Pubblichiamo, ringraziando autore ed editore, un estratto dal romanzo “In principio fu il male” di Davide Gatto, in libreria per Manni.

 

*

UNO (Fischia il vento e infuria la bufera)

Nelle conventicole casuali di quartiericoli alla caccia c’era a questo punto chi si dichiarava soddisfatto e allargava le braccia, Che altro c’è da dire?, avevamo un brigatista in Quartiere e facevamo finta di non saperlo, si trattava in genere delle anime belle della Esclusione e della Affiliazione o di qualche altra anima disperata conquistata al sogno del successo facile e del godimento imperituro, ormai aveva provveduto lo spirito santo a illuminare i governanti e a sradicare la mala pianta, e d’altra parte perché rivangare ancora storiacce di sparatorie e ammazzamenti se a reti unificate il futuro prometteva donne e uomini bellissimi per tutti e la giovinezza eterna e attici open space sospesi sul golfo di Manhattan?, ma agli altri, a tutti gli altri forse la nebbia stava nel cuore e non c’era fede interessata o spot pubblicitario capace di diradarla, a dirsela tutta e con estrema franchezza neanche questi altri sembravano però granché interessati a smascherare un brigatista rimasto impunito, solo avevano l’impressione che a correre dietro al cinghiale assassino l’aria nelle narici si facesse più frizzante, si guardavano negli occhi e se li scoprivano fondi e qua e là scintillanti come di notte una steppa attraversata da luci di carovane e da bagliori di briganti, che putiferio aveva scatenato per esempio quel sovversivo del Cipriani quella volta che nella sala dei sindacati i delegati erano stati convocati per discutere e alla fine approvare l’accordo sulla ristrutturazione?, il racconto raccontava che l’ambiente somigliava all’interno di una chiesa, c’era un albero di Natale con le palle e la stella cometa ma senza luminarie, e alle panche, doppiamente disposte in un triplice ordine, mancava solo l’inginocchiatoio per certificare il mostruoso abbraccio tra il potere clericofascista e gli eredi abusivi delle brigate garibaldine, dall’altare pavesato di rosso con una scritta cubitale gialla, Il terrorismo attacca il movimento operaio i suoi partiti e i suoi sindacati, il segretario stava già raccogliendo l’approvazione unanime quando l’Aldo Martello si era affacciato rumorosamente dalla porta a vetri e aveva cominciato a sparare una dopo l’altra frasi che erano come proiettili, Io sono marxista e voto contro. Marx diceva ai proletari di tutto il mondo di unirsi, il padrone si è cagato sotto e si è inventato la ristrutturazione per tenerci divisi. Nessuno viene licenziato, voi dite, ma la produzione viene frammentata e gli operai vengono divisi. Voi leccate il culo a papà Falck e volete costringere anche noi operai a diventare dei lacché!

