Quattro giorni di incontri e conferenze, dal 16 al 19 settembre, a Vigevano per il nuovo appuntamento con il SuperCali Festival. Unico evento italiano nato dalla passione per la lettura e l’arte cinematografica, dedicato all’adattamento dei libri per film e serie TV.

Il festival, ideato dalla libreria Le Notti Bianche con il sostegno del Comune di Vigevano, sarà ospitato negli splendidi locali del Castello Sforzesco. Un vento dall’est – come all’inizio del celebre romanzo di P.L. Traves – che porterà nella cittadina lombarda tantissimi ospiti tra attori, scrittori e giornalisti di tutta eccellenza: da Jeffery Deaver a Sofia Righetti, da Manlio Castagna a Giampaolo Simi e poi Carolina Capria, Francesco Serpico, Silvia Grasso, Gabriella Giliberti e tanti altri che animeranno questa III edizione del SuperCali Festival. Tra gli ospiti anche Federico Gironi, critico e giornalista cinematografico, con l’incontro “Bellissimo” del 18 settembre alle ore 11 sulla cinematografia queer. Durante l’evento si analizzerà l’abitudine del cinema mainstream holliwoodiano di edulcorare ed estetizzare l’amore omosessuale maschile e per quale motivo, prendendo in esame due film in particolare: I segreti di Brokeback Mountain e Chiamami col tuo nome.

di Chiara Mogetti

Come definirebbe il concetto di estetizzazione dell’oggetto filmico? Come possiamo riconoscere che è in atto un processo di questo tipo?

Dal mio punto di vista, ovvero dal punto di vista di qualcuno che non necessariamente condanna l’estetismo, penso si possa parlare di estetizzazione lì dove la cura per l’immagine non è talmente ossessiva e visionaria da trascendere in un qualche tipo di sublime, e rimane unicamente presente come distrazione; allo scopo, magari non sempre conscio, di nascondere dietro al bello, se non proprio un vuoto di sostanza e contenuto, comunque una carenza, una mancanza, un’approssimazione o una distorsione di quel che l’immagine e il film dovrebbero comunicare. Lì dove scatta l’automatismo che porta a far coincidere il bello con il buono e il giusto.

Ci sono altri oggetti di rappresentazione, oltre all’omosessualità maschile che è al centro dei film trattati in Bellissimo di D. A. Miller (Nottetempo) e del suo intervento in occasione del SuperCali Festival, che prenderà le mosse dallo stesso, che le sembrano esposti a questo fenomeno? Direbbe che hanno qualcosa in comune fra loro?

Certamente sì. Penso che oggi l’estetizzazione di cui parla Miller nel suo libro, quella che in qualche modo disinnesca ogni potenziale perturbante, ogni possibile scandalo, e che quindi addomestica e omogenizza per un gusto che non sempre è solo etero, riguardi molti ambiti della rappresentazione cinematografica. Credo che in generale le grandi criticità del presente, penso anche solo semplicemente alle questioni economiche e di classe, e alle diseguaglianze sociali, o anche ai rapporti tra i sessi e i generi, vengano spesso e volentieri trattate con una grazia estetica che sta lì apposta per smussare tutte le asperità, e consolare lo spettatore più che porlo dialetticamente di fronte a qualsiasi tipo di problematica. Certamente questo avviene sempre più spesso su questioni che riguardano orientamenti e generi sessuali anche per via di certi isterismi radicali della cosiddetta woke culture, che non sempre mi pare portatrice di reale progresso.

Quali sono, da un punto di vista cinematografico, le scelte che accomunano I segreti di Brokeback Mountain e Chiamami col tuo nome? Come vengono adoperate le immagini, in questi due casi, con il fine di addomesticare l’oggetto della narrazione?

Su questo Miller nel suo testo è molto chiaro, con tanto di esempi, quindi rimando a lui per una spiegazione più esauriente di quella che potrei dare io.
Dal mio punto di vista, che è quello di critico eterosessuale e non di studioso militante omosessuale, i due film sono abbastanza diversi tra loro, e diciamo che su quello di Guadagnino seguo e condivido i ragionamenti di Miller più di quanto non avvenga per quello di Ang Lee. Ciò nonostante, penso, alla luce dei ragionamenti espressi in Bellissimo, che anche I segreti di Brokeback Mountain sia un film che gioca con una certa ossessione con il canone della bellezza dell’immagine cinematografica e della grazia e la delicatezza della messa in scena in maniera forse ambigua, e di certo non radicale quanto la critica militante avrebbe desiderato.

Qual è per lei il rapporto che intercorre fra estetizzazione e cliché?

Il cliché è una stampella dell’estetizzazione, non necessariamente avviene il contrario.

Ci segnalerebbe film che invece hanno adottato una direzione diversa? E cosa li caratterizza?

Rimanendo nell’ambito di film che raccontano storie omosessuali penso a due titoli soprattutto: uno è Weekend di Andrew Haigh, l’altro è Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie. Due film che, con tutte le loro differenze, e lungi dall’adottare un approccio radical-punk alla Bruce LaBruce, e anzi non rigettando in alcun modo l’idea del bello e perfino della delicatezza del sentimento, non hanno rimosso in alcun modo il desiderio. Rimozione che, mi pare di poter sintetizzare, è uno dei grandi peccati imputati da Miller ai titoli di cui tratta in Bellissimo.
Tornando indietro nel tempo, citerei di certo Cruising di William Friedkin: un film che, oggi, non sarebbe possibile girare per molti motivi, tra cui l’ansia di correttezza politica che ci viene imposta dalla cultura progressista anglosassone. E che anche all’epoca venne accolto tra mille polemiche dalla comunità omosessuale, che l’ha poi rivalutato col tempo e ne ha fatto un riferimento importantissimo.

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