Portrait d'Aby Warburg et Ludwig Binswanger, Clinique Bellevue, Kreuzlingen / Fonte dell'immagine: https://journals.openedition.org/imagesrevues/3032
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Portrait d’Aby Warburg et Ludwig Binswanger, Clinique Bellevue, Kreuzlingen / Fonte dell’immagine

Nel 1921, dopo alcuni periodi trascorsi tra diverse case di cura tra Amburgo e Jena, il critico d’arte Aby Warburg venne ricoverato nella clinica Bellevue, a Kreuzlingen, allora diretta dal dottor Ludwig Binswanger che si prenderà cura personalmente di Warburg. Le peregrinazioni di Warburg tra diverse case di cura iniziò nel 1918, quando aveva minacciato di uccidere i suoi familiari, e se stesso, con una rivoltella. Com’è noto durante questo soggiorno a Kreuzlingen, nel 1923, l’anno prima delle sue dimissioni dalla clinica, Aby Warburg pronunciò la famosa conferenza sul rituale del serpente dal titolo Immagini dalla regione degli Indiani-Pueblo del Nordamerica che ripercorre la sua esperienza di viaggio e di studio nel Nuovo Messico (dve si recò nel 1895, dopo la celebrazione del matrimonio del fratello Paul), e che servì a Warburg per dimostrare il miglioramento delle sue condizioni e chiedere le dimissioni dalla clinica. Il soggiorno a Kreuzlingen è allora un momento decisivo per Warburg, per il fatto di trovarsi in uno dei centri più importanti dell’epoca e seguito da uno dei maggiori psichiatri del tempo (a cui anche Sigmund Freud chiederà notizie circa la salute di Warburg), ma anche perché, come hanno messo in luce alcuni studiosi della sua opera, gli anni della malattia, questa lotta con i demoni da cui il critico esce vincitore, risultano fondamentali per una comprensione della sua biografia. Anche per questo La guarigione infinita. Storia clinica di Aby Warburg (pubblicato da Neri Pozza con la cura di Davide Stimilli e la traduzione di Chantal Marazia e lo stesso Stimilli), che raccoglie la storia clinica di Warburg redatta da Binswanger, alcune lettere di Warburg e la corrispondenza tra i due anche successiva alle dimissioni, è un libro estremamente prezioso per avvicinare il mistero e i segreti di Aby Warburg. Ringraziando l’editore pubblichiamo qui due estratti, il primo capitolo, corrispondente al giorno dell’arrivo di Warburg, della storia clinica redatta da Binswanger e una lettera di Warburg al fratello Max del 16 aprile 1924, esattamente tre anni dopo il suo ingresso nella clinica.

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16 aprile

Il paziente arriva oggi in carrozza salone a Costanza con il professor Berger, l’infermiera Frieda Hecht e un impiegato dell’istituto bancario, e attraversa il confine in automobile. È partito il 15 mattina da Jena, dopo aver assunto 1 g di Trional. È stato necessario costringerlo con la forza a consegnare le chiavi della valigia. Durante le prime ore è relativamente tranquillo. Verso sera l’agitazione cresce a tal punto che, dato che non assume Medinal, gli viene praticata un’iniezione di ioscina. A Stoccarda aveva fatto tanto chiasso che, soprattutto in considerazione dell’attuale situazione politica, il professor Berger aveva ritenuto opportuno calmarlo. Come aveva fatto anche in altre stazioni, gridava continuamente che si stava perpetrando ai suoi danni un gravissimo errore giudiziario, che era completamente innocente e che non aveva mai fatto nulla di male. A Costanza non voleva salire né sul treno né sulla vettura, che già lo aspettava, dato che pensava che sarebbe stato portato in prigione e non al sanatorio. All’arrivo è molto agitato, non si toglie il cappotto, non si siede. Continua a chiedere se si trova in una prigione. Crede che i suoi bagagli gli siano stati rubati. Inveisce contro il suo impiegato, contro il professor Berger e contro l’infermiera. Sostiene che presto verrà giustiziato. Della sua opera, che attualmente è in corso di stampa, sarebbe stata fatta carta da macero, poiché si considererebbe lui un criminale. Qualcuno gli avrebbe messo del veleno nel cibo e nelle valigie, e perciò vorrebbe essere personalmente presente quando si disfano i bagagli. Le idee deliranti si susseguono. È in uno stato costante di confusione mentale, è difficile da stabilizzare, continua a saltare fuori della stanza. La mimica facciale non è affatto così preoccupante, come in realtà si potrebbe dedurre dal contenuto dei pensieri, ma è piuttosto vacua e leggermente tesa; lo sguardo scrutatore, talvolta ha un sorriso malizioso o ironico. Fa subito mille domande, chiede che cosa gli sia permesso, insiste energicamente sulle sue richieste, ma se le dimentica piuttosto in fretta. Si preoccupa soprattutto di poter chiudere la propria stanza, «Se non mi date una chiave, me ne vado», ma si accontenta anche di un chiavistello. Poi prende subito il tè delle quattro, ma durante tutto il pomeriggio è molto agitato; si aggira per tutto l’edificio, entrando anche nelle camere altrui e rivolgendosi ai pazienti. Perciò dalla sua stanza vengono tolte le maniglie delle porte che si aprono sul reparto.

