di Roberto R. Corsi
Dopo L’adatto vocabolario di ogni specie, pubblicato nel 2016 e imperniato sulle vicende di Taranto e dell’ILVA, Alessandro Silva Ferrari è tornato quest’anno alla poesia con L’arte di allacciarsi le scarpe; volume edito come il precedente da Pietre Vive, ma entro una nuova collana, Le Pietroline, rivolta a giovani e adolescenti (mai come per questa uscita, peraltro, occorre glossare: di ogni età) e contrassegnata dal binomio poesia-illustrazione. In questo caso, poesia-fumetto: accanto al poeta, infatti, il libro vanta come disegnatore Federico Galeotti, cofondatore del Collettivo Amianto Comix.
Sussistono due elementi di continuità con la prova precedente di Silva: il primo è la presenza – non certo ancillare ma costituiva, fondante – del disegno; il secondo è il riferimento fattuale a una vicenda a forte impatto comunitario e ambientale, dato che l’azione prende il via nei mesi immediatamente precedenti e sfocia nel disastro di Fukushima-Dai-Chi (11 del mese sangatsu, cioè marzo, 2011).
Ciò premesso, siamo ora di fronte a un’opera meno lineare, volutamente più complessa, polimorfa. Gli stessi fatti di Fukushima sono un complesso, tragico “sistema binario” di tsunami e conseguente crisi dei reattori della centrale (quest’ultima narrata in coda al libro). In più, il grosso della trama, a monte della tragedia, è composto dalle giornate dell’io poetante: un flâneur irrequieto e sensibile, che si muove tra elementi simbolici e tremendi sogni premonitori, e in più deve fronteggiare la separazione dall’amata, in procinto di trasferirsi oltreoceano.
Questo plot si desume quasi esclusivamente dalla provvidenziale seconda di copertina, redatta in forma di voce diaristica. Invece, già dalla prima tavola e dall’incipit – significativamente di sapore dantesco, quasi a insinuare il sospetto che stiamo per intraprendere un viaggio escatologico – Silva e Galeotti amano concentrarsi sul dettaglio scenico di una rappresentazione, per giunta, dall’unità tematica e cronologica frammentata – in primis, come detto, dai flash-forward onirici che ci trasportano ben presto alla disperante devastazione dell’onda.
Il verso di Silva è, al solito, di elevata qualità: libero, ma mai eccessivamente colloquiale; dotato di ricchezza lessicale e immaginifica, ma mai ermetico o ieratico nei toni.
Le note di chiusura ci avvertono della pletora di riferimenti letterari, lasciandone la scoperta al lettore. Io non ho brillato nella caccia al tesoro (Dante, Pascoli, Kafka; forse Rosselli, D’Annunzio, Eliot). In compenso, ho percepito in pieno l’importanza dei simboli che signoreggiano il testo e le tavole. Alcuni provengono dalla tradizione, come il coniglio lunare (tsuki no usagi) e la donna con maschera demoniaca di han’nya; essi mi sembrano assumere nel libro un’ambivalenza che anch’io lascio al lettore. Ricorre, poi, la pozzanghera come avvertimento, vorrei dire Zeicheniano, di Apocalisse per acqua. Ma il simbolo preponderante, al punto di dar titolo all’opera, sono le scarpe. Il protagonista le acquista all’inizio del libro – sneakers, di color bianco come auspicio di rinnovamento (con tutta l’amara ironia connessa); esse seguiranno le sue vicende, via via divenendo metonimiche rispetto alla persona, con culmine nel commovente dittico di testo e fumetto alle pp. 139-140, dopo il quale le vicende del protagonista lasceranno spazio al finale cronachistico.
Non va ovviamente sottaciuto o sminuito l’eccellente lavoro di Galeotti. Se nel libro del 2016 l’illustratore Giovanni Munari si era (con ottimi risultati) mantenuto nei limiti formali della light novel (disegnando cioè su altra pagina rispetto ai testi, o a loro margine), qui ci spingiamo progettualmente oltre, nel segno della ibridazione (persistono pochi disegni a margine delle pagine solotesto) ma con la egemonia di forma e intavolatura del manga – volta per volta “muto” o incorporante parole e versi (la poesia in quarta di copertina, per esempio, dentro il libro si dipana lungo tre tavole). Questo assicura una simbiosi perfetta tra gli Autori e una rafforzata capacità del disegno di poter anche “dire” autonomamente, suggerire significati ulteriori rispetto alla “cruda” poesia.
A tale proposito, parlando di simbiosi tra Autori, mi piace fantasticare che la scelta cromatica delle tavole – in scala di grigi, con un più o meno marcato, evocativo spotting – sia dovuta anche alla suggestione dei versi di p. 10 (e qui torniamo alla centralità simbolica delle scarpe): «Scelte in tela bianca dove più facile / smemora lo scompiglio che si scrolla / dello sporco e da nero passa a grigio, / spacca ferite e sbiadisce».
Scarpe come simbolo del bisogno di protezione ed elaborazione – attraverso il comfort e il movimento – del dolore personale e cosmico, dunque. Tre pagine più avanti, leggiamo la stessa suggestione rapportata a «la stringa / che coglie sporco e spine ma non sanguina». E il doppio nodo (p. 16), l’allacciarsi del titolo, «fa corpo e regge e calma la matassa».
Riuscirà il protagonista a prendere il suo slancio, con tanta presenza e presagio di dolore dietro e davanti a sé?
Lo saprà chi leggerà e ammirerà quest’opera – forse meno diretta e ficcante nella denuncia sociale rispetto al lavoro del 2016, ma in compenso tanto più ambiziosa, multidimensionale, fruttuosamente e poeticamente polisemica; tale da poter essere apprezzata per l’epos individuale, o romantico, o collettivo-ambientale, nonché per le loro molteplici interconnessioni. Questo anche in funzione dell’età del lettore: per usare la terminologia dei manga, una storia shōnen, per adolescenti, ma anche seinen, per adulti.
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Bella recensione, si sente quando un libro è stato veramente letto e anche piaciuto. Questo mi invoglia a leggerlo al più presto, avendo molta stima del recensore, nonché poeta.