Una ragazza, un folletto e un gatto mutaforma intraprendono un viaggio magico nel tentativo di scongiurare una mutazione che rende alberi e piante pericolosamente ostili. Sembra quasi la trama di un nuovo manga invece è la peculiare operazione di Nottetempo che inserisce per la prima volta un romanzo nella sua collana Terra, dedicata alla saggistica a tema eco-ambientale. L’autrice “prescelta” per questa inaugurazione è Francesca Matteoni, scrittrice, poetessa e studiosa di folklore e magia. Il suo Tundra e Peive ci trasporta in un universo sovrannaturale che strizza l’occhio alla fiaba, parla come una leggenda, e ha il retrogusto di un film fantasy anni ‘80.

In un tempo e un luogo imprecisato, la noncuranza degli uomini ha fatto sì che gli alberi mutassero, ibridandosi con materiali come il ferro e infestando il mondo con la venefica Malvaspina. Gli unici a voler correre ai ripari di fronte a questi allarmanti cambiamenti sono una manciata di personaggi non-umani o umani solo in parte: Talia, una ragazza che ignora il suo misterioso passato, il vivace folletto Tundra, il suo gatto Peive, in grado di assumere le sembianze anche di altri animali, Bess, che per tutti è una sarta di mezza età ma in realtà appartiene alla stirpe degli Antichi, esseri secolari in contatto con il mondo degli alberi e delle fate. Gli elementi fondanti del fantasy ci sono tutti, una protagonista predestinata, una minaccia incombente da fermare, creature fatate, alberi saggi e un po’ bisbetici, stregoni malvagi, animali parlanti e ovviamente un viaggio. Affinché tutti ritrovino il loro posto e capiscano chi sono davvero, occorre viaggiare nello spazio e nel tempo, affrontare mostri, ricordare e sognare o meglio ricordare sognando.

Il messaggio ambientalistico di Tundra e Peive appare fin da subito chiaro, forse a tratti perfino un po’ ingenuo, ma di quell’ingenuità che è tipica della fiaba, del racconto da focolare. Anche se il libro comincia con le parole “Questa non è una favola”, ciò appare come un modo quasi magrittiano di riaffermarsi attraverso la negazione, sottolineare che anche se si parla di folletti e streghe, lo sfacelo a cui stiamo andando incontro è drammaticamente reale. A prendere più concretamente le distanze dal genere favolistico è invece il linguaggio del romanzo, che palesa la provenienza magico-poetica dell’autrice: il lessico elevato, sembra volto a iper-liricizzare una natura panteistica dove tutto è vivo, perfino chi è già morto.

A rimescolare ulteriormente le acque troviamo poi una forma curiosamente ibrida di citazionismo: nel racconto appaiono sia creature provenienti dal folklore scandinavo, come i myling – anime dei bambini morti – e i kelpie – pericolosi spiriti dall’aspetto equino, sia degli imprevedibili riferimenti alla cultura pop, come quando il folletto Tundra suona con il suo rudimentale flauto I don’t wanna grow up dei Ramones (specificando che è proprio la versione dei Ramones e non l’originale di Tom Waits).

Il risultato finale è un eco-fantasy ora affascinante ora bizzarro, sicuramente atipico nel ritmo, più riflessivo che avventuroso, in cui il dualismo tra bene e male – tipico del genere – si rispecchia nel binomio Natura-Uomo. Francesca Matteoni, pur essendo umana – o almeno così ci risulta – non sembra avere dubbi sulla fazione con cui schierarsi, al punto che nel romanzo gli umani, le città, la tecnologia sono sì citati, ma praticamente mai raccontati. I protagonisti sono tutti in qualche modo legati al mondo magico e alla saggezza secolare degli alberi, l’indifferente città da difendere è, almeno narrativamente, molto lontana. Forse perché quella città siamo noi lettori, con il nostro asfalto, le nostre automobili e la nostra indifferenza. Noi che continuiamo ad amare le storie ma abbiamo smesso di credere alle fate, che non riusciamo più a vedere dei volti nei tronchi dei vecchi alberi, che restiamo convinti che ciò che muore non possa rinascere sotto altre forme. Raccontarci le peripezie di Talia, condividerne le visioni suggestive, talvolta quasi lisergiche, attraverso cui si riappropria dell’identità perduta, farci accompagnare Bess, l’Antica, nella sua sfida contro il perfido Senzastelle, portarci a scoprire la profonda tristezza che si cela dietro l’apparentemente spensierato folletto Tundra, è il modo con cui Matteoni prova a risvegliare ciò che abbiamo smesso di essere: umani sì, ma bambinescamente connessi con la natura, capaci quindi di ascoltare il suo richiamo, il suo grido di allarme.

E deciderci finalmente a fare qualcosa.

 

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Autore

a.vertorano@tin.it

Armando Vertorano, classe 1980, è autore televisivo, scrittore e sceneggiatore. Quando non scrive quiz e domande per il piccolo schermo, collabora con riviste culturali online come minima&moralia, Snaporaz e Limina. Ha pubblicato due raccolte: una di racconti (Dindalé) e una di testi teatrali (Materiali di scena), e ha all'attivo due podcast, Cover the top e Se telefonando.

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