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Lettera al fratello Max, 16 aprile 1924

Quest’ultimo periodo mi ha portato un eccitante miscuglio di speranza di liberazione e di consapevolezza della difficoltà quasi insuperabile che si oppone a una prossima uscita da questo inferno. Kraepelin è stato qui, proprio un giorno prima che venisse Cassirer, il che mi ha reso il compito di parlare con entrambi molto più difficile. Il colloquio con Kraepelin, visto dall’esterno, è andato liscio per il signor consiliarius. Era stato predisposto dai Binswanger a un giudizio favorevole e lo ha trovato confermato all’esame spirituale della carne. I signori non si sono dati molta pena. Del fatto principale, che segnala ai miei occhi il cambiamento nelle mie condizioni, della conferenza sul viaggio indiano, che ho iniziato ancora sotto l’effetto dell’oppio e nonostante tutto ho portato a termine, Kraepelin non sapeva niente, perché i signori Binswanger non hanno ritenuto necessario dargliene comunicazione. Considero questo un errore psichiatrico di prima grandezza, giacché ne consegue che i signori – contrariamente alla loro solita accentuazione del significato della ravvivata attività scientifica per la mia convalescenza – giocano a carte false con me (nella misura in cui vedono questi sforzi scientifici come tentativi secondari, lodevoli), mentre io sono fermamente convinto che dal 21 aprile 1923 (conferenza) alla visita di Cassirer il 10 aprile 1924 si manifesti una crescente forza endogena per la liberazione dal disturbo psichico. Per me l’occupazione con la mia ricerca professionale è chiaramente un sintomo che la mia natura vuole ancora una volta tirarsi fuori da questa palude da sé sola. I signori mi sono ancora debitori della risposta alla mia domanda, perché allora questo successo non sia stato posto al centro della prognosi. Sussiste comunque una valutazione del tutto diversa. E questo disaccordo è della massima importanza in vista dei prossimi passi che devo osare, perché temo che da questo intervallo, sia pure relativamente breve, a Villa Maria, la mia capacità di pensare, che sta appena sbocciando, venga disturbata con esigenze di adattamento a cose pratiche. Su questo problema mi sono già espresso, prima ancora che venisse Kraepelin, in uno scritto che sarà stato inviato anche a te. A fronte di una tale inclinazione dei medici non posso più credere con intima convinzione che si tratti di un tentativo onesto. La visita – per la quale sono grato al destino – di Cassirer mi ha dato la prova che sono sulla retta via con le mie severe autoflagellazioni mentali. Te ne farà lui relazione. Si è appurato che i miei pensieri più generali, che già da anni ho annotato indipendentemente dalla mie osservazioni empirico-storiche, si vogliono d’un tratto chiudere in un sistema, che, sulla base di queste idee, potrebbe addirittura contribuire all’edificazione di una nuova visione del mondo. Tu hai letto il mio studio su Schifanoia. Io avanzavo in quel testo l’esigenza di una «psicologia storica dell’espressione umana». Dopo il colloquio con Cassirer ho, nonostante tutto, il coraggio di ampliare ancora il tema e dire: «Teoria generale del movimento umano come fondamento di una scienza generale della cultura».

 

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Autore

matteomoca@minimaetmoralia.it

Matteo Moca è dottore di ricerca in italianistica e insegnante. Scrive, tra gli altri, per Il Tascabile, Il Foglio, Domani, L'indice dei libri del mese, Blow Up e il blog di Kobo. Ha pubblicato le monografie "Tra parola e silenzio. Landolfi, Perec, Beckett",  "Figure del surrealismo italiano. Savinio, Delfini, Landolfi" e "Un'esigenza di realtà. Anna Maria Ortese e la dipendenza dal fantastico"

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