giallob

Questa recensione è uscita in versione leggermente diversa su Succede Oggi (fonte immagine).

di Paolo Bonari

Nel corso di questi mesi, Giallo banana di Giovanni Di Giamberardino e Costanza Durante ha ricevuto elogi pressoché unanimi, a partire da quello di Antonio D’Orrico, che presentava e lanciava i due autori chiedendosi, non senza buone ragioni ed evitando, almeno per una volta, certe appiccicose iperboli alle quali ci ha abituato, se non avessimo trovato “i nipotini di Fruttero & Lucentini”: ad accomunare le due coppie, il gusto della parodia sociale, della satira di costume, dell’occhiolino intelligente a chi sia in grado di capire, nonché la pagina molto “scritta”, e scritta con eleganza formale e dispendio di forme espressive.

“La Roma bene”, insomma, dispone di un altro romanzo che ne documenti, più dei rapidi fasti, le lunghissime cadute: è nell’ancien régime dell’aristocrazia cittadina che ci muoviamo, apprendendo che il party più esclusivo, le animate terrazze romane, la festa immancabile, “esistono”. Tutto ciò che avviene, però, è osservato o potrebbe essere osservato dall’occhio inquisitore del “Cafonal” di “Dagospia”: il botox delle “facce traslucide”, la miseria etica dei marchesi “decadutissimi”, quella estetica della “giovane rampolla” dai modi angelici “che sorride a trentadue denti scoprendone uno aggredito da una foglia di prezzemolo” e la spietatezza della onorevole che avanza verso il buffet “sputando a terra il chewing gum che stava ciancicando per contrastare i morsi della fame”.

Nobiltà e spazzatura, intrecciate, indistinte, ingiudicabili se non attraverso il metro della realtà decaduta, quello televisivo, tanto che i riferimenti sono parossistici: si va da Carlo Conti al conduttore televisivo “Dario Donti” – la replica che equivale l’originale –, fino ad Antonella Clerici e “La prova del cuoco”, “X Factor”, “Pomeriggio Cinque”, “Maurizio Costanzo Show”, “Porta a Porta”, Simona Ventura e l’“Isola dei famosi”, Raoul Bova, “La vita in diretta”, Gigi Marzullo, “Sentieri”, i tronisti e “Uomini e donne”, “Centovetrine”, Aldo Busi, Marco Travaglio, per finire con le parodie, cioè la rivista “Giovanna2000”, il Movimento 5 Teste, l’“esponente di centro destra Daniela Palanche”, “l’ex pornostar Nilly D’Abbacchio che si sganasciava sottobraccio al vincitore del premio Strega Lauro Gioviano” e “la neomamma ultracinquantenne Carmela Musso e il fedele coetaneo Ezio Mauro Lurchi”.

Sì, tutto un po’ puerile, ma senza divertimento: né nella lettura, né nella scrittura, o così sembra. Wanna Marchi in esergo scandalizza chi? Introvabili “separatisti” che continuino a ribattere sulla distinzione della letteratura dalla spazzatura? Se sberleffo è, non si capisce a chi venga rivolto, né perché la scelta realistica sembri intermittente, e si finisca per ricadere nella trasfigurazione – Carlo Conti o “Dario Donti”? –, tanto annoiata quanto noiosa.

Sorrentino, certo, “La grande bellezza”: il film stesso viene citato, come a dare l’indicazione al lettore, nonché al critico – lascerei stare Fellini, invece, perché lo sguardo di Mastroianni sulla realtà non è quello di Servillo, e tanto basti, per ora. Romanzo che si muove in un allegretto che è una marcetta e molto speziato, sovraccarico, mentre il genere, più di altri, avrebbe bisogno di asciuttezza, di una certa stilizzazione secca, pena la perdita di credibilità, lo svaccamento al posto della tensione – si gioca a fare il giallo senza crederci, qui, ma non si capisce, allora, perché uno debba arrivare fino in fondo, a meno che non sia un affezionato della “trasmissione”.

Il giallo prevede dei vuoti, non è un tutto pieno – Maigret sembra quasi un tutto vuoto… –, e l’occhio che vuole la propria parte non vuole altro che un po’ di riposo, mentre è tutto troppo, qui: i dialoghi, i colori, perfino l’intelligenza degli autori, perché è anche un po’ stupido, il giallo, e non deve guardarsi troppo addosso, mentre procede. Allora, Fruttero & Lucentini? Sì, va bene: però, siamo dalle parti del romanzo della coppia che meno preferisco, quel A che punto è la notte che, al mio gusto, allappava, non perché acerbo, ma per troppa maturità.

Romanzo molto romano, anche, a prescindere dall’ambientazione: nel senso di una colonizzazione molto capitolina dei mezzi più che dell’immaginario, ovvero della graphic novel che ha soppiantato tradizioni di più lunga data come quella letteraria, e che sembra più congeniale alla rappresentazione, quando questa sia mimetica, come nel nostro caso – la scrittura stessa sa (efficacemente) di botox, come gli zigomi dei personaggi. Forse, la letteratura non potrà che sentirsi nobilitata, oggi, dall’ancillarità al fumettone, e questo è il termine di una rincorsa, la conseguenza del sorpasso.

Ripenso alla Roma de Gli sfiorati di Sandro Veronesi, più gigionesco di Giallo banana e tuttavia simile, che mi sembra segnare una soglia: pubblicato nel 1990, dava il via a quella fumettizzazione della narrativa che si consumerà proprio lungo quel decennio e che, oggi, è maniera – inizialmente romana, ma anche bolognese, insomma di centri intensamente accademizzati, dove l’alto tasso di “creatività underground” manifestava solidarietà con l’overground istituzionale – solidarietà non più paradossale, perché decennale. Il fatto è che, quando concedi qualcosa al fumetto, quello si prende il braccio, quando la letteratura abdica al proprio ruolo di mezzo (svantaggiato) di rappresentazione bianca e nera, invidiando altre tavole, altri colori, uno si chiede perché una storia debba essere solo scritta, perché manchino le vignette.

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Autore

pbonari@minima.it

Sono nato sul crinale che, per fortuna, divide la Valdichiana dalla Val d’Orcia: così, lo scontro di civiltà non degenera in rissa quotidiana. Dottore di ricerca in Filosofia, ma non importa, non ci capivamo: Orwell mi sembrava un filosofo, Heidegger un sofista (per non dire peggio), e nessuno era d’accordo con me. Insomma, ero stufo e mi sono messo a rileggere i libri che mi piacevano da piccino. Sono stato educato alla scuola critica di Carlo Monni: “La poesia è un brivido, tutto il resto è letteratura”. Proprio del resto, però, tocca occuparsi. Secondo me, avrei fatto meglio, in generale, a mettere su una band shoegaze, ma non sapevo né suonare né cantare, e sarei stato perfetto.

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