«La grazia è una moneta con più di due facce. Nella quale noi crediamo».
L’imperduto cos’è? Una cosa minima, ciò che resta quanto tutto il resto è sottratto. Una linea sottile, una volta varcata c’è il niente. Quando pensiamo alle cose che restano le immaginiamo subito essenziali, eppure non è così, non è sempre così. L’imperduto è l’inessenziale, poiché noi e tutto ciò che ci circonda siamo in transito, di passaggio, instabili, e, inoltre, tutto è valorizzato rispetto (e se ha) a un corrispettivo economico, la cosa imperduta è una scoria del niente, un altro nome del nulla.
La sua inessenzialità è perciò importantissima, in quel quasi invisibile, in quel puntino nascosto, risiedono cose come – certe volte – la poesia. Secondo Anne Carson – straordinaria scrittrice – e autrice del saggio Economia dell’imperduto (Utopia, 2020, traduzione di Patrizio Ceccagnoli) resta nulla perfino dell’arte, della parola, della memoria, della poesia. La risposta non taciuta in questo libro è che il nulla sia qualcosa, a volte più di qualcosa. Il nulla è ciò che si manifesta, per esempio, nei passaggi da un’epoca all’altra, da una lingua all’altra – quanto nulla c’è nel traduttore che mette e mano e trasforma –, da una forma d’arte conosciuta a una sua nuova ed ennesima trasformazione in qualcosa di ignoto. La donna che osserva il capolavoro in un museo, folgorata, il nulla che non coglie conta quanto tutto il colore che vede. Il ragazzo che incappa per la prima volta in un grande poeta, legge – è successo a molti noi – senza potersi staccare: ciò che lo incatena è quel che non afferra, che forse non afferrerà mai.
La memoria dipende dal vuoto, come il vuoto, a pensarlo, dipende dalla memoria. Una volta che il vuoto è stato pensato, può essere annullato. Una volta che la memoria è rievocata, può essere mercificata.
Economia dell’imperduto si è classificato al primo posto della classifica di qualità della rivista «L’indiscreto» per la saggistica straniera – anno 2020 –, se lo avessi letto per tempo lo avrei votato con gioia, Carson ha scritto un libro eccezionale, francamente, non catalogabile, indefinibile, meraviglioso. L’etichetta vorrebbe la definizione di saggio sulla poesia, ma se seguissimo quella strada, seppur inpervia, ce la caveremmo con troppo poco. Il libro di Carson è molto di più.
Per cominciare si tratta di uno dei più significativi scritti d’economia che io abbia mai letto. Raramente ho trovato la figura di Karl Marx così brillante, emergere con tale chiarezza, quando Carson, lo cita per spiegare il transito (eccone uno) dall’economia del dono all’economia mercantile. Proseguendo, non possiamo tacere di quanto questo volume sia un decisivo scritto sulla lingua, sulla sua importanza per il poeta (e di conseguenza per tutti). Inoltre, l’origine di questo testo (pubblicato per la prima volta nel 1999) ha a che fare con l’innamoramento della scrittrice canadese per la letteratura, storia, filosofia, arte greca. Perciò in meno di duecento pagine troviamo molti degli arnesi che ci occorrono (o che dovrebbero occorrerci) per vivere, non per sopravvivere o tirare avanti, proprio per vivere. Un po’ come l’aria.
La coerenza è un’evocazione poetica, ma il fatto non lo è.
L’oggetto complesso della ricerca di Carson è la sintesi tra due economie, quella poetica e quella monetaria. Si propone di osservare due linguaggi: quello alto, poetico, quello che rinnova e inventa le parole; e quello che economico: che, a differenza dello scambio poetico, prevede, di volta in volta, lo smercio di un bene in luogo di un altro, di un bene (materiale o meno) in cambio di denaro; di denaro al posto di differente denaro.
Per attraversare queste due forme così (apparentemente) distanti, quella del commercio e quella della poesia, usa due poeti molto diversi tra loro e molto lontani, per epoca e luogo di nascita, per tipo di scrittura, per modo di intendere l’uso del linguaggio. Il poeta greco Simonide e Paul Celan. Cosa c’entrano i due insieme? Tutto, ovvero poco meno di nulla, loro realizzano l’imperduto, loro hanno trovato perdendo, hanno scoperto rinunciando, hanno scritto benissimo partendo da origini, tempi e mondi distanti, ma entrambi hanno realizzato uno scatto in avanti, ciò che compete alla poesia, mutare il mondo attraverso l’uso del linguaggio. Poi il mondo a prima vista non cambia, ma se cambi la casa del linguaggio tutto è già diverso, fino al prossimo scarto, poeta, sussulto in avanti.
Le responsabilità dei vivi verso i morti non sono poche. Siamo noi che li lasciamo andare, perché non li accompagniamo. Siamo noi che li tratteniamo qui – negando il loro nulla – evocando i loro nomi.
Simonide fu il primo poeta che accettò denaro in cambio di versi. Simonide sta lì nel passaggio tra dono e merce, sostituisce nei fatti il dono: l’offerta di cibo e ristoro che riceveva il poeta in cambio dei versi, l’artista in cambio della sua arte. Simonide chiede e prende denaro. Carson evidenzia come questo nuovo scambio non renda meno bella e riuscita la poesia di Simonide, lo fa analizzando passaggi biografici e vari testi, verso per verso, un lavoro impressionante, gratificante per chi legge. Il lettore comprende e s’arricchisce, andando di pagina in pagina con vero piacere. Nel passaggio tra dono e merce cosa si perde? Questa è una domanda cui Carson prova a rispondere. Si perde, in teoria, quel legame emotivo che riguarda l’accoglienza e la gratitudine e che il denaro rimuove. Il testo poetico e il suo valore (al di sopra dell’economia) però rimane.
A seconda delle vostre coordinate, potreste guardare nel cielo notturno una stella che ha cessato di splendere millenni orsono. A seconda del vostro alfabeto, potreste guardare una parola in una poesia che è già finita. E tuttavia resta la domanda: dov’è l’umano deposito in cui sedimenta tutto questo?.
Per Celan bisogna pensare all’estraneità, alla perdita, all’abbandono, alla sua profonda solitudine, all’esule, al poeta, ecco. Celan vive in bilico tra due lingue quella d’origine e quella nuova, in cui vive. Come Simonide transita da un mondo all’altro, quando scrive – contemporaneamente – traduce. Perciò inventa e reinventa, lavora su un doppio binario, ha in mano sempre due chiavi, due codici. La fatica di Celan, la bravura, la meraviglia che ci arriva, viene da un chiaroscuro accecante, che Carson ci mostra, con l’analisi profonda dei testi. Per Anne Carson, Celan è un estraneo, e lo è per entrambi i mondi.
Simonide e Celan sono soli, e in nome di quest’esistenza solitaria, la scrittrice canadese li confronta, e esaminandoli li conforta. Nel nulla dell’imperduto li realizza di nuovo, li capisce a fondo. A termine del saggio i due poeti attuano un loro personale scambio, tra le due economie privati si realizza un dono, e pare di vederli mentre se lo scambiano.
Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagione e Andrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia.
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