«Scegliamo i nostri oggetti e i nostri luoghi della memoria, o piuttosto è lo spirito dei tempi a decidere ciò che val la pena di essere ricordato».

Guarda le luci, amore mio ma anche Eccomi di nuovo, lettore mio, perché Annie Ernaux fa così – dopo averci lasciati pieni di meraviglia alla fine di un qualunque suo libro – sembra aver esaurito il raccontabile, averci detto il possibile mettendo la sua biografia al servizio del racconto, del tempo, della storia, e invece non è così, non è ancora così. Accade di nuovo, e noi – inconsapevoli – aspettiamo che accada, come se fossimo i tennisti dell’Accademia di Infinite Jest in attesa che la pallina ricominci a ruotare, come se fossimo dei bambini davanti alla prima (nuova) bolla di sapone, o all’ascolto dell’ennesima fiaba della buonanotte.

Accade perché non si esauriscono le strade del racconto né quelle dell’attraversamento biografico, perché finché l’occhio è ancora in grado di vedere la scrittrice è in grado di registrare, osservare, mettersi al centro della scena e poi spostarsi di lato e dire quello che succede alle nostre vite, uguali alla sua, diverse dalla sua, noi in coda al supermercato, noi racchiusi in una frase perfetta. Mi sono occupato spesso della scrittura di Ernaux (chi volesse approfondire legga qui: Fotografie di Ernaux o qui: Annie Ernaux, un memoir e un saggio) e sono ogni volta curioso di scoprire di cosa abbia scritto, di come lo abbia fatto, e resto stupito d’ammirazione, è successo di nuovo grazie proprio a Guarda le luci, amore mio (L’orma, 2022, traduzione di Lorenzo Flabbi).

Questo genere di dispositivi spinge all’indifferenza morale. Davanti a una macchina non si ha nemmeno l’impressione di rubare.

Nel 2012, viene chiesto a Ernaux di partecipare con un testo alla collana “Raccontare la vita” dell’editore Seuil, la scrittrice non esita e decide di narrare un luogo ancora poco visitato dalla letteratura: l’ipermercato. Sceglie la forma diario per scrivere dell’Auchan che visita una o più volte alla settimana. Chi legge Ernaux sa che un diario non è mai soltanto un diario, ma è destinato a rivelarsi attraversamento del tempo, del luogo, dello spazio e dell’umanità dentro questi tre fattori. Perciò l’ipermercato diventa quello che è uno specchio più che attendibile del senso comunitario, e perciò della ricerca dell’altro e del successivo rifiuto. Diventa il teatro dentro il quale la scala sociale viene riprodotta giorno per giorno, spostandosi di scaffale, di reparto, valutando le offerte speciali, i beni quasi di lusso e, per contrasto, quelli senza marchio. Diventa il racconto di chi siamo, qual è la nostra famiglia, il nostro probabile quartiere, basta osservare il modo in cui riempiamo il carrello, il giorno in cui lo riempiamo, verso quali prodotti ci rivolgiamo più spesso, quali bevande o marmellate nemmeno guardiamo.

Qui, più che in qualunque altro posto, vivo la difficoltà di cogliere e determinare l’istante presente, il significato di tutto ciò che mi succede davanti agli occhi mentre cammino.

Il testo di Ernaux è pieno di empatia e precisione, è poetico più che documentaristico, eppure – grazie alla letteratura – davanti ai nostri occhi passa il tempo in cui stiamo vivendo, le etnie che si mescolano, l’isolamento di alcuni, la fatica di chi lavora alle casse, le luci del centro commerciale che ci guidano, orientano la nostra strada, le nostre scelte, il nostro quotidiano. Mentre osserva, la scrittrice, indaga, segue il movimento dei corpi, registra le frasi ascoltate, le rielabora, compie un’operazione di linguaggio, di ricerca, di geografia, di grammatica. Fa politica, perché di nuovo usa sé stessa, la sua dimensione personale – signora anziana che va a fare la spesa – per mostrare la gente, per illuminarci su come viviamo, su come ci siamo arrivati.

Solo Ernaux poteva metterci tra le pagine quanta durezza e – al contempo – quanta dolcezza possano visitare due carrelli vicini, o una mano che si allunga verso il banco frigo. Quanta poca scelta c’è in quello che ogni giorno decidiamo di comprare, eppure tra quelle corsie viviamo, mettiamo in scena i nostri tentativi di sopravvivenza, il nostro modo (uno dei tanti) di avvicinarci agli altri. Perché, sembra volerci dire Ernaux, le nostre solitudini hanno molto a che fare con le merci e con il denaro, e spesso compriamo per necessità, per nutrirci, per benessere, altre entriamo in una corsia piena di cioccolato per sentirci meno soli. Entriamo all’Auchan perché lì ci sono gli altri, i compagni corpi cari ad Anna Maria Carpi.

È qui che ci abituiamo alla prossimità dell’altro, spinti dagli stessi bisogni essenziali di nutrirci, di vestirci. Che lo si voglia o no, qui costituiamo un’unica comunità di desideri.

La fila alla cassa, il sorriso a chi tiene il carrello poco distante, il commento rispetto a un best-seller scadente venduto nell’apposito reparto, le parole con cui scegliere di nominare la donna di pelle scura, il ragazzo mediorientale, l’onestà con cui ogni termine viene pesato (tanto per restare in tema), la chiacchierata col cassiere, l’impersonalità della cassa automatica, il consiglio non richiesto, le cose che vogliamo e quelle che vorremmo, la nostra storia personale e la nostra memoria che finiscono tra i barattoli che stiamo per acquistare, gli sfruttati, il divario sociale, «qual è il modo in cui siamo presenti gli uni agli altri?», l’umore cattivo o buono che verrà indirizzato dalla facilità con cui si parcheggia e quanto distante dall’ingresso dell’Auchan, le offerte speciali, le luci di Natale già a novembre, le uova di Pasqua ben prima del tempo, chi torna anche due volte al giorno giusto per fare un giro. Fare un giro, anche questo è vivere, questa è di nuovo – grazie al cielo – Annie Ernaux.

 

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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