Per qualche momento a quanto pare quelle parole inaspettate erano rimbalzate da una parete all’altra della saletta come fulmini e saette in uno spazio chiuso, gli aspiranti sacrestani se ne erano rimasti pavidi e disciplinati al loro posto, stavano l’uno stretto stretto all’altro e con gli occhi puntati sul segretario dietro all’altare, poi dal punto più lontano dal Martello qualcuno era scattato in piedi nervosamente, sembrava un joker a molla esploso all’improvviso da una scatola-regalo sotto l’albero, si diceva che l’effetto era stato quello di una valanga, tutti si alzavano e gesticolavano furiosi verso il tavolo della presidenza e verso l’intruso, Buttatelo fuori, lui non è un delegato!, Dov’è la sorveglianza?, le voci si alzavano e si confondevano, Terrorista!, sei tu il vero nemico dei lavoratori, per un riflesso forse automatico a un certo punto un gruppo di delegati aveva intonato in coro lo slogan di tante recenti manifestazioni, Brigatisti, fuori dai coglioni / contro gli operai ci sono già i padroni, c’era stato persino qualcuno di più vicino che spinto dalle onde lontane di rabbia e di finta indignazione aveva accennato qualche passo bellicoso verso il Cipriani ma quello aveva gonfiato il petto e abbassato la testa che sembrava davvero un cinghiale capobranco pronto a caricare, nel trambusto generale e sotto lo sguardo severo dei braccianti e dei proletari in marcia che campeggiava in effigie a tutta parete sopra l’altare della presidenza era stato ancora una volta il vocione del Martello gappista e partigiano a imporsi, I terroristi siete voi, branco di spioni del cazzo, Berlinguer ha fatto l’accordo col fascista e col padrone e vi ha spedito nei reparti a ficcare il naso e a denunciare, siete degli uomini di merda e avete fatto male i conti, i compagni della resistenza partigiana sanno come reagire al vostro terrore controrivoluzionario, raccontava chi c’era stato che il subbuglio era stato davvero grande, punti nel vivo della loro fede proletaria e antifascista alcuni delegati avevano infatti cominciato ad attaccarsi con i loro vicini e la chiesa sindacale dei riti corali si era trasformata in una piazza tumultuante di popolani l’un contro l’altro armati, pare ci avesse pensato come al solito quel diavolo di un Martello a far sentire tutti indistintamente delle merde, di traverso sulla porta e ruotando a più riprese il testone prima all’esterno e poi all’interno aveva cominciato a leggere con una voce da megafono la lapide commemorativa degli operai Falck morti nella lotta di resistenza partigiana, Fratelli di una pari sorte…, Caddero vittime della barbarie nazifascista…, Traggano perenne insegnamento i vivi.

L’evento era stato così clamoroso che a quanto pare per giorni non si era parlato d’altro nei reparti e davanti alle macchinette del caffè, il Cipriani aveva violato l’intoccabilità di un luogo e di un rito che erano davvero percepiti come sacri, fare irruzione nella saletta del potere sindacale sembrava ancora più empio e oltraggioso che piombare vocianti come tante volte avevano fatto negli uffici della Direzione, nella lontananza del tempo ora i quartiericoli scoprivano però che né nel passato né nel presente il loro pensiero e i loro discorsi ruotavano intorno alle questioni politiche e ideologiche, neppure si soffermavano granché sul presunto ruolo di brigatista e di fiancheggiatore del tornitore scelto delle Officine Meccaniche Concordia, tra le pieghe e gli intervalli dell’indagine che il Quartiere aveva avviato all’indomani del definitivo tramonto di Draculescu sembra che qualcuno fosse giunto a paragonare il Martello di Stalin a un vento ribelle pronto a girarsi senza preavviso pur di schiantare un ostacolo, quando si parlava di lui sembrava di vedere in azione le forze poderose che smuovono la natura, fiumi in piena che sgretolano le montagne e terremoti che sconquassano intere città senz’altra ragione se non quella di essere quello che sono, cioè pura energia a caccia di spazi vuoti in cui espandersi, mettevano in fila i quartiericoli tutti i fatti che avevano rievocato, e se il sindacato e il partito dettavano la linea nella pace e nella concordia di lavoratori e delegati, lui piombava nel bel mezzo della cerimonia e gettava lo scompiglio, e se la materia si compattava nelle forme fatali dell’acciaio inossidabile, lui la tormentava con il suo tornio e con l’utensile a coltello fino a infondere in essa nuova vita e nuovo movimento, insomma non sopportava nulla che fosse stabile e fermo l’Aldo Cipriani detto il Martello di Stalin, a pensarci bene favellatori e uditori del Quartiere ora mettevano a fuoco anche il giudizio sprezzante di quel rivoluzionario integrale e assoluto verso la giovinaglia fancazzista e bucarola che stava davanti alla Cantina di Gennaro più rigida e inerte del cordolo di un marciapiedi o del palo della luce, Mi viene voglia di prenderli uno ad uno, di bloccarli sul mandrino e di dargli una bella lavorata, più di tutti disprezzava Nino di Lorena, Lorena la maestrina che aveva adottato quell’altra poveretta della piccola Ramona, Quello crede in san Cazzo, parte sempre alla conquista di qualche figa e poi si appende la foto porno nell’armadietto come un ex-voto, si chiedeva qualche figlio di buona donna cosa si poteva dire allora di lui, che nell’armadietto si era appeso i faccioni morti di Lenin e di Marx.

