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Dopo quasi 50 anni dalla loro composizione, alcune canzoni degli Area sono ancora in grado di raccontare il presente.

Al di là della grande abilità ipertecnica (come direbbe Richard Benson) dei singoli musicisti, al di là del carisma straordinario di Demetrio Stratos, ciò che rende ancora importante l’ascolto dell’International Popular Group è la consapevolezza sociale e politica, soprattutto l’urgenza di trasformazione, individuale e collettiva, che ispira i loro brani.

Non è un discorso nostalgico, al contrario: abbiamo bisogno di ritrovare nel presente quell’entusiasmo nell’impegno, quel sentimento di “gioia e rivoluzione” cantato in una delle loro canzoni più celebri.

 Questa sensazione è stata confermata dall’Area Open Project, presentato, in live streaming,  il 10 novembre alla quarantaquattresima edizione del Roma Jazz Festival.

La formazione non è più quella originale: a parte Patrizio Fariselli sempre presente al piano e alle tastiere, Walter Paoli ha sostituito alla batteria Giulio Capiozzo, scomparso nel 2020, Marco Micheli ha sostituito Ares Tavolazzi al basso, Claudia Tellini reinterpreta le parti originali dell’insostituibile Demetrio Stratos, mentre Paolo Tofani non partecipa al progetto.

I brani storici sono reinterpretati in una chiave più jazz rispetto alle incendiarie versioni originali, ma la loro bellezza rimane intatta.

Chiaramente, le capacità vocali strabilianti e la presenza sul palco di Stratos sono irripetibili e incomparabili, ma le reinterpretazioni di Claudia Tellini sono comunque più che decenti, tecnicamente impeccabili.

Il concerto, di circa un’ora, inizia con Cometa rossa, uno dei brani più iconici del gruppo.

Fariselli introduce i brani, non risparmiando critiche alle decisioni governative fortemente penalizzanti del settore culturale, pur riconoscendo la gravità della situazione pandemica.

Per sottolineare la condizione surreale, accostata a quella del protagonista tarkovskijano di Solaris, di eseguire i brani davanti a una platea vuota con gli spettatori collegati online, aggiungerà ironicamente degli applausi registati al termine di ogni brano.

Il ricordo di Stratos è evocata in ogni passaggio della scaletta, ad esempio nella scelta di omaggiare la sua ricerca nella storia della musica popolare riproponendo brani arcaici della tradizione greca e tracia, ribattezzati La danza del labirinto e Aria.

Non mancano i brani più celebri del gruppo, come L’Elefante Bianco, Giro girotondo, Gioia e Rivoluzione (che scaturisce a sorpresa da una cover della gemma hendrixiana The Wind cries Mary) e Luglio Agosto Settembre (nero), che chiude il concerto.

Brani anacronistici, testi fuori tempo massimo, sonorità desuete per nostalgici?

Niente affatto.

Gli Area possono dire ancora molto agli ascoltatori di oggi, non solo dal punto di vista squisitamente musicale.

Ne abbiamo parlato col membro storico, e attuale coordinatore del progetto, Patrizio Fariselli.

Quale progetto presenterete al Roma Jazz Festival?

Proporremo lo stesso repertorio del concerto tenuto un anno fa a Tokyo, appena pubblicato in doppio CD+DVD  in Italia e in Giappone: LIVE IN JAPAN una produzione SFERA Entertainment edito in Italia da Warner Music e in Giappone da King Records.
Buona parte dei brani appartengono al repertorio storico Area, con la novità di essere cantati da Claudia Tellini, e presenteremo anche brani recenti, con qualcosa di inedito.

Sarà un’esperienza quasi irreale suonare di fronte a un’enorme platea vuota, pur sapendo di essere ascoltati in streaming anche all’estero.

Nei vostri testi da sempre freme un senso di necessario cambiamento sull’orlo di una crisi incombente, un’urgenza quasi apocalittica.

Quanto sentite attuali le vostre canzoni, nel contesto surreale che stiamo vivendo?

Tanti nostri testi sono incredibilmente attuali. Penso ad esempio al concept album Maledetti (Maudits), in cui, in uno scenario fantapolitico, la storia del mondo viene conservata e gestita dal computer di una banca. In Gerontocrazia si allude ad un potere che terrorizza la gente e che definisce perentoriamente i modi e le forme della libertà.

Come via di uscita si ipotizzava una nuova gestione del potere da parte delle frange più a rischio della società, donne e bambini. Oppure brani come Implosion, ZYG (crescita zero) o Luglio, agosto, settembre (nero), purtroppo ancora attuale visto che la questione palestinese nei quarantasette anni da quando lo abbiamo scritto non si è modificata di un filo, se non in peggio.

I testi, scritti in gran parte da Frankenstein – Gianni Sassi, risultano straordinariamente visionari e invitano sempre a pensare con la propria testa, a sviluppare un pensiero critico.

In un’epoca dominata dai media e, data la preoccupante tendenza generale ad uniformarsi su opinioni prefabbricate, risultano ancora estremamente vitali.

