Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, un estratto dal libro Cheap Land Colorado di Ted Conover, uscito per Black Coffee. L’autore ha vissuto per quattro anni nella San Luis Valley, dove ha ambientato il suo racconto di saggistica narrativa basata sull’esperienza.
Prologo
Inizia con un momento di contatto, con te che arrivi davanti a casa di qualcuno e provi a presentarti. Il pensiero scoraggia: tanta di questa gente è venuta a stare qui in mezzo al nulla proprio per non incontrare nessuno. Preferiscono la solitudine. E scoraggia ancora di più il cancello con cui molti hanno scelto di segnalare questa preferenza, o il cane incatenato all’ingresso o il cartello col simbolo del mirino che dice: «se leggi, sei sotto tiro!».
L’esperto locale delle visite indesiderate è Matt Little, responsabile incaricato di «assistenza rurale» dal gruppo di servizio sociale La Puente. Matt ha accettato di portarmi con sé sul suo pick-up, così posso vederlo in azione. La distanza fra un’abitazione e l’altra nella vasta prateria del Colorado è immensa, e così ha tempo di spiegarmi il suo approccio, che ha a lungo ponderato dato che fa questo ogni giorno e in tre mesi non si è mai beccato una pallottola.
Le cose da fare si direbbero poche, ma non lo sono. Prima ancora di avvicinarsi a una casa bisogna riflettere bene sull’impressione che si darà. Matt guida un Ford Ranger del 2009 con la scritta «la puente» in bella vista sullo sportello. Non è un gran spettacolo. Del resto neanche lui: Matt ha quarantanove anni, è un reduce di guerra con due viaggi in Iraq alle spalle, un contadino del West Virginia dal fisico asciutto e il sorriso pronto. Sigaretta fra le labbra e barba incolta. Mi dice di non indossare camicie blu, che così si vestono gli agenti delle forze dell’ordine della contea di Costilla e davvero non è il caso che ti scambino per uno di loro. Da La Puente gli hanno imposto una felpa col cappuccio e una polo bordò con il loro logo, e normalmente indossa l’una o l’altra su un paio di jeans e scarponi.
Prima di fermarsi in un posto di solito ci passa davanti una o più volte, in ricognizione. Sventola bandiera americana? Spesso significa che chi ci abita è armato. In giro c’è qualche giocattolo? C’è una piccola serra o un’area ammascata dietro una recinzione da cui si intuisce che lì si coltiva marijuana? (All’inizio pensavo che fosse un buon segno, dato che la cannabis ammansisce.
Ma Matt ha calorosamente smentito. «Una pianta adulta può fruttare un migliaio di dollari, e se le rubano!») Ma soprattutto, ha l’aria di essere un posto abitato? Ci sono tracce fresche di pneumatici? Esce del fumo dal comignolo? Nella prateria molti insediamenti sono abbandonati o la gente ci vive solo d’estate. Matt aveva notato una proprietà con dei terrapieni scavati all’interno del perimetro di filo spinato. Aveva visto dei bossoli e sospettava che il proprietario fosse un reduce con disturbi mentali: «Ho pensato che magari giocava alla guerra, reinscenava roba che aveva vissuto». Ci è passato davanti per mostrarmela, e la proprietà era in fondo a una strada senza sbocco, perciò era dura far finta di esserci capitato per sbaglio. Matt mi ha detto che le prime volte si fermava in cima al viale, agitava una mano casomai qualcuno da dentro lo vedesse, e poi faceva inversione. Aveva fatto così per tutto il mese successivo, salutava o dava un colpo di clacson ma senza trattenersi, finché un giorno fuori dalla casa aveva visto un uomo in tuta mimetica. Aveva parcheggiato ed era sceso.
«Sono Matt, di La Puente» aveva detto. «Ho qui della legna». Aveva fatto un cenno verso i ciocchi da ardere accatastati sul cassone del pick-up, una trovata del suo datore di lavoro come biglietto da visita, un rompighiaccio.
L’uomo aveva imbracciato un ak-47. «Sei un ficcanaso figlio di puttana» aveva detto. Poi: «Quanto vuoi?». «È gratis» aveva risposto Matt.
Quello si era incamminato verso il cancello. Aveva aperto. E gli aveva fatto segno di entrare. Di norma fuori non trovavi nessuno, come mi aveva mostrato Matt, quindi la procedura era fermarsi all’imbocco del vialetto e suonare il clacson. Al primo segno di vita lui di solito smontava dall’auto per farsi vedere, una presenza dall’aria (auspicabilmente) innocua. A volte lasciava della legna, un biglietto da visita con il numero di cellulare, altre si offriva di tornare in caso servisse da mangiare, una mano per compilare un modulo, un passaggio dal medico in paese o qualcuno che andasse a ritirargli una ricetta.
Io prestavo molta attenzione a tutto, avendo iniziato da poco come volontario per La Puente. Mi sembrava un buon modo per conoscere gli abitanti sperduti nella prateria e Matt sosteneva di non disdegnare un aiuto.
Mi sono dato l’obiettivo di tre nuovi contatti al giorno. La Puente mi ha prestato un cartello con la scritta «assistenza rurale» per la portiera del mio pick-up. Ho circoscritto una zona e mi sono messo a girarla più lentamente che potevo senza risultare sospetto; mi pareva che gran parte dei posti che vedevo fosse abbandonata.