Ma come è facile comprendere il racconto ormai si era fatto sfuggente e viveva di vita propria, era magari il principio di marzo di quel millenovecentonovanta che prometteva meraviglie, niente e nessuno più nel mondo potevano ostacolare la libertà l’ordine e il progresso del Sacro Occidentale Impero Statunitense, si era visto che fine avessero fatto i seguaci dell’angelo ribelle marxista e bolscevico, il genio malato dei Carpazi era stato gettato come uno straccio vecchio ai piedi del muro di una scuola, il carrarmato del superbo tiranno cinese umiliato nella piazza mastodontica da un ragazzetto smilzo con un gran ciuffo nero e il muro sovietico là a Berlino smantellato pezzo a pezzo da uno sciame senza fine di scalpellini improvvisati, le avvisaglie del tempo nuovo di pace e prosperità del resto erano già nell’aria, i canali tv si erano moltiplicati e a cercar bene non mancava l’offerta sexy ed esplicitamente hard, anche la realtà sembrava essersi moltiplicata e ora guardava materna gli umani dalle migliaia e migliaia di piccoli schermi dei computer, sarà pure stata beneaugurante dunque l’arietta di quel sabato pomeriggio di marzo, un’arietta forse già speziata dei profumi del futuro risveglio, eppure magari una corona bitorzoluta di figurine goffe si stagliava nera come tutto sullo sfondo fiammeggiante dell’orizzonte e parlava ascoltava e raccontava, poteva parlare forse da quasi un’ora e ormai nessuno ricordava più da dove e perché il discorso fosse cominciato, volevano forse che mai finisse il catalogo mirabolante degli eccessi del Martello che loro mai avrebbero saputo compiere, sbalordivano e godevano a sentire delle sue risse di mani e di parole, della mazzata a tutte nocche sul casco dello sbirro e della spavalderia a trattare con i potenti, se lo figuravano tutti rapiti a plasmare il metallo e la roccia come una divinità tribale, e come una divinità tribale nascosta agli uomini nei vapori di una nuvola o nello sfarfallare fitto delle foglie di un pioppo lo seguivano con il cuore in gola mentre faceva la posta alle sue vittime e ne spargeva il sangue sacrificale sull’asfalto, cosa importava in fondo che fosse un assassino?, il mondo era pieno di assassini e al Quartiere di certo non mancavano i suoi, non ci fossero stati gli assassini un bel giorno, diradata la nebbia dal sole stanco di un gennaio qualsiasi, tutto sarebbe scomparso e il vialone, i grattacieli e i casermoni, la Cantina di Gennaro e la chiesa monumentale sarebbero tornati quello che erano sempre stati, forme in potenza, un miraggio, niente più che un miraggio nella lontananza tremolante del deserto.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

gatto@minima.it

Davide Gatto vive, insegna e – quando non può farne a meno – scrive a Francavilla Fontana, nel primo Salento, dove si è trasferito anni fa da Milano. Dopo una maturità scientifica e una laurea in letteratura greca antica sul Plutarco neoplatonico, ha collaborato alla stesura della Enciclopedia della filosofia e delle scienze umane De Agostini Compact (1996) con undici voci della patristica greca e latina. È inoltre autore di due opere narrative, Il male minore (2011) e In principio fu il male (2021). Suoi interventi di taglio prevalentemente sociologico e filosofico sono presenti su Nazione Indiana, Minima&Moralia e altre testate online.

Articoli correlati