Burhan Sönmez è in Italia per presentare il suo libro. Appuntamento il 29 novembre alle 18 presso la libreria Il Delfino di Pavia; il 30 novembre a Milano, alle 19 da verso libri. Infine il 1° dicembre a Rovereto, sempre alle 19.

Il dubbio di Avdo, anziano scultore di lapidi che vive nel cimitero di Merkez Efendi, apre il nuovo romanzo di Burhan Sönmez Pietra e ombra (trad. Nicola Verderame, Nottetempo). Suggestionato dal ricordo dell’amata uccisa, si rasserena solo una volta trovata la sua tomba sotto l’albero di Giuda accanto alla fonte prodigiosa che “si nutriva di lacrime e si purificava con l’innocenza delle anime che morendo dimenticavano ogni male”.

L’esistenza errante trascorsa a cambiare perennemente città nella segreta ricerca della madre perduta da bambino in un mercato lo ha reso un gavsono, un migrante strappato dalla propria terra e “scagliato in un’altra”. Nel perdere la propria patria ha smarrito inesorabilmente una parte della sua memoria. Impara il mestiere attorno ai dieci anni, grazie all’incontro con Josef Usta che gli insegnerà i valori alla base di quell’arte: accettare offerte solo da chi potrà lasciargliene, non costruire case per gli altri, dividere i suoi averi con i senzatetto. Proprio per la sua bravura nel realizzare lapidi affini all’anima del defunto riceverà una richiesta anomala lasciata come ultima volontà dal diretto interessato, l’Uomo dai Sette Nomi.

Colpito durante una deportazione e ritrovato in stato confusionale e senza memoria sulle rive dell’Eufrate, l’uomo fu convinto dai militari di essere uno di loro e ricevette così un nuovo passato. Trascorse i successivi quarant’anni a vagare tra Gerusalemme, Il Cairo, Creta, Atene, Roma, Istanbul. In ciascun luogo adottò un nuovo nome e una nuova religione. Nell’entrare in possesso del suo diario, Avdo si immerge nella sua storia, tra numerose incognite sull’esistenza di un uomo perennemente smarrito, incapace di ricordare la propria infanzia e quindi di conoscere se stesso. La fascinazione per tale condizione porta l’autore a indagare le conseguenze della perdita dell’identità, aspetto su cui incentra Labirinto (trad. Nicola Verderame, Nottetempo, 2019) con il racconto del disorientamento vissuto da un suicida fallito che nel perdere la memoria cercherà disperatamente una via d’uscita dal dedalo di un presente effimero.

Gli enigmi della vicenda dell’Uomo dai Sette Nomi permettono a Sönmez di innestare innumerevoli storie sulla principale a partire da quella della giovane Elif, preda del tormento nel dover sposare lo spietato Mikail Ağa e destinata a andare incontro a una sorte impietosa su un cavallo bianco col capo chino, lo scialle rosso, gli occhi “secchi e privi di vita come un lago prosciugato”. Nella speranza di non subire la stessa sorte, sua sorella Ipëk scappa a Istanbul acquisendo un nuovo nome per diventare la famosa Perihan Sultan che canta di amori falliti, disperazione e marginalità. Prendono forma anche le storie del piccolo Baki cresciuto grazie agli insegnamenti di Avdo, del Marinaio Biondo, della fuggiasca Reyhan segnata dalle dure conseguenze della sua ribellione alle ingiustizie, dell’imam Hoca, del militare Cobra ottenebrato dalla violenza.

Ogni storia narrata è segnata dall’inesorabile contesa con la sorte che non risparmia alcun personaggio. La sapienza stoica di Avdo e la sua determinazione nel porsi contro i soprusi con una personale idea di giustizia diventano nel romanzo il mezzo primario per favorire il riscatto.

Un intenso mosaico in prosa strutturato tra continui andirivieni temporali che sfuggono alla vicenda principale sviluppata tra il 1984 e il 2002. Riemerge la storia di un orfano che nei primi decenni del Novecento in Mesopotamia si guadagnava da vivere intonando canzoni dolenti verso il cielo. Un racconto che si alterna alle storie che popolano Damasco nel 1940 e a quelle che si consumano negli anni Sessanta a Istanbul nelle note di una cantante arabesk, stella triste del Gazino Paris fuggita dal villaggio di Konak Görmez nell’altopiano di Haymana per affrancarsi dall’oppressione. Sul solco del racconto, l’autore compie continui ingrandimenti che contestualizzano socialmente e politicamente gli scenari narrati, come la storia di Merkez Efendi nel 1513. La natura politica della scrittura di Sönmez è riconoscibile anche nel riferimento a eventi drammatici come il massacro di Sivas del 1993 durante la festa per Pir Sultan Abdal, nella denuncia delle tensioni a Istanbul contro la giunta militare, nella violenta repressione delle proteste contro le esecuzioni in carcere. Aspetti da sempre indagati dall’autore nei suoi saggi sui diritti umani, sviluppati attraverso il pretesto narrativo per mettere in luce le ripercussioni politiche, sociali, culturali e religiose di un governo che annulla il dissenso.

