Il post-esotismo sta per finire, e già questo a ben vedere è un fatto eccezionale. Si spargesse la voce dell’arrivo, mettiamo, del penultimo libro della fantascienza, sarebbe naturale avere qualche dubbio; i generi, di norma, non finiscono. Ha perfettamente senso, invece, che Le ragazze Monroe di Antoine Volodine, pubblicato da 66thand2nd nella traduzione di Anna D’Elia, sia il quintultimo libro post-esotico. Questo perché il post-esotismo non è un genere, nonostante la genesi del termine si presti facilmente all’equivoco: Volodine lo coniò nel lontano luglio del 1991, sulle pagine di Le Point, rispondendo proprio a una domanda relativa alla collocazione più adatta per le sue opere.
Come avrebbe ricordato più tardi su The Paris Review: «Lo scambio fu esattamente questo: “In quale genere preferisce essere classificato?”. “Post-esotismo anarco-fantastico”. Era una battuta un po’ irriverente ma anche un modo, all’epoca, per confermare che non appartenevo né alla fantascienza, il genere in cui erano stati classificati i miei primi quattro libri, né alla letteratura francese d’avanguardia, che Éditions de Minuit, il mio editore a quei tempi, pubblicava spesso. Colsi l’occasione dell’intervista per proclamare questa rottura, che a me sembrava evidente ma la critica letteraria faticava a prendere in considerazione. Si è nascosta per troppo tempo dietro a un aggettivo, “inclassificabile”, che ancora oggi trovo in numerose pubblicazioni».
In quell’intervista Volodine non solo inaugurava il post-esotismo, ma dava anche due precise indicazioni. La prima: volendo ostinarsi a inquadrare la sua scrittura all’interno di una tradizione alla quale comunque non apparterrebbe, bisognerebbe guardare al fantastico (un genere che, schiacciato com’è tra fantascienza e fantasy, appare prossimo all’estinzione – e dunque perfetto per Volodine). La seconda: la critica letteraria sbaglia a usare un aggettivo come “inclassificabile”, che evoca libertà, imprevedibilità, rifiuto di qualsiasi schema. Il post-esotismo segue anzi regole piuttosto rigide; e per quanto riguarda la libertà, questo è ciò che racconta Volodine sempre a The Paris Review: «scriviamo da un altrove che è una prigione […], condividiamo tutti la stessa ideologia egualitaria e rivoluzionaria, rivendichiamo una poesia radicata in egual misura nello sciamanesimo, nel bolscevismo, nel realismo magico e nell’onirismo».
Dunque, più che di genere, si potrebbe parlare di progetto letterario: basato su un’intuizione poetica, e fedele a quella, i generi poi li attraversa, li addomestica, se ne serve quando e come meglio crede, piegandoli ai propri scopi. Lasciamo ancora la parola all’autore, che spiega così il post-esotismo a La Lettura: «Una delle fonti di ispirazione è il Libro tibetano dei morti che racconta come i morti camminino in un mondo fluttuante dove sono assaliti da visioni terrificanti e dove gli opposti si equivalgono (non c’è alto o basso, non c’è passato o futuro, non c’è sogno o realtà, eccetera). Abbiamo preso le distanze dall’aspetto mistico del libro e abbiamo mantenuto soprattutto gli aspetti profani e poetici. Le nostre storie riprendono molto spesso l’idea che la morte non esista (o solo sotto forma di un’estinzione molto, molto lenta, come nel caso di Kronauer in Terminus radioso), che la morte sia appena percettibile (come nel caso di Kaytel in Le ragazze Monroe) e che si possa tornare a vivere. È un mondo strano quello che stiamo costruendo ma credo che funzioni su basi narrative molto pratiche e ricche. Per esempio, permette di avere personaggi che non sanno esattamente dove si trovino nella scala organica, che non sono né vivi né morti, che non hanno grandi necessità fisiche, non dormono o non sanno se stanno sognando o meno».
