Lunedì scorso sulla BBC è andato in onda questo documentario sulle condizioni lavorative in Amazon.
Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo – sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory – ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L’Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).
Dovremmo tradurla in italiano…!
Decisamente, almeno per quelli come me che non conoscono l’inglese, non significa nulla, proprio nulla. Oppure qualsiasi altra cosa!!! E’ proprio un crimine qui in itaglia non sapere l’inglese!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
cercheremo di tradurlo e diffonderlo
Ed io ringrazio immensamente!
Complimenti sinceri per lo splendido sito, davvero interessantissimo! Non vi conoscevo e ci sono capitata facendo una ricerca venerdì, credo: sto cercando di recuperare e leggere almeno gli ultimi articoli. Vi ho messi al sicuro sul mio carissimo Old Reader, quindi a presto!
Besos
Come sempre, è il pubblico a decretare le condizioni di lavoro di chi deve provvedere a fornire il servizio desiderato. Vuoi avere il tuo maledetto hamburger in dieci secondi?, e io addestro i miei dipendenti a correre come dei lobotomizzati alimentati a red-bull; non ti va di rubare venti minuti alla tua vita per andare in libreria a scegliertelo da te, permettendo peraltro che sopravvivano luoghi meravigliosi, ma preferisci spendere cinque minuti per fare acquisti su Amazon? Amazon ti permette di farlo e il costo umano lo decide lei. Perché lei ti dà il servizio che vuoi, ed è il cliente che oltre ad avere sempre ragione, dovrebbe un attimo ragionare. La speranza, vana, è che simili documentari possano aiutare i clienti a criticare il proprio approccio consumistico, piuttosto che la condotta orrenda quanto legale degli squali della new economy. Ma, appunto, è una speranza vana.
Ma, Luca, se ordino un hamburger e me lo portano dopo dieci secondi (sorvolando sulla qualità del prodotto) io sono contento. O a te piace fare la fila (al ristorante, alle poste, dal medico, etc.)?
Quando vado in libreria non sto “rubando venti minuti” alla mia vita. Per me che abito a Roma significa *buttare* due ore tra traffico, mezzi che non passano (o parcheggi che non si trovano) per andare in un posto dove quasi sicuramente non avranno il libro che sto cercando. E se lo ordino me lo fanno avere dopo una settimana e io devo tornare lì, aspettare l’autobus o girare venti volte prima di trovare un posto. Ti piace questo? A me no.
La verità è un’altra: Amazon offre un servizio eccellente sotto ogni punto di vista. Ha un assortimento imbattibile, sconti forti, tempi di consegna strepitosi, una politica di resi che funziona, etc.
Ora viene fuori che tutto questo ha anche un costo umano. Mi spiace e, se è vero tutto quello che viene detto nel documentario, bisogna fare qualcosa. Ma bisogna farlo partendo dal presupposto che si sta combattendo (se questo è il termine che piace) un’azienda che funziona bene. E dunque la lotta sarà molto molto dura.
@Federico Platania
Il punto è che se da clienti valutiamo un’azienda ben funzionante sulla base dei prezzi e dei servizi senza pensare ai mezzi di produzione si crea una tacita alleanza tra imprenditore e cliente contro il lavoratore, che a quel punto se prova a far valere i propri diritti si trova contro non solo “il padrone” ma pure il cliente. Questo vale per Amazon (che, tra l’altro, in Europa le tasse sui ricavi le paga in Lussemburgo) come per il vestiario, il cibo e quant’altro; si tratta di grandi operatori che con una politica di efficienza e paghe basse stanno distruggendo il pluralismo nella distribuzione, in modo da arrivare al monopolio e poter così fissare i prezzi che preferiscono. Se venisse fatta una politica del lavoro rispettosa della dignità dei lavoratori i prezzi, a parità di servizio, potrebbero calmierarsi soltanto riducendo il guadagno del datore di lavoro e dei suoi azionisti.
@Vulfran
E’ sempre stato così. Chiunque abbia partecipato almeno una volta a uno sciopero sa che si trova contro un fronte composto da azienda+clientela (o utenza, a seconda dei casi).
Ma qui non è in discussione (almeno per me) il rispetto dei diritti dei lavoratori. Sono gli strumenti con i quali si tenta di combattere che mi sembrano spuntati. Il reporter che dice “quando scegliete un prodotto con un click ci sarà poi qualcuno in un magazzino che deve andarlo a cercare” è di una comicità involontaria. A questo punto perché non dire: quando ordini gli spaghetti in trattoria non pensi mai al cuoco che dovrà cucinarli, al cameriere che dovrà fare avanti e indietro dalla cucina per portarteli? Come riesci a mangiare con un tale peso sulla coscienza?
