Nuovo appuntamento per la rubrica quindicinale a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono qui.

Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?

La prima poesia di cui ho memoria è “Poggiolini”, di Marino Moretti, letta a scuola. La professoressa di italiano delle medie ce la fece imparare a memoria, e io la imparai, senza capirci molto. La prof. si arrabbiò moltissimo perché non avevo idea di cosa significasse “il pensiero m’accora”, ma a me non importava il senso; il ritmo mi era rimasto dentro, tant’è vero che la ricordo ancora perfettamente, e sono sicura che fu il ritmo a colpirmi.

Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?

Ho scoperto la poesia con Amelia Rosselli. Amelia Rosselli è stata il poeta, e più in generale, l’esperienza di lettura più importante che abbia mai fatto.

C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?

No, al liceo leggevo quello che trovavo: narrativa, poesia, saggi, fumetti, ma vivendo in un paese piccolissimo della Sicilia, senza librerie e con una biblioteca povera, andavo sempre alla ricerca di libri, e mettevo i soldi da parte per comprarne qualcuno nella cartoleria più vicina. Mia madre sembrava decisa a impedirmi di comprare libri; una volta riuscii a procurarmi una raccolta di Neruda e lei protestò dicendo che sprecavo i soldi. Erano specialmente i libri di poesia ad essere inaccettabili, dal suo punto di vista.

Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?

Neruda. All’epoca spendetti 18 mila lire, messe insieme con grande fatica. Non mi piacque. Ci rimasi molto male.

Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?

Al liceo scrivevo molto, e andavo in giro con un quaderno ad anelli pieno di poesie battute a macchina. Vinsi un paio di concorsi di poesia locali, e con i soldi del primo comprai il mio primo cellulare, azzurro, di cui andavo fierissima. Qualche anno dopo raccolsi alcune vecchie poesie chiedendo al mio fidanzato che mi stampasse un libretto come regalo di laurea. L’unico verso che ricordo è: “Questo cielo è mia madre ed è pesante ferro battuto”.

Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?

Per molti anni non ho scritto più niente, frequentavo l’università, studiavo tantissimo. Poi, un giorno, arrivai col mio fidanzato dell’epoca nei pressi di Cefalù. C’era appena stato un incendio. La notte cominciai a scrivere un testo sul terremoto del Belìce. Mi vergognavo, in primo luogo perché lui mi aveva detto: scrivi sul Belice e io l’avevo zittito, e poi perché eravamo al mare e io non osavo dirgli che non volevo andare al mare, volevo rimanere in camera a scrivere. È stato incredibile per me scrivere quel libro: volevo solo scrivere, non mi interessava più nient’altro. Mi succede raramente di essere così assorbita dal progetto di un libro, ma quando succede è un momento incredibile.

Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?

Mentre scrivere una cosa nuova è incredibile, quello che accade dopo non mi interessa granché. Ho imparato a tenere a bada la frustrazione del poeta, quel sentimento che ti spinge a disperarti se non scrivi e a disperarti ancora di più se non ottieni i riconoscimenti che pensi di meritare. Non sono brava ad autopromuovermi e non mi piace organizzare eventi o prendere iniziative collaterali alla poesia. Con gli anni ho fatto pace con molte cose, non ultimo quell’attrito che sento sempre quando leggo la poesia. Non saprei definirlo con precisione, ma so che è una sorta di difficoltà nell’immergermi nel linguaggio poetico, ed è quest’attrito che non mi permette di leggere tantissimo, ed è la ragione per cui leggo pochi poeti, e solo poche poesie alla volta. Provo con la poesia la stessa cosa che provo quando sono innamorata: è bello, ma ne ho grande paura.

La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?

È una ferita aperta.

La poesia inizia?

Inizia con delle idee che si affollano, e mi metto a scrivere solo quando ho messo da parte un po’ di parole, di frasi, di concetti che possono guidarmi nella stesura. La poesia che inizia è sempre una cosa meravigliosa.

La poesia finisce?

Quando finisce c’è tutto il resto. E non posso negare che quando finisce tiro sempre un leggero sospiro di sollievo.

 

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Autore

a.toscano@minima.it

Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali. www.annatoscano.eu

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