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L’anno scorso, la Regione Puglia mi chiese di essere uno dei giurati di Principi Attivi, un’iniziativa volta a promuovere – e finanziare – progetti giovanili in vari settori, tra cui la cultura. I soldi da destinare a ciascun progetto non erano poi così tanti (non più di quanto possa prendere un Pietro Citati per 6 o 7 dei suoi pezzi), ma potevano essere sufficienti a realizzare qualche buona idea per chi ne avesse avuto l’incrollabile volontà, e soprattutto mi sembrava importante che, in tempi di tagli, ci fosse un’iniziativa pubblica che andasse in senso contrario.

Iniziati a esaminare i 2160 progetti arrivati, due cose mi colpirono molto: 1) il fatto che, durante tutto il tempo – mesi – della valutazione, nessuno – amministratore, assessore, consigliere, presidente, usciere… – avesse rotto minimante le scatole cercando di influenzare il mio giudizio o di raccomandare qualcuno o anche semplicemente timidamente ventilare… et similia (assoluta autonomia di giudizio, insomma: la normalità che in Italia si fa miracolo), 2) il progetto, che mi sembrò bellissimo, di un festival internazionale di teatro promosso da ragazzi ma nell’ambito del quale un intero paese era pronto a mobilitarsi per realizzarlo. Tanto per illuminare una delle sfaccettature del progetto: i cittadini del paese (Lizzano, in provincia di Taranto), le famiglie, erano pronte a offrire ospitalità agli artisti che (nel caso il festival fosse nato) sarebbero arrivati. Entusiasmo mio. Entusiasmo degli altri giurati.

Finite le valutazioni, i giurati tornarono ognuno ai fatti e alle vite proprie. Avevamo scelto i progetti da finanziare, e lì finiva il nostro compito. Sarebbe spettato a “Principi Attivi” erogare il denaro, seguire la realizzazione dei progetti, e così via. Sarebbe tutto andato bene? Avevamo fatto buone scelte? Che cosa sarebbe successo, quando, dalla “carta” del progetto si fosse passati alla realizzazione pratica?

Sono passati mesi, in cui ho normalmente fatto e pensato ad altro. Poi, da qualche settimana, è cominciata ad arrivare notizia di questo Festival Sferracavalli che, alla sua prima edizione, si stava rivelando (in rapporto al territorio di riferimento) una piccola rivoluzione. Oggi, ad esempio, è uscito sull'”Unità” un bel pezzo di Giancarlo Liviano D’Arcangelo (che ringrazio per concederci di pubblicarlo anche qui) che documenta cos’è stata questa prima edizione di Sferracavalli

Insomma, in questi tempi difficili, il problema non è solo la mancanza di risorse, ma come si utilizza il poco che c’è. E Sferracavalli sembra un bel segnale, a proposito di cosa si possa ancora riuscire a fare unendo amore per la cultura, buone idee, solidarietà sociale, e un minimo senso della pubblica responsabilità. N.Lagioia


di Giancarlo Liviano D’Arcangelo

Se nell’iperrealtà delle metropoli il multiculturalismo rischia di restare un’utopia a causa dei problemi di densità e per l’intrinseca difficoltà dei grossi organismi sociali a introiettare le alterità assestandosi nell’equilibrio, in provincia nascono e proliferano esperimenti sorprendenti in fatto d’integrazione, solidarietà e scambio culturale. È il caso di Sferracavalli, il primo festival internazionale di teatro e «d’immaginazione sostenibile», di scena fino a ieri a Lizzano, comune di poche migliaia di anime a un pugno di chilometri dalla costa ionica, dove la campagna è ora brulla ora rigogliosa, dove Taranto con il suo cielo color arancione generatosi nelle canne fumarie dell’Ilva è risorsa e condanna al contempo, e dove gli alti vitigni assomigliano a tendoni e si estendono per molti metri quadri, carichi e impallinati da schizzi di verderame, in attesa di trasformarsi nel vigoroso e scarlatto primitivo di zona. Qui, volontari provenenti da tutto il mondo, (perfino dall’India e dalla Nuova Zelanda), e compagnie teatrali italiane e rumene, hanno dato vita a cinque giorni di galà, aperitivi artistici, workshop di giornalismo, seminari di orecchiette, di esperanto e di Tai Ji, di rappresentazioni teatrali e altre attività, volte a favorire una conoscenza diretta, reale, profonda, tra artisti e autoctoni che li ospitano.

Perché la particolarità di Sferracavalli è che tