C’è una famosa frase che recita più o meno così: se non sei di sinistra a vent’anni non hai un cuore, ma se lo sei ancora a quaranta non hai un cervello. Viene spesso attribuita a Churchill anche se quasi certamente non fu sua, e se è impossibile citarla con precisione è perché ne sono circolate negli anni innumerevoli varianti, ascritte agli autori più diversi, da Edmund Burke a Victor Hugo; e cambiava nel frattempo anche il pensiero politico chiamato in causa: repubblicano, socialista, liberale. È una frase, evidentemente, capace di cogliere una verità generale riguardo al modo in cui cambia, con l’età, il rapporto tra l’individuo e il mondo. La si potrebbe riformulare ancora per adattarla a chi ha seguito il percorso inverso, come Massimo Bontempelli, che nel 1924 entrò nel Partito Nazionale Fascista, e nel 1948 venne eletto senatore con il Fronte Democratico Popolare, una coalizione formata da comunisti e socialisti.

Come nella vita, anche nell’opera di Bontempelli si possono distinguere un prima e un dopo, e sono entrambi assai più interessanti di ciò che si trova nel mezzo. Eppure è proprio a quella fase centrale che ci si riferisce quando lo si consegna alla storia della letteratura italiana come un precursore del realismo magico; associazione che, pur avendo le sue basi, non rende un buon servizio ai suoi romanzi, né a chi si appresta a leggerli. Gran parte della forza poetica del realismo magico, e del fascino che esercita sui lettori, deriva infatti dalla presenza di elementi irrazionali presentati come perfettamente naturali, e accettati in quanto tali dai personaggi. Nel realismo magico di Bontempelli invece l’irrazionale è sempre spaventoso: la resurrezione in “Il figlio di due madri” e la maledizione in “Gente nel tempo” sconvolgono le vite dei protagonisti, portando le rispettive trame verso i più tradizionali territori del melodramma. Il punto è forse che, in questi romanzi di Bontempelli, il realismo afferisce al reale, non alla realtà.

Diverso è il discorso per le sue opere più tarde, come pure per le prime. L’ultimo Bontempelli ammalia, ma non diverte. La sua prosa è secca e diretta, e soprattutto, i suoi toni sono cupi. È lo stile di un uomo pentito per la sua adesione al fascismo, e amareggiato perché il proprio allontanamento da quell’ideologia viene percepito come insincero. “L’amante fedele”, la raccolta di racconti con cui vinse il Premio Strega nel 1953, è quanto di più lontano si possa immaginare dallo stile travolgente e incontenibile dei suoi scritti giovanili, come “La vita intensa”, ultimo arrivato nell’operazione di ristampa della sua produzione da parte di Utopia. Nel presentarlo al suo pubblico, la casa editrice milanese lo paragona al Dino Buzzati di “Sessanta racconti”, al Gabriel García Márquez di “Cronaca di una morte annunciata” e al Pirandello di “Fu Mattia Pascal”. Leggendolo, viene in mente anche un’altra suggestione: “Parliamo tanto di me” di Cesare Zavattini, a partire da quell’incredibile e adorabile titolo che all’epoca doveva risultare così strano, agli occhi di lettori per i quali l’autore era ancora un perfetto sconosciuto.

Allo stesso modo, Bontempelli in “La vita intensa” si colloca e resta dall’inizio alla fine al centro della scena. Si prende la libertà di far notare a chi legge la finezza di certe sue scelte stilistiche, si perde in divagazioni semiserie sugli argomenti più disparati, anticipa e mette in discussione le reazioni del lettore, rimproverandolo per le sue aspettative sull’esito di una storia. Nel narrare le sue picaresche avventure nella Milano del primo dopoguerra, mentre finge di lasciarsi guidare dal caso, Bontempelli si mette sempre in primo piano, finendo per oscurare i suoi personaggi, che nelle ultime pagine, in un finale metaletterario fedele all’impianto sperimentale dell’opera, non mancano di lamentarsene.

“La vita intensa” è un’opera quasi miracolosa nel tenere insieme da una parte il discorso teorico di un autore che detesta apertamente il romanzo classico e intende dare forma a una nuova letteratura per il Novecento, e dall’altra l’accessibilità e l’intrattenimento della narrativa di consumo. Di ispirazione futurista, a partire dagli intenti parodici e dalla suddivisione in dieci romanzi “sintetici”, è anche un testo sorprendentemente moderno, considerato che uscì – a puntate, sul supplemento “Ardita” del quotidiano “Il popolo d’Italia” – più di cento anni fa; e gli sarà stata senz’altro d’aiuto, nel maturare la scelta di porsi in questo modo, la consapevolezza di uscire non in libreria, ma sulle pagine di un giornale, dove avrebbe subito trovato un pubblico pronto a seguirlo e a lasciarsi coinvolgere.

È difficile non restare avvinti: l’imprevedibilità e le invenzioni continue di questo romanzo tengono sempre viva la curiosità di scoprire quale svolta improvvisa l’autore stia per imprimere alla trama. Lavorando con gli strumenti dell’ironia, del paradosso e dell’umorismo, Bontempelli dà vita a passaggi memorabili: confessa abitudini improbabili come quella di cambiare, di tanto in tanto, città natale; ricostruisce gli eventi che gli hanno impedito di riuscire in compiti semplici come incontrare un amico al bar o andare a prendere qualcuno in stazione; narra i suoi fallimentari tentativi di inventare, dopo il cane da caccia, il gatto da pesca. Non si tratta solo di divertissement, ma di episodi e tasselli di un romanzo di formazione bloccato, in cui il protagonista non cresce né si integra, perché questo è il destino dell’intellettuale nel mondo moderno regolato dal successo e dall’efficienza.

C’è di più, perché è impossibile parlare di un libro del genere senza fare riferimento alla qualità della scrittura. Bontempelli non solo scrive bene: sfoggia uno stile letteralmente inarrivabile, come quei record dello sport che non possono più essere battuti perché nel frattempo sono cambiate le regole. La sua lingua qui, pur essendo perfettamente comprensibile, è un italiano piuttosto distante da quello corrente e anche da quello che lui stesso avrebbe usato in seguito. “La vita intensa” allora non appare solo un importante esempio di letteratura modernista italiana, ma potrebbe davvero essere il capolavoro di Bontempelli.

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g.nicoli@minima.it

Gilles Nicoli è nato a Roma sette giorni prima che Julio Cortázar morisse a Parigi. Scrive soprattutto di libri, cinema e videogiochi.

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