Secondo il Libro tibetano dei morti esiste un periodo di tempo, chiamato bardo e lungo 49 giorni, vale a dire 7 settimane, in cui l’anima dopo la morte continua a fare esperienze, per poi reincarnarsi. L’intuizione poetica su cui si basa il post-esotismo è allora il racconto di questo periodo di tempo: i personaggi delle opere di Volodine muoiono eppure continuano a vivere, a diversi livelli di coscienza, e in questa condizione di non-più vivi ma non-ancora morti possono trascorrere anni, talvolta secoli. Ciò nonostante, 49 e 7 restano cifre ricorrenti nella numerologia post-esotica: il progetto si concluderà con l’opera numero 49, e per questo sappiamo che Le ragazze Monroe, numero 45, ne costituisce il quintultimo tassello. Come già Sogni di Mevlidò, anche Le ragazze Monroe si divide in 7 parti, per un totale di 49 capitoli. La storia di svolge in un mondo post-apocalittico, dove rimangono solo pochi sopravvissuti, su cui incombe la minaccia di Monroe: prima epurato dal Partito, poi eliminato, adesso è intenzionato a prendere il potere grazie alle ragazze combattenti spedite in missione per lui nel mondo dei vivi. Sono infine 343, la cifra che si ottiene moltiplicando 7 e 49, le correnti del Partito elencate al termine del libro.
Le ragazze Monroe è un perfetto esempio di come il post-esotismo si serva di volta in volta di generi diversi, in questo caso evidentemente il noir: piove in continuazione, c’è un caso da risolvere, un poliziotto prova a capirci qualcosa, pessimi informatori tengono la bocca cucita e rivelano il meno possibile. «Non fare il furbo, Breton» disse, passando a darmi del tu con fare aggressivo. «Ho delle informazioni su di te. E non sono buone». «Pazienza» sospirai. «Il Partito ha indagato sui tuoi trascorsi» insisté. «Ti sta esaminando da vicino. Hai un pessimo fascicolo. Dal punto di vista medico, non sei mai stato a posto. E in quello politico è tutto molto vago. Non potrai sempre servirti della malattia come scusa». «Sei il classico tipo che finisce male» sbottò l’altro.
Il tutto, naturalmente, in versione post-esotica: alcuni personaggi sono morti già in partenza e altri moriranno senza che questo precluda loro la possibilità di continuare a prendere parte agli eventi. C’è spazio per tante situazioni divertenti («Ho introdotto continuamente il comico mentre le ambientazioni e l’azione sono terribilmente cupe: questa è la firma del post-esotismo», dice Volodine a La Lettura) e non mancano le trovate memorabili. Non sarà facile dimenticare il narratore inaffidabile in costante colloquio con un certo Breton, che altri non è se non egli stesso; né la spiccata inclinazione all’imprecazione e al turpiloquio delle ragazze combattenti di Monroe, e dei morti in generale; né l’aspetto umoristico, ma anche allegorico, della violenta lotta per il controllo di un Partito che di fatto non controlla niente, perché l’intero mondo è in rovina e sostanzialmente disabitato dopo un’apocalisse di cui si sa pochissimo.
«I nostri libri non presentano grandi folle, ma di solito pochi individui sopravvissuti. Un notevole abisso temporale li separa da ciò che ha portato alla virtuale scomparsa della specie umana. Sono pochi di numero o sono soli tra le rovine, e talvolta in paesaggi post-rovina. In verità, mi sembra molto più interessante seguire personaggi che si confrontano con la solitudine, la mancanza di cibo, il disagio, la sopravvivenza senza prospettiva, piuttosto che mettere in scena supereroi che attraversano un cataclisma. Le nostre finzioni sono molto più intime dei film catastrofici. Permettono al lettore di immedesimarsi in persone miserabili che non hanno pretese di “superumanità” e che, al contrario, si percepiscono come “subumane”. Le gioie, le pene e le vicissitudini di questi personaggi sono molto limitate. Le speculazioni sugli eventi storici che hanno portato alla fine dell’umanità non li toccano, sono attenti (e noi con loro) solo alla propria condizione, alla propria sopravvivenza», spiega Volodine a Rivista Studio.
