
Questo pezzo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo.
In Canzone quasi d’amore Francesco Guccini descrive quell’esperienza diffusa e insieme individuale che è «il vivere in provincia» attraverso l’oscillazione tra due poli che sono «la grazia o il tedio a morte»; prima ancora, per il Federico Fellini di Amarcord e I vitelloni la provincia è il luogo della vitalità e delle brume, degli impulsi incoercibili proprio malgrado trattenuti, delle attese e delle procrastinazioni: la piattaforma immobile da cui lo sguardo si allunga malinconico fino a oltre l’orizzonte a cercare qualcosa che non trova mai.
In Vita di Nullo (La nave di Teseo), Diego Marani dà forma a un racconto eroicomico della provincia italiana – esattamente quella che si dilata tra l’Emilia e la Romagna – facendo di un personaggio l’emblema di qualcosa che è prima di tutto uno stato d’animo.
Perché in Nullo – glabro e bianco, così pingue da coincidere con il suo stesso ventre, la risata-latrato, la fissazione della velocità e una vocazione a farsi bersaglio di scherzi, motti e lazzi – si coagulano tenerezza e inverecondia, la domesticità più statica e il sogno di luoghi lontani, un bisogno di memorabilità che è suo ma anche di tutti quelli che gli danno il tormento e ne sono tormentati.
Nullo è infatti una specie di vittima dispotica, un capro espiatorio così magnetico da imporsi sui suoi stessi carnefici. Nullo è la loro dipendenza: «Noi che senza di lui eravamo perduti, noi che con tanta leggerezza lo scacciavamo pur sapendoci azzoppati dalla sua assenza. Ciechi, storpi, monchi, inetti a vivere lontano dalla pancia tonda di Nullo».
Talmente vincolati alla sua esistenza che quando all’improvviso Nullo scompare, le giornate dentro il bar sempre più vuoto trascorrono in un’atmosfera di reducismo, ricordandolo per rinnovarne ancora le gesta.
Ed è a quel punto – quando sentirne la mancanza non lascia scampo – che Nullo si rivela per ciò che è sempre stato: il corpo di un tempo selvatico e vulnerabile, l’adolescenza come focolaio di solitudine e immaginazione; qualcosa che, proprio perché in sé indecifrabile, non si può fare altro che raccontare.
Giorgio Vasta (Palermo, 1970) ha pubblicato il romanzo Il tempo materiale (minimum fax 2008, Premio Città di Viagrande 2010, Prix Ulysse du Premier Roman 2011, pubblicato in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Spagna, Ungheria, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Inghilterra e Grecia, selezionato al Premio Strega 2009, finalista al Premio Dessì, al Premio Berto e al Premio Dedalus), Spaesamento (Laterza 2010, finalista Premio Bergamo, pubblicato in Francia), Presente (Einaudi 2012, con Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori). Con Emma Dante, e con la collaborazione di Licia Eminenti, ha scritto la sceneggiatura del film Via Castellana Bandiera (2013), in concorso alla 70° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Collabora con la Repubblica, Il Venerdì, il Sole 24 ore e il manifesto, e scrive sul blog letterario minima&moralia. Nel 2010 ha vinto il premio Lo Straniero e il premio Dal testo allo schermo del Salina Doc Festival, nel 2014 è stato Italian Affiliated Fellow in Letteratura presso l’American Academy in Rome. Il suo ultimo libro è Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt/Quodlibet 2016).