Alla fine ne ho scelto uno con un vialetto corto, ho pensato che così ignorarmi sarebbe stata dura e mi avrebbero visto meglio. Era una casetta dimessa con robaccia varia sparsa intorno, come veicoli non più funzionanti, ma sulla terra battuta c’erano impronte di pneumatici da e verso l’ingresso. Mi sono fermato, ho dato un colpo di clacson. In quel momento mi sono reso conto che c’era qualcuno nella Jeep Wagoneer parcheggiata sul davanti. Ho abbassato il finestrino. Poco dopo l’ha abbassato anche lui. Sono sceso e con aria da uomo sicuro e benintenzionato gli sono andato incontro.
«Salve, sono Ted, di La Puente».
«Ehilà» ha detto lui. Il cappellino della birra Corona era dello stesso verde degli occhi. Gli ho offerto la legna. «Non accetto l’elemosina» ha risposto.
«Lo capisco». Era appena uscito da un centro di riabilitazione, ha detto. Gli ho chiesto da cosa. Oppiacei, ha risposto. «E come se la sta cavando?» «Bene, per ora. Bibita?» Mi ha offerto una Sprite, che ho accettato.
Era novembre, tirava un vento freddo e avevo lasciato la giacca in macchina. Sarei dovuto andare a prenderla ma continuavo a sperare che da un momento all’altro l’uomo mi invitasse a salire sul suo pick-up dove faceva un bel calduccio, a giudicare dalla sua maglietta a maniche corte; sul petto si leggeva «scapolo d’oro».
Non mi ha invitato a salire, ma gli piaceva parlare e non ci ha messo molto a dirmi che una volta aveva prestato casa a un tale per un periodo mentre era via. Al suo ritorno avevano avuto un diverbio e il tizio gli aveva sparato. «Proprio qui». Sul braccio alzato aveva una brutta cicatrice.
Pensavo che mi sarebbe toccato levargli le parole di bocca con le pinze, e invece l’eremita aveva proprio voglia di parlare con qualcuno… anche se da lontano.
Ho provato a suonare il clacson davanti a tre posti deserti o proprio disabitati, e ogni volta ripartendo mi sono sentito uno stupido. Poi però ne ho visto uno di aspetto modesto vicino alla strada, con un cavallo in un piccolo recinto e un paio di polli in una stia. Ho parcheggiato davanti al cancello e ho dato un colpo di clacson. Subito sono spuntati fuori diversi cani da pastore, e alcuni ringhiavano, al che incrociando le dita ho provato a fare dei versi per calmarli. Dopo un paio di minuti è apparso un tizio dai tratti ispanici sui sessant’anni, e si è incamminato verso il cancello da una cinquantina di metri di distanza. Mentre avanzava con passo malfermo ho notato, graffettata a un palo del recinto, una comunicazione ufficiale della contea. «cease and desist», cessare e desistere, una diffida. Gliel’ho indicata dopo che mi aveva raggiunto e mi ero presentato.
«È un’ingiunzione perché manca la fossa settica?» ho chiesto. Era un problema diffuso. «No, tasse» ha risposto. «Non hanno mandato il bollettino. Ci sto lavorando». Gli ho offerto della legna, che ha accettato, e delle lenzuola nuove che avevo con me, che però non ha voluto («Dormo vestito»). Mi ha detto che doveva alla contea dieci ore di lavori socialmente utili e ha chiesto se poteva svolgerle per La Puente. Gli ho dato il numero della sede esortandolo a chiamare. Ci siamo salutati e sono risalito sul pick-up. Ho girato la chiave e… niente. Con un certo imbarazzo ho ridato un colpo di clacson. Riecco i cani. L’uomo è tornato fuori e si è prontamente offerto di aiutarmi a ricaricare la batteria: era comunque nel suo interesse, dato che gli stavo bloccando l’ingresso.
«Serrare i ranghi» è stata la prima cosa che mi è venuta in mente arrivando nel posto successivo. Un gran assortimento di veicoli in disuso – una Lincoln, una roulotte, un pick-up, un furgoncino Volkswagen, un suv e altri ancora – era disposto in semicerchio come l’avanguardia di un esercito appostato nella prateria, pronto all’attacco, o una ciambella cui era stato dato un bel morso. C’erano delle capre, un segno di vita, ma continuavo a esitare: tra la strada e la casa c’era un’area grande quanto un campo da football. Suonare il clacson non sarebbe servito a un bel niente. Al diavolo, mi sono detto, e ho deciso di entrare. Avvicinandomi ho dato un colpo di clacson e poi un altro, per sicurezza, una volta penetrato nel circolo di veicoli all’interno della proprietà, e mi sono fermato. Mi trovavo la casa sulla destra, così ho abbassato il finestrino dal lato del passeggero per farmi vedere meglio.
Sulla soglia è apparso un uomo bianco di mezza età con un cappellino da baseball e un paio di occhiali da sole avvolgenti con le lenti a specchio, che ha sceso i gradini e ha fatto il giro dal mio lato. Si teneva a debita distanza, la mano destra infilata nella tasca della felpa col cappuccio; sospettavo che ci tenesse una pistola.
«Come andiamo?» ho chiesto con un tono alla Nulla da dichiarare? Gli ho detto che ero Ted di La Puente, che ero nuovo della zona e che volevo presentarmi, avevo della legna… Mi ha interrotto: «Rischia parecchio, a comparire così a casa della gente. O ha coraggio oppure è uno stupido». Ha sorriso in un modo indecifrabile. «Sarò stupido» ho ammesso.
Era appena arrivato dalla California, mi ha informato poi. «Tony mi raggiungerà più avanti». Ho fatto due più due, tra il nome e tutti quei veicoli. «Aspetti, questo posto è di Tie Rod Tony?» L’avevo già incontrato. L’uomo ha annuito. Adesso non avevo più paura. Però ci andavo piano, come un gatto che aveva appena perso una delle sue nove vite.
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