Per non parlare di tutta la storia del mal di piedi su cui il documentario indugia fin troppo.
Le domande per me sono: è possibile offrire un servizio come quello di Amazon rispettando i diritti di chi lavora? Se no, qual è il punto di equilibrio tra livello di servizio e rispetto dei diritti? Esiste qualche imprenditore che abbia la volontà di dare vita a un’azienda concorrente ad Amazon che sia però “ecosostenibile” sul piano delle politiche lavorative? Etc.
(P.S.: dando per scontato che quanto riportato dalla BBC sia tutto vero e al netto di eventuali, futuri debunking).
@Federico Platania
Sul numero di novembre di “Le monde diplomatique” c’è un’inchiesta più consistente e “ficcante” su Amazon in Europa, affrontando il danno economico provocato alle librerie e al loro indotto, l’evasione fiscale e le condizioni di lavoro dei dipendenti (oltre a uno sguardo sul futuro dell’azienda, che robottizzerà buona parte del processo produttivo, come farà pure la taiwanese Foxconn negli stabilimenti in Cina).
Quello che a me interessa è la dignità dei lavoratori. La Amazon potrebbe garantire gli stessi servizi: 1) assumendo più persone e cambiando i ritmi di produzione (ossia paga oraria); 2a) aumentando di conseguenza i prezzi ed entrando quindi più in concorrenza con operatori tradizionali; 2b) lasciando i prezzi invariati ma diminuendo i ricavi degli azionisti.
Se sono pagati decentemente e rispettano le norme di sicurezza, considero tutt’altro che umilianti o immorali lavori come quello di cuoco e cameriere (od operaio agricolo, lavoratore in una confezione tessile etc.).
@Federico, ti rispondo semplicemente che non esiste solo Amazon. E comunque, personalmente, sì, non mi dispiace fare la coda. Fra sessant’anni morirò comunque e non devo correre da nessuna parte, non voglio lottare contro il tempo. Sono uno di quelli che se deve prendere il treno per tornare a casa, e sa di perderlo se non corre, continua a camminare e prende quello dopo, tanto un modo per godere del tempo in maniera proficua lo si trova sempre.
Credo che il non voler aspettare nulla e voler avere tutto in fretta renda la vita disumana. Il tempo è la nostra più grande ricchezza e ci stanno insegnando ad occuparlo a tappeto con la scusa che “altrimenti lo perdi”. Non mi va. So che dietro alla resa eccellente di un’azienda, viste le esigenze illimitate degli esseri umani (se avessi a disposizione una catena che ti fa avere lo stesso hamburger in cinque secondi anziche dieci, ti rivolgeresti sempre alle lumache da dieci secondi?), c’è sempre un abuso dei più basilari diritti umani e, in termini pratici, per i più sbrigativi, un’esternalizzazione di costi indiretti sulla collettività.
Datemi un sistema legislativo che mi permetta di pagare tasse in paradisi fiscali, o di pagare le multe per il letame che inonda le campagne attorno all’allevamento intensivo (piuttosto che investire molto più denaro per tenere a norma l’impianto), e io sarò un grandissimo imprenditore. Che ci vuole? Decido io ogni cosa, senza tenere conto degli altri, inclusi i dipendenti, e il marcio che produco lo esternalizzo, magari seppellendo rifiuti nucleari o fito-tossici nelle campagne di Caserta (ma almeno lì c’è il contrappasso delle passate di pomodoro metallizzato esportate agli importatori di schifezze radioattive), e faccio faville.
C’è da ripensare a tutto, e il mio primo commento voleva dire proprio quello che affermi tu: la gente vuole risparmiare tempo?, stringere a più non posso?, Amazon offre il servizio che vuole la gente. Fine della storia. Se vuoi rendere più umano il mercato, fai precise scelte individuali. Che però, ahimè, rubano tempo.
Concludo dicendo che la mia visione personale è suffragata dal mio stile di vita. Sono fiero di aver sempre comprato i libri da librai indipendenti, i giornali nelle edicole e i film nelle videoteche. E di non aver mai dato una lira a Mc Donald’s e compagnia cantante. Perché non c’è nessun motivo al mondo che giustifichi sul piano della praticità oggettiva l’acquisto di un hamburger. Legittimo che uno possa volerci andare, non discuto. Ma non mi si venga a dire che aiuta a districare le dispersioni di tempo una volta obbligatorie: mi preparo un panino a casa, spendo cinque volte meno e non faccio soffrire né i dipendenti né le vacche seviziate e macellate in luoghi terrificanti.