Accade spesso, nelle interviste, che l’autore francese parli al plurale: eppure dietro al progetto letterario del post-esotismo c’è sempre lui, con molteplici nom de plume. Ciò rende ancora più impressionante la costruzione di un progetto di così vasta portata: di solito, quando ci si prefigge in largo anticipo un certo obiettivo, è più facile fissarlo per sottrazione (come Tarantino, quando dice di volersi limitare a girare solo 10 film) che per addizione (come Sufjan Stevens, il cui progetto di dedicare un album a ciascuno dei 50 stati americani si è infatti arenato dopo appena due dischi); Volodine non solo ha concepito un progetto grandioso, ma lo sta portando a termine. Inoltre, il post-esotismo si rivela essere in questo modo esso stesso una finzione: i suoi autori e le sue autrici in realtà non sono molti, né si trovano in un carcere come amano raccontare, naturalmente. Eppure le opere post-esotiche sembrano emanare comunque, in un senso o nell’altro, da un altrove a noi inaccessibile, proprio come le ragazze combattenti provengono da un dominio dell’esistenza, o forse solamente da un sogno, in cui Monroe può ancora ordire i suoi piani di vendetta.
A questo punto le cose si complicano. Il mondo in cui gli autori e le autrici del post-esotismo vivono in regime di detenzione carceraria è quello di Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, in cui vengono elencate 343 opere post-esotiche. Nel nostro mondo, invece, come abbiamo visto, le opere sono 49. In Terminus radioso, nelle steppe radioattive di quella che fu la Seconda Unione Sovietica, le opere post-esotiche si declamano dopo il calare della notte, o si gettano tra le fiamme per ravvivare un fuoco; in Sogni di Mevlidò un vecchio libro post-esotico si può trovare in vendita per strada, ormai ridotto a brandelli e senza copertina: ma a quale dei due corpus appartengono? A questo gioco meta-letterario si può anche non voler partecipare, e allo stesso modo nessuno è obbligato ad addentrarsi nella numerologia post-esotica, ma anche in questi dettagli risiede il fascino del progetto di Volodine. Resta invece sempre appassionante seguire il modo in cui l’autore francese amministra la materia di cui ha inteso occuparsi: premesso che il post-esotismo il suo capolavoro lo ha già, si tratta proprio di Terminus radioso, e considerata la portata del progetto nel suo complesso, è naturale aspettarsi alti e bassi, e Le ragazze Monroe appartiene senza dubbio ai primi.
Come andrà a finire? «In Francia è stato pubblicato lo scorso ottobre il 46° titolo, firmato da “Infernus Iohannes”, un collettivo di autrici, molto femminista, in rivolta contro gli uomini, contro il corpo, contro la sessualità, contro il mondo capitalista e persino contro la realtà in generale. Il titolo è provocatorio: Débrouille-toi avec ton violeur (Affronta il tuo stupratore). Sì, ci stiamo avvicinando alla fine. Ci saranno altri tre titoli: un romanzo di Volodine, un altro di Manuela Draeger e, infine, il 49°, il cui titolo è Retour au goudron (Ritorno al bitume), ancora firmato da Infernus Iohannes (questa volta autori sia uomini che donne). Non è un romanzo, ma una gigantesca raccolta di 343 pamphlet, tra testi, fotografie di un mondo scomparso (Macao), rubriche periodiche, racconti di sogni: l’addio del post-esotismo al mondo editoriale e, allo stesso tempo, una performance letteraria», ha anticipato lo scrittore a La Lettura. Scopriremo forse, proprio all’ultimo momento, che il post-esotismo è stato solo un sogno di Volodine al quale ci è capitato di assistere.
Gilles Nicoli è nato a Roma sette giorni prima che Julio Cortázar morisse a Parigi. Scrive soprattutto di libri, cinema e videogiochi.
