
Nell’anno delle sale chiuse e del ritorno dei film a noleggio, della scuola diventata un mosaico luminoso di finestrelle colorate col microfono muto, delle partite di calcio senza tifosi, delle prime alla Scala senza pubblico, se c’è una cosa che non è cambiata è la lettura. Le librerie, tranne che per un breve periodo, sono rimaste aperte, e rappresentano, ora più che mai, la fortezza in cui possiamo proteggere le nostre abitudini, i nostri desideri, il nostro bisogno di guardare oltre, di saperne di più. E anche se il Natale, quest’anno, avrà un sapore diverso, mi sembrava giusto mantenere una bella tradizione, mia e di minima, quella di consigliare qualche libro da mettere sotto l’albero.
Emma Cline, Harvey (traduzione di Giovanna Granato), Einaudi
C’è il film giusto (Bombshell), la serie giusta (The Morning Show), e adesso c’è anche il libro giusto: Harvey di Emma Cline. Il libro giusto per cosa? Per affrontare un tema delicato come quello del Me Too. Qui si racconta di una giornata particolare di Harvey, Harvey Weinstein, quella prima del processo. Un uomo che al mattino ci mette un po’ a svegliarsi, come tutti, che sceglie di indossare dei calzini rossi comprati in una bottega “a due passi dal Vaticano”, che scambia il vicino di casa per Don DeLillo, che rimane intontito dal Vicodin, che per una volta ha bisogno di tenere spenta la tivù, di sentirsi rassicurato, perdonato, accettato, come succedeva prima. Un ritratto intimo, privato, di un uomo fragile come tanti altri, poco prima di essere divorato dal futuro, dalla dimensione pubblica, dai suoi peccati.
Witold Gombrowicz, Ferdydurke (traduzione di Irene Salvatori e di Michele Mari), Il Saggiatore
“Sventurata memoria, che ci costringi a sapere per quali strade siamo arrivati a essere quello che siamo”, pensa Giuso, protagonista di questo romanzo, che viene punito dalla sua immaturità, o almeno da quella che gli altri giudicano come tale. E qual è la punizione per qualcuno che sembra essersi imbucato nell’età adulta? Semplice, tornare all’adolescenza, ricominciare tutto da capo, o quasi, una metamorfosi all’indietro, come uno studente fuoricorso da troppi anni. Un romanzo che, anche grazie alla traduzione di Michele Mari, diventa l’occasione ideale per tutti noi per fare un po’ di autoanalisi, per cercare noi stessi nelle nostre zone d’ombra.
Peter Handke, Insulti al pubblico (a cura di Francesco Fiorentino), Quodlibet
Parlanti senza nome e senza identità, confessioni autodiffamanti sul valore della crescita e del tempo, bisogni inascoltati, istruzioni per gli attori dietro cui si nascondono gli “insulti al pubblico”. Spettatori che diventano “apatici”, che diventano passivi, “occhi e orecchi”, che si dimenticano di esistere, una volta che si spengono le luci e che si apre il sipario. Sono gli scritti teatrali di Handke, dove non contano le azioni, ma le parole. Sono “pièces vocali” che “non intendono rivoluzionare, bensì rendere attenti”.
Roberta Durante, Le istruzioni del gioco (con uno scritto di Tiziano Scarpa), Le Lettere
“mia madre nella stanza di fianco ascoltava Patty Pravo/io ascoltavo mia madre”, “incrocia i dati e dimmi se anche tu/non vedi la vita più dentro che fuori”, “costa un euro e sessanta la settimana enigmistica/e produce parole e felice finzione a quadretti/ma a me ora serve un manuale un bignami che dica/come si applichi la vita alla vita”. Potrei continuare all’infinito a citare le poesie di Roberta Durante, poesie nuove, difficili da spiegare, come dice Tiziano Scarpa nella prefazione, “sarebbe come pretendere di raccontare la biografia di un neonato”. Infatti non mi va di spiegarle, rischierei di sminuirle, di inquinare il loro viaggio, la loro musica. Sanno di nostalgia, di paesaggi (o passaggi) familiari e allo stesso tempo stranianti, memorie che con il tempo cambiano forma e provano a trovare un po’ di spazio per adattarsi al presente. Leggete le poesie di Roberta Durante ad alta voce, sentite come suonano nell’aria, oppure leggetele in silenzio, ma ecco, leggetele.
Munari per Rodari. Segni, sghiribizzi, macchie, colori e scarabocchi, Corraini
In questo libro ci sono i disegni che Munari ha fatto per i libri di Rodari. Il primo incontro tra i due, come ricorda Riccardo Falcinelli in uno dei saggi contenuti nel libro, avviene in occasione della pubblicazione di Filastrocche in cielo e in terra. Munari è “il primo illustratore che suscita affetto”. I suoi disegni sono fatti di punti, di linee, di frecce, di trattini, di curve, di alberi, di lettere, di volti appena accennati. Scarabocchi, sì, di un adulto che pesa le parole (quelle di Rodari), proprio come farebbe un bambino. Come suggerito nell’introduzione, i disegni si possono leggere, scarabocchiare, ritagliare, e magari, perché no, prenderli come spunto per inventare delle nuove storie.
Bong Joon-Ho, Parasite (traduzione di Filippo Bernardini), La Nave di Teseo
Parasite è uno dei film più belli usciti negli ultimi anni. Per gli aspiranti registi, sceneggiatori, scrittori, ma anche per gli aspiranti spettatori, per quelli che hanno la fortuna di non averlo ancora visto, questo libro rivela le ore di solitudine e di silenzio che il regista ha passato, mentre dava forma al suo settimo film. In questo libro, confessa, “c’è la prova del duro lavoro del regista”. Aiuta a capire cosa c’è dietro a una storia, come si lavora a una scena, a un personaggio, a un dialogo, come fare un po’ di ordine quando crediamo di avere una buona idea e non vediamo l’ora di poterla raccontare.
Gérard Thomas, Gesù raccontato ai bambini capitalisti (traduzione di Tommaso Gurrieri), Edizioni Clichy
Aveva già scritto Cento motivi per essere di sinistra, Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti, e sta preparando la Storia della felicità, Thomas si imbatte nel personaggio più famoso di sempre, e prova a raccontare la sua storia come se fosse un grande romanzo corale, familiare, storico, d’amore, avvalendosi dei Vangeli “ufficiali”, ma anche di quelli cosiddetti apocrifi. Da Maria di Nazareth al cugino Giovanni, dai miracoli alle parabole, Gesù viene raccontato con leggerezza, e soprattutto come un essere umano. Si dà importanza alla tradizione orale, alle storie che passano attraverso le voci di infiniti narratori anonimi. Non ha senso chiedersi se siano esistiti Abramo, Noè, Ulisse, Siddharta o lo stesso Gesù. Esistono, come dice Thomas, perché c’è qualcuno che li ha raccontati, e questa è l’unica cosa che conta.
Anne Wiener, La valle oscura (traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), Adelphi
“Volevo trovare il mio posto nel mondo, ed essere indipendente, utile e brava”, confessa Anne, la protagonista della storia che racconta. Anne ha lavorato in diverse start-up nella Silicon Valley, e in questo libro (che fa il paio con Steve Jobs non abita più qui di Michele Masneri, pubblicato quest’anno sempre da Adelphi) ripercorre il suo viaggio, dalle ambizioni giovanili ai saliscendi dell’età adulta, del rapporto con gli altri, dei ritmi alienanti di un lavoro capace di mettere a rischio e di farci dimenticare la nostra identità.
Luca Serianni, Il verso giusto. 100 poesie italiane, Laterza
Mi fa un effetto strano recensire il libro di uno dei miei professori del cuore. Indimenticabili erano le sue lezioni, indimenticabile, negli anni, si rivelerà questo libro. Un’antologia di poesie (di sessantatré autori) secondo i gusti personali di Serianni, per “attirare l’attenzione su poeti poco conosciuti”, per celebrare di nuovo i grandi classici, in cui si dà più spazio alla parafrasi e all’inquadramento critico, rispetto alle notizie biografiche su ogni singolo autore. Da Giacomo da Lentini a Enrico Testa, Serianni, ancora una volta, accompagna la letteratura anche oltre le mura universitarie, la fa respirare, le offre una nuova vita.
Alessandro Cutrona, Questione di sguardi. Il punto di vista e la narrazione (postfazione di Salvatore Ferlita), Il Palindromo
In linea con Serianni, chiudiamo questa piccola lista di Natale con un saggio dedicato allo sguardo, che si inserisce nella tradizione di Ings (Storia naturale dell’occhio), di Cousins (Storia dello sguardo), di Italo Calvino, che ha dedicato tutta la sua opera a questo tema inesauribile, e che qui sembra guidare a distanza, dall’inizio alla fine, la scrittura di Cutrona. Come Serianni, anche Cutrona dà del tu ai grandi classici, li ripesca dai banchi di scuola (pensiamo a I promessi sposi) e dalle aule universitarie (pensiamo a Genette e a Steiner) e li applica alla nostra vita, al nostro modo di leggere, sì, i libri e il mondo intorno a noi. Un libro prezioso, da tenere accanto quando leggiamo e crediamo di non capire quello che stiamo leggendo, ma anche da sbattere in faccia a quelli che credono che la letteratura sia solo una questione di libri, e non di rapporti umani.
Giorgio Biferali è scrittore, docente dell’accademia Molly Bloom e insegnante di italiano in un liceo. Collabora con quotidiani e riviste culturali, dove si occupa principalmente di cultura pop. Ha pubblicato, tra gli altri, L’amore a vent’anni, romanzo d’esordio presentato al Premio Strega 2018, A Roma con Nanni Moretti (Bompiani), Il romanzo dell’anno (La nave di Teseo), Cose dell’altro mondo e Guida tascabile per maniaci delle serie tv (entrambi editi da Clichy).

Dispiace rilevare come ‘le fortezze delle nostre abitudini’ siano le librerie
…e che le biblioteche siano solo materiale rimosso, a prescindere dalla convenienza commerciale del caso a non farne menzione.
Accade di default. Ed è un brutto specchio sociale.