A proposito di Frankenstein, sarò felice di partecipare a tre giornate in sua memoria che si terranno presso il teatro Out Off di Milano il 12-13-14 novembre. Si potranno vedere solo in streaming, per i motivi che sappiamo, e io sarò ospitato in chiusura, sabato 14, suonando anche qualche pezzo.

Siamo all’ennesima “resurrezione” degli Area; cosa è cambiato in tutti questi anni, cosa vi ha lasciato ciascuna fase della vostra carriera?

Più che di resurrezione, parlerei di fasi diverse nel percorso creativo di musicisti dalla curiosità insaziabile, di artisti determinati ad andare a fondo nella propria arte e che periodicamente, quando sentono di aver qualcosa di nuovo da dire, si raccolgono sotto la vecchia bandiera.

Dovessi raccontare ogni fase degli ultimi 45 anni avrei bisogno di molto più spazio. Qualche anno fa riprendemmo l’attività in quartetto con Paolo Tofani, Ares Tavolazzi e Walter Paoli e producemmo un doppio CD live. Ora stiamo parlando di un progetto “aperto”, che rivendica la dicitura Area come parte del suo DNA, ma che ha lo scopo di produrre nuovi contenuti.
Naturalmente ci si diverte a rielaborare il vecchio materiale, soprattutto ad uso e consumo dei più giovani, ma si continua a  mettersi in gioco esplorando mondi musicali sempre diversi. Il nostro più recente lavoro, 100 GHOSTS, è lì a testimoniarlo.

Ci sono gruppi successivi in cui ritrovate la vostra influenza o che comunque seguite con interesse?

Direi che, qui in Italia, Elio e le Storie Tese (che saluto) si sono sufficientemente esposti da meritare una menzione d’onore.

Non posso non chiedere un ricordo di Demetrio Stratos, figura il cui talento e il cui carisma è ancora di ispirazione per molti ricercatori musicali.

Il rammarico per la prematura scomparsa di un artista come Demetrio è tuttora molto sentito, anche a livello internazionale. Me lo confidava David Moss, tempo fa, un cantante che ha portato avanti molte delle sperimentazioni iniziate da Stratos. A parte il carisma, penso che la sua intuizione di approfondire le potenzialità della voce affrancata dalla sudditanza alla parola, sia ancora insuperata.

Ci sono nuovi progetti in cantiere?

Ero in procinto di portare in giro il repertorio di LIVE IN JAPAN, se il recente decreto governativo non ci avesse falciato le gambe.

Vorrà dire che userò il tempo libero per finalizzare la progettazione di un nuovo album.

Tra le varie cose, sto lavorando al “sequel” de La Mela di Odessa, un brano dal titolo La Foglia di Murmansk, che ho scritto dopo aver appreso i dettagli dell’impresa di Jan Appel nel 1920.

Come descrivereste la vostra musica a chi non ha mai ascoltato gli Area?

Abbiamo sempre cercato di evitare ogni definizione della nostra musica, proprio per coltivare nel migliore dei modi un utile senso di imprevedibilità. Quello stato di inquietudine controllata che ti permette di aggirare schemi preconcetti ed entrare in sintonia profonda con gli ascoltatori. È una strategia che ha dato spesso buoni frutti. Tante persone me lo hanno confermato, nel corso degli anni, quando sono venute a raccontarmi della prima volta che hanno assistito a un concerto Area.

Quando invece incontro qualcuno che non ha mai ascoltato nulla di noi e non sa di cosa si parla beh, gli suggerisco di prendersi un po’ di tempo e… ascoltare; semplicemente.

Sarà la musica stessa a fare il suo lavoro se trova il terreno adatto.

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1 commento

  1. Con tutto il rispetto e la considerazione, mancano terribilmente la formazione originale ed il grande, indimenticabile Demetrio Stratos…

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adrianoercolani@minimaetmoralia.it

Adriano Ercolani è nato a Roma il 15 giugno 1979. Appena ventenne, ha avuto il piacere di collaborare con Giovanni Casoli nell'antologia Novecento Letterario Italiano e Europeo. Si occupo di arte e cultura, in varie forme dalla letteratura alla musica classica e contemporanea, dal cinema ai fumetti, dalla filosofia occidentale a quella orientale. Tra i suoi Lari, indicherei Dante, Mozart, William Blake, Bob Dylan, Charles Baudelaire, Carmelo Bene, Andrej Tarkovskij e G.K. Chesterton. È vicepresidente dell'associazione di volontariato InnerPeace, che diffonde gratuitamente la meditazione, come messaggio di pace, nelle scuole e nei campi profughi di tutto il mondo, dalla Giordania al Benin, dal Libano a Scampia. Nel suo blog spezzandolemanettedellamente riversa furiosamente più di vent'anni di ricerca intellettuale. Tra le sue collaborazioni: Linkiesta, la Repubblica, Repubblica-XL, Fumettologica e ilfattoquotidiano.it.

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