Nuovo appuntamento con la rubrica a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono qui. foto copertina © Anna Toscano

Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?

Ce ne sono due. La prima è di Paul Eluard, la trovai per caso dentro un’antologia e iniziava così: “I tuoi capelli d’arancia nel vuoto nel mondo”. E’ contenuta nella raccolta Capitale de la doleur, ma a quel tempo non mi interessò molto il contesto di provenienza, rimasi solo folgorata dalla molteplicità dei sensi che quell’immagine mi aveva attivato. Da lì sono arrivata diretta a Poesia ininterrotta, che resta tuttora il libro da cui ho più epifanie.  “E scrivo per segnare gli anni e i giorni/ le ore e il tempo degli uomini/ e le parti di un corpo comune”: quando ho letto questi versi la prima volta mi è sembrato che dicessero esattamente quello che pensavo e che fino a quel momento non ero riuscita a spiegare. Il corpo comune – dove corpo è materia e spirito, senza distinzione – è l’oggetto fondamentale, è il motivo della poesia.

La seconda è Piccolo testamento di Montale, scoperta in classe al liceo: qui mi colpì la definizione della poesia come strumento di resistenza da opporre a un dolore che è personale e collettivo insieme, e la straordinaria capacità di offrire questa idea attraverso immagini, immagini di luce e di buio. Borges dice che “le cose perfette in poesia non sembrano strane, sembrano inevitabili”. E quando leggo certa poesia avverto esattamente questo senso di inevitabilità.

Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?

Montale. Ho sempre avuto il brutto vizio di auto-spoilerarmi i libri, e le antologie di scuola non facevano eccezione, a settembre le sfogliavo per intero per vedere cosa mi sarebbe toccato leggere nel corso dell’anno. Le parti dedicate alla poesia erano le prime in cui andavo a curiosare: tra tutti, Montale mi rimase in testa. Non avrei saputo spiegare cosa dicessero quei versi pieni di parole mai sentite prima, eppure li capivo perfettamente.

C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?

Fino ai diciassette anni ho trascorso diversi mesi l’anno a Castagneto Carducci, un paesino dell’alta Maremma da cui mia madre proviene e dove avevamo una casa di famiglia situata proprio di fronte all’appartamento in cui Carducci ha vissuto intorno al 1848. In paese ci sono ovunque lapidi con inscritte le sue poesie più note, e a furia di averle intorno le imparai a memoria. Mia madre – che non aveva studiato oltre la quinta elementare – le recitava come una litania, ogni volta che imboccavamo in auto la strada verso Bolgheri attaccava con il corteo nero dei cipressi che alti e schietti van da San Guido in duplice filar, oppure con le sette fiasche di lacrime della nonna Lucia, il cui piccolo cimitero era meta fissa di ogni estate. Per non dire della terra fredda e negra dove giaceva il figlio morto del poeta e che da bambina mi angosciava moltissimo: la selezione materna dei versi carducciani era piuttosto dark, e questo mi affascinava, così come il ritmo di quelle composizioni e la presenza di parole e immagini che all’epoca mi suonavano misteriose. Mi colpiva soprattutto l’idea che esistesse una descrizione precisa di fenomeni che esperivo nella vita quotidiana: le vie del borgo dell’Estate di San Martino per me erano reali, erano i lastroni su cui correvo per andare a giocare in piazzetta, il maestrale che rendeva impossibile fare il bagno era una presenza fisica, e così il mare che urlava e biancheggiava. Credo di aver appreso in quegli anni che la realtà e la parola possono corrispondersi e “rilanciarsi” a vicenda.

Arrivata al liceo ho scoperto che Carducci lo schifavano tutti: la mia professoressa di italiano lo liquidò in tre righe di biografia, dicendo che era un vecchio trombone e che la sua poesia era retorica e inutile, quindi occultai con cura il fatto di conoscerne a memoria moltissimi versi, vergognandomene anche un po’, ma nel frattempo ero passata a ben altre letture, dunque la cosa non mi aveva stupita troppo.

Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?

In casa avevamo un solo libro di poesia, ed era Il vaporetto di Alfonso Gatto. Perciò dalle medie in poi ho iniziato a saccheggiare la biblioteca di quartiere, leggendo tutto quello che mi capitava sottomano: ricordo che fui sollevata di scoprire che esistevano poetesse, pressoché assenti nelle antologie scolastiche; mi portai a casa la Dickinson, Sylvia Plath, la Szymborska. Poi Baudelaire, di cui chiesi in occasione del compleanno una copia che fosse proprio mia; poi Dino Campana, Walt Whitman, Kavafis, Sandro Penna.

Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?

È stato un pomeriggio durante il primo anni di università. Dovevo scrivere a un caro amico per informarlo di un fatto molto grave che mi era capitato, un lutto. Non volevo farlo telefonicamente e decisi di scrivergli. Ma dopo aver tentato invano di buttare giù una lettera, arrivò qualche verso, che poco dopo feci leggere a un amico, gran lettore. Mi fece “friggere” per qualche minuto e poi mi disse: “finalmente”. Lo ricordo come un inizio.

Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?

Pensieri di occultamento. Li ho vissuti come una questione privata. Rispetto alla prosa, ci ho messo moltissimo tempo prima di pensare che potessero avere una loro via nel mondo. Quando l’ho capito, non erano più quei versi ma altri, differenti, meno copiosi. Quei primi e copiosi giacciono tuttora latenti tra quaderni e files, testimoni della relazione più longeva che io possa ad oggi vantare, quella con la poesia appunto.

Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?

Me ne sono vergognata moltissimo. Erano rimaste a lungo nel cassetto, e quando le ho viste divenire pubbliche mi sono sentita esposta, ho realizzato che il modo in cui raccontavo certi aspetti dell’esistenza non aveva più alcuna mediazione, stava lì sulla carta senza protezione. In quel momento ho capito che il desiderio di dire finisce sempre fare i conti con la sua (presente o mancata) accoglienza, e dunque con la fragilità dell’espressione artistica. Ma è un rischio che mi assumo volentieri, perché è dentro quel nodo che sta la possibilità di stare in quel “corpo comune” di cui dicevo sopra.

La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?

Più che una fede, è una resistenza. Di quelle semplici, istintive, non organizzate.

La poesia inizia?

Quando capisci che tutto significa.

La poesia finisce?

Quando non ci sono più occhi. Cocteau ha detto on ferme les yeux des morts avec douceur; c’est aussi avec douceur qu’il faut ouvrir les yeux des vivants. Aprire gli occhi ai vivi, con dolcezza: questo fa la poesia – quando lo fa -, e se non ci sono più occhi da aprire, lì finisce.

 

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Autore

a.toscano@minima.it

Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali. www.annatoscano.eu

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