«Associa il traghetto a una nave spaziale, e pensa che la forma dei finestrini sia simile agli occhi composti di alcuni insetti. Poi vede il personaggio ancora senza nome e se lo dice perlustrando in coperta. È una donna, e trasmette una freddezza misurata, confortante, ragionevole […]».

Leggendo gli undici racconti contenuti in L’isola dei conigli di Elvira Navarro (Liberaria 2021, traduzione di Sara Papini) si potrebbe pensare al fantastico, ma si commetterebbe un errore di approssimazione, di semplificazione. Rischieremmo di non accorgerci di un’evidenza: le storie di Navarro sono più reali della realtà. La scrittrice spagnola ha una visione chiara del vero, di quanto assurdo risieda nelle nostre vicende quotidiane, nelle nostre esistenze dense di precarietà, di miserie, di imprevisti continui.

Quando scrive, perciò, non fa altro che amplificare, distorcere, spostare il punto di vista, l’angolo della fotocamera, la punta della penna. Navarro usa il suo talento, la fantasia, la capacità di immaginare per fare quello che una scrittrice brava sa che va fatto: scrivere una storia che stia piedi e che – se si può – non somigli a niente, se non allo stile dell’autrice. Lo stile conta più del contenuto? No, con ogni probabilità, le due cose vanno insieme. Lo stile segue la storia, la storia (che regge) dipende dallo stile. Una casa esiste così com’è, ma saperla descrivere è un’altra questione. Navarro è spietata, spiazzante, visionaria, questo era chiaro già leggendo il suo romanzo pubblicato in Italia due anni fa La lavoratrice (sempre da Liberaria). Si veniva conquistati da una scrittura sperimentale, capace di mischiare più elementi per raccontare la precarietà, la solitudine, il bisogno dell’altro, la malattia mentale, la depressione.

La lavoratrice, del resto, cominciava con un’intervista che poi sarebbe diventata un racconto, che stava in un romanzo, e L’isola dei conigli ha in sé molti dei temi presenti in quel libro: sfruttamento, malattia mentale, precarietà e poi inquietudine, senso del tragico, percezione del trauma, gusto per l’invenzione e manomissione di un dettaglio che consenta il ribaltamento delle vicende dei protagonisti.

Navarro è una scrittrice bravissima, una delle più interessanti del panorama letterario spagnolo, e lo conferma in questi racconti: tutti diversi l’uno dall’altro, tutti in equilibrio tra il misterioso campo del fantastico e quello della realtà. Si scrive su quel confine.

Agosto ebbe l’intensità di tutta l’infanzia. Poi arrivarono settembre, i genitori, la gente.

Una sorta di inventore comincia ad allevare conigli su un’isoletta lungo il Guadalquivir, con l’idea di eliminare nidi di uccelli di una specie sconosciuta. Una donna comincia a sognare quel che sognano gli avventori di un albergo. Un rifugio squallido è il luogo nel quale una coppia concretizza la fine della relazione. E poi una donna cui cresce una zampa di coniglio all’orecchio; due ragazzine amiche e poi distanti e poi di nuovo vicine, nel corso di un’estate complice e minacciosa, scenario perfetto per descrivere le agitazioni e le cattiverie di chi è prossimo all’adolescenza. Un’orfana si accorge che è stato creato un profilo Facebook a nome di suo madre. Comincia a seguirlo, in maniera sempre più intensa, ossessiva. Ogni tanto qualcuno (ma chi?) posta una foto, scatti familiari intimi che nessuno conosce, che forse non sono nemmeno mai stati fatti, ma che avrebbero potuto. Dopo c’è una Parigi in cui cominciano a scomparire pezzi di viale. E ancora un arciduca, una specie estinta.

Questi alcuni dei palcoscenici, degli attori, dei vuoti e dei pieni che Navarro muove, spostando l’attenzione da ciò che siamo abituati a vedere. Niente è come sembra, niente è davvero così. In ballo c’è molto di più della cronologia: mattino, pomeriggio, sera, notte. C’è il mondo onirico che ruota e oscilla di continuo tra sogno e incubo.

Navarro crede che per narrare il nostro tempo sia necessario ribaltare lo stato dei fatti, dei luoghi, dei nomi. Per raccontare le paure di una ragazza, nel vedersi e nell’essere vista, perché non farle crescere una zampa di coniglio? Per mostrare un mondo che perde pezzi perché non far sparire Parigi a frammenti? Per far cessare una relazione che è già finita perché non spostare tutto in un luogo squallido che non è altro che lo specchio in cui i due ex-innamorati si guardano?

Tutto era la conseguenza di un’ossessione, o di un’eredità.

I personaggi di Navarro si perdono sì, ma lo fanno in autonomia e la storia che li ha disposti, loro sono una conseguenza, o, a volte, lo strumento, attraverso il quale, ci viene mostrato il disastro. Nella bella introduzione alla raccolta, Rossella Milone parla di inquietudine e di attrazione, di ombre, di oscurità. Parla di demoni e sirene, Milone ci anticipa che non troveremo altro che noi nelle pagine di Navarro, e noi lei crediamo perché così andrà. Questi racconti ci dicono molto delle nostre macerie e delle nostre vite, ma lo fanno con quella particolare vivacità, accelerazione, sorta di buco nero e dopo luminoso, nei quali precipitiamo grazie alla letteratura, che sempre svela. L’autrice ci dice che tutto ci sfugge, ci accorgiamo di qualcosa – che si tratti di felicità o di tragedia – solo quando si eleva o si abbassa rispetto alla linea della norma, e ha ragione.

 

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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