Pubblichiamo, ringraziando l’autore e l’editore, un estratto da La veglia, racconto di Michele Orti Manara raccolto in Cose da fare per farsi del male, pubblicato da Giulio Perrone Editore.

*

A nostra madre non è mai importato molto di noi.

Non che ci abbia fatto mancare nulla – mai saltato un pasto, mai una lamentela sul dover crescere tre figli da sola, potendo contare solo sulle sue forze.

Eppure: no, ripeto, non le importava di noi, almeno non nel senso che si ritiene naturale e quasi obbligatorio per una madre.

Nel suo prendersi cura di noi l’aspetto predominante era una specie di zelo. Ci preparava da mangiare, ci vestiva, ci portava dal medico quando stavamo male – tutte quelle nottate insonni, spesso in rapida successione: quando passava a me, l’influenza veniva a mio fratello, e dopo di lui a mia sorella, e quando anche lei era guarita non di rado il giro ripartiva da me. Tutto questo però nostra madre lo faceva con il piglio di chi stia portando fuori la spazzatura, o dando da bere a una pianta che non ha chiesto ma gli è stata regalata. Lo fa perché lo considera un dovere, o una necessità, perché altrimenti la casa si riempie di tanfo e scarafaggi, perché altrimenti la pianta muore, ma mentre lo fa pensa ad altro.

Ecco, il punto forse è proprio questo: nostra madre dava sempre l’impressione di essere altrove con la testa, anche mentre schizzava da un angolo all’altro della città, destreggiandosi tra i nostri impegni pomeridiani come un giocoliere, anche mentre ci appoggiava le labbra sulla fronte per sentire se scottavamo.

Non credo avesse amanti, o se li aveva li nascondeva con molta cura, li frequentava solo quando noi eravamo a scuola e vietava loro di superare la soglia di casa nostra, metaforicamente e non.

Credo che questa sua algida efficienza abbia dato forma ai nostri caratteri più di tutto il resto. Fa capolino, camuffata, nei miei disturbi ossessivo-compulsivi, e negli scoppi d’ira di mio fratello.

Quanto a mia sorella, nel suo caso non c’è quasi nessun camuffamento: nel corso degli anni è diventata una copia sempre più fedele di nostra madre. Stessa anaffettività, e stesso zelo ma applicato alla carriera invece che alla cura dei figli.

Le nostre sono solo piccole nevrosi, comuni a molti. Nessuno di noi tre è davvero rotto, anzi si potrebbe dire che funzioniamo tutti e tre piuttosto bene.

Solo chi ci guardasse da vicino – e con molta attenzione – potrebbe avere qualche dubbio a riguardo.

La prima a rendersi conto che c’era qualcosa che non andava e quindi a provare a mettersi in contatto con noi tre era stata la vicina di casa.

Il suo rapporto con mia madre era scandito da una litigiosità quotidiana, rituale. Ogni mattina, alle sei in punto, la vicina faceva partire il complesso sistema di irrigazione che le permetteva di avere il balcone più lussureggiante del vicinato. Ogni mattina mia madre – il cui sonno leggero in famiglia era proverbiale – veniva svegliata dal rumore dell’acqua che percorreva i tubi sopra la sua testa. I sibili, gli spruzzi, gli sgocciolamenti. Allora si vestiva e andava in cucina, dove metteva sul fuoco il caffè e tutto quello che aveva a portata di mano. Pur vivendo da sola non aveva mai smesso di cucinare come se noi abitassimo ancora lì, con il risultato che il suo freezer straripava di piatti che nessuno avrebbe mai mangiato, e che a rotazione finivano nell’immondizia. Uno spreco quasi scientifico, che aveva radici lontane, nella nostra infanzia, quando tentava di sostituire lo scarso sostentamento affettivo che era capace di darci con un imponente apporto calorico. O forse un tentativo di vendetta, visto che la vicina detestava l’odore dei soffritti, dei sughi, dei minestroni, che in fuga dalla finestra della cucina di mia madre trova- vano sempre una via per appestare l’appartamento del piano di sopra.

Acqua contro olio; in nessun caso riescono a trovare un compromesso.

Cucinare non era l’unica arma nell’arsenale di mia madre. Ancora più indigeribili, per il già fragile equilibrio nervoso della vicina, risultavano i passi di mia madre, creatura ipercinetica che mai, neanche con l’avanzare dell’età, si era piegata alla dittatura delle pantofole, a cui preferiva scarpe dal tacco basso. Più eleganti, e con l’ulteriore pregio di ticchettare sul pavimento, torturando la vicina che pur vivendo sopra, e non sotto, ne era sconvolta.

Era stata quindi la combinazione di mancanza di odori e di rumori a insospettire la vicina, che aveva prima sbirciato l’appartamento sottostante dalla finestra, notando gli scuri aperti e deducendone che nostra madre doveva essere in casa. E poi, quando il silenzio si era protratto fino a metà pomeriggio, si era decisa a scendere dal portinaio per chiedergli se avesse visto nostra madre, e appurato di no lo aveva quasi costretto a mettersi in contatto con uno di noi. E poi – questo lo immagino perché è quello che mi aspetto da una come lei – era rimasta lì a controllarlo, con le mani sui fianchi, incapace di riporre fiducia nel prossimo.

Il portinaio aveva obbedito, chiamandoci nell’ordine lasciatogli da nostra madre; prima mia sorella, telefono staccato – un viaggio in aereo, una riunione di lavoro, un incontro clandestino con qualcuno, non saprei –, a seguire mio fratello, telefono che squilla a vuoto senza nessuna risposta, ed ecco il mio turno, eccomi rispondere al terzo squillo, eccomi che mi precipito in strada, chiamo un taxi, non ho pazienza, torno in casa, prendo le chiavi della macchina e mi precipito là.

Ed eccomi salire le scale tallonato da portinaio e vicina, col cuore in gola – per le troppe sigarette, la preoccupazione, la nitidissima percezione che qualcosa mi stia scappando dalle mani; eccomi stringere le chiavi di casa di mia madre fino a farmi sanguinare il cuscinetto di carne alla base del pollice.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

redazione@minimaetmoralia.it

Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente

Articoli correlati