’irriverenza goliardica contro gli stessi generi musicali, contro per esempio la loro pretesa di essere presi sul serio, ma contemporaneamente (l’ossimoro o il paradosso!) nel momento stesso in cui si fa la parodia, in quella stessa canzone, in quello stesso brano, adottare il genere che viene dissacrato! Tra l’altro, per restituire a quel genere una forza smarrita nel corso del tempo! Che parabola concettuale magnifica! Basti pensare a come la strategia espressiva della musica demenziale sia il parossismo, ovvero spingere all’estremo (sia da un punto di vista scenografico che da quello tecnico-compositivo) le caratteristiche formali dello specifico genere che si intende far esplodere!

GABRIELE – Tra l’altro, ripassando un po’ la storia, salta agli occhi l’attenzione certosina al linguaggio. Esemplare in Elio (Supergiovane di fatto è un dizionario del gergo dell’epoca) ma riscontrabile in molte formazioni. Le ricerche archivistiche dei Gufi su dialetto meneghino e canti popolari, Freak Antoni e le contaminazioni con cinema e fumetti, la poliedrica cultura di Alfredo Cerruti degli Squallor capace di influenzare il parlato con incursioni televisive intellettualmente sofisticatissime (Indietro Tutta, per restare alla più celebre). Si potrebbe avere l’idea che il demenziale riesca con scioltezza laddove molti autori faticano per imporsi e trovare una propria riconoscibilità. No?

ALESSANDRO – Decisamente, è un po’ quello che stavo dicendo prima in merito alla meta-testualità: sperimentare coi linguaggi significa spesso scagliare la propria verve irrisoria contro quegli stessi linguaggi per decostruirli (letteralmente, per “distruggerli”, per “dissacrarli”). D’altronde, spesso il confine liminare tra serietà e demenzialità svanisce: gli Skiantos possono essere annoverati nella tradizione punk italiana? Ha senso parlare di “meta-punk”? Probabilmente no! Stessa cosa per il neopunk californiano e i NOFX, ad esempio.

La musica demenziale è per definizione cinica, spesso adottata proprio per farsi riconoscere attraverso lo sberleffo al musicista o band “che si prendono sul serio” o che i media “prendono sul serio”, cavalcando così la popolarità altrui, è innegabile che questo accada…però il punto è che tale strategia appartenga al circuito dialettico del cinismo stesso: il cinismo infatti può invertire perpetuamente le parti inghiottendo tutto (“certo, quanto è cinica Ariana Grande quando fa il concerto a favore delle vittime dell’attentato di Manchester…” – “Certo, quanto sei cinico a pensare che Ariana Grande sia cinica…” ecc. ecc.). Per interrompere la spirale distruttiva del cinismo, la soluzione non può non essere l’autoironia, ovvero il prendere in giro se stessi, e i migliori rappresentanti di questo filone rivolgono il loro cinismo innanzitutto verso se stessi e verso il loro mondo, prima che verso gli altri.

GABRIELE – In conclusione, l’oggi. Rispetto alla metà degli anni ottanta e l’inizio dei novanta sembra ci sia carenza di gruppi ascrivibili alla categoria di cui tratti (enormemente eterogenea, lo hai ricordato). Eppure restano tante le cose da mettere sulla graticola, e molti sono stati i momenti delicati nelle ultime due decadi. C’è una ragione che esuli dalla moda del momento? O magari il mercato è stato saturato da prodotti ormai recepiti come triti, dunque meno detonanti? Al pari, è emersa una bolla di cantautori di stampo più classico apprezzata e, si direbbe, abile nel raffigurare il presente con diversa ironia. Muore così il demenziale per come l’abbiamo conosciuto?

ALESSANDRO – Be’, una porzione ben amministrata di cinismo demenziale è stato assorbito dallo stile di musicisti che non sono riconducibili al filone qui preso in esame; questo ha contribuito alla dissoluzione di questa nobile tradizione, ancora fortissima negli anni 90 e nei primi anni 2000. Ma credo che l’esautoramento di tale strategia linguistica e musicale sia dovuta al trionfo del cinismo, motivato anche dal dominio sull’immaginario della logica del web e alla “cinica” (vedi?) e perenne rimessa in questione dei principi di riferimento. Mi spiego meglio: nell’epoca d’oro del genere avevamo i generi e gli artisti consacrati che si prendevano sul serio e venivano presi sul serio, nonché i valori di riferimento delle comunità, giovanili e non; dialetticamente queste realtà sostanziavano la loro stessa parodia, la loro messa in discussione goliardica. Ora, se tutti i principi di valore possono venire demoliti da ciascuno in ogni momento (calcola che c’è chi mette in discussione che la terra sia tonda! Altro che Rock demenziale!) allora anche la controparte dialettica ne risulta privata di sostanza! Arriviamo al punto zero della spirale quando le parti dialettiche si concentrano in un unico punto di massima salienza, dove oggi si confondono serietà e la sua stessa negazione: la Trap? Young Signorino, nonché la sua collaborazione con Vinicio Capossela per La Peste?

(Alessandro Alfieri interverrà sulla musica demenziale, «da Cochi e Renato agli Squallor, fino a Elio» domenica 29 novembre dalle 21.30. L’evento sarà trasmesso in streaming su www.popsophia.com  e www.biumor.com .)

Condividi

9 commenti

  1. Vi ringrazio per la vostra affettuosa manifestazione di stima.
    Non è vero che non mi piaccia nulla. Purtroppo, le effimere mode del momento non mi entusiasmano. E nemmeno gli spot televisivo col leader, grandi forestali sopracciglia, di Elio e le storie protese. Questione di sensibilità e di gusti. Ognuno ha i propri. Ed e’ pur vero che la sincerità e’ sempre scomoda.
    Mi rammarico per voi. Avete dimenticato che viviamo nell’epoca del falso totale.

  2. Se il falso è totale ne fai parte anche tu, tesoro. Non puoi chiamarti fuori.

  3. Certamente. Nel senso che sono costretto a sopportare le ambizioni culturali e le falsificazioni altrui.

  4. gli autori di “Come gli Area” son dei geni assoluti (e chi non è in grdo di di accorgersene è limitato assai). Punto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

redazione@minimaetmoralia.it

Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente

Articoli correlati