Nel concedere al lettore piccoli pezzi di una verità sfuggente, Sönmez si interroga sul senso di alienazione vissuto per l’assenza di libertà, come accaduto all’uomo che per via delle torture subite quotidianamente nel penitenziario di Diyarbakir perde il senso della realtà arrivando a credere di essere tra i morti e di sottostare a secondini-demoni.

I continui stacchi temporali cadenzano il ritmo sincopato di una vicenda ammantata da un incanto sottile e tetro, tra immagini di una frenesia urbana indifferente, scorci di vita di un villaggio dell’altopiano dove “i bambini partecipavano a faide già a partire dai loro nomi, diventando così parte di un passato che non conoscevano”, e realtà dove “tradizione era sinonimo di destino”.

L’allestimento urbano traspone le inquietudini del protagonista e delle figure a lui vicine per indagare una personale idea di fede nella relazione con la fine, l’enigma dell’altro e la labilità delle relazioni attraverso l’inesorabilità di un vincolo, la ricerca identitaria e la concezione di patria nel rapporto con l’infanzia, il peso della memoria nello scandagliare lo spazio del sogno, l’eredità della perdita nell’annientamento di ogni speranza che rende ombre.

Ogni storia appare indissolubilmente legata alla riflessione sul significato di patria, tema che nel romanzo Gli innocenti (trad. Eda Ozbakay, Del Vecchio, 2014) è associato a un’infanzia da cui il protagonista si allontanerà per poi percepire che essa continuava a crescergli dentro. L’esplorazione del passato caratterizza l’intera produzione letteraria di Sönmez, che già in Nord (trad. Nicola Verderame, Nottetempo, 2021), oltre che ne Gli innocenti e in Istanbul Istanbul (trad. Anna Valerio, Nottetempo, 2016) assegna a storie individuali una valenza collettiva nel tradurre il cambiamento.

Il conturbante piano del sogno apre all’inatteso e rivela la complessa simbologia che caratterizza una vicenda dai toni realistici e al contempo favolosi, dimensione indagata dall’autore in ogni sua narrazione per definire l’inganno del reale. Sono gli abbagli ad assegnare un significato a accadimenti minimi e a rintracciare un senso nella disarmonia. Il sogno nell’opera di Sönmez è concepito come il luogo d’elezione dove ispezionare il mancato riconoscimento di sé in assenza di riferimenti certi, come accade alla triste Elif, o dove giungere alla verità, come succede a Avdo, nel rivolgersi ai morti e riconoscere nel sogno la propria natura.

La mia ombra ricade sulla pietra. Questo è un sogno, non esiste la pietra, non esisto io, esiste soltanto l’ombra.

Il continuo esercizio di attribuzione emotiva ai luoghi enfatizza il silenzio irreale della notte tra gli alberi di un cimitero come astri che fanno la guardia al cielo e una civetta che veglia sui drammi che si consumano nei pressi della moschea di Merkez Efendi: “Non dormiva e non moriva: come gli spiriti condannati all’eternità, viveva sospeso per le ali alla volta celeste”.

Il richiamo al mito è reso nel costante rimando selvatico, tra creature misteriose, leggendarie e entità inumane dalle fattezze animali che fanno da contrappunto alle vicende narrate come la Şahmeran, figura mitologica di donna dal corpo di serpente, immortale e benefica.

Sönmez ama giocare su diversi livelli di realtà per affrontare temi come la nostalgia dei luoghi, il dolore dell’esilio, le ipocrisie di comunità sottomesse a riti e ruoli, la condanna dell’orgoglio, misurati nella sua intera produzione narrativa attraverso il contrasto generato da figure illuminate che incarnano un’alterità inattuale. La prosa densa di rimandi nobilita particolari del quotidiano per renderli custodi di un pensiero di ampia portata: i gozleme fumanti come simbolo di un’attesa condivisa, una moneta come pegno d’amore, un pettine con l’immagine della şahmeran sorridente come emblema di un tempo irraggiungibile.

Nell’ambiente notturno di Pietra e ombra l’incedere epico, proprio del romanzo d’esordio Nord, amplifica le insistenze ossessive sui temi dominanti e evidenzia una concezione della morte come il luogo del sovvertimento del desiderio nello strazio della privazione, capace al contempo di custodire una valenza mistica.

Notte non significava silenzio: era suono distillato. Di giorno tutti i rumori si mischiavano tra loro, mutandosi in frastuono; di notte ogni suono si delineava in tutta la sua semplicità. I canti dell’infanzia, i lamenti delle anime, il verso della civetta. Nel caos del giorno, percepirli era impossibile. E così anche i dolori, le nostalgie.

L’opera è un’indagine sulla natura fluida del tempo che come un liquido filtra attraverso immagini di un’epoca dimenticata per calare su un uomo che si abbandona al silenzio. Sono i reperti di un’età remota a ricordare quel che misurava il trascorrere dei giorni: i numeri, le inquietudini e le purificazioni.

Con Pietra e ombra Sönmez compone una personale mitologia attraverso una costellazione di personaggi che con le loro storie fratturano lo sfondo fiabesco allestito per amplificare drammi stratificati nel tempo e rivelare il peso di un destino inesorabile consegnato a chi resta e a chi porta nel proprio nome la traccia di un passato enigmatico e di una speranza nuova.

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

a.pisu@minima.it

Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all'Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.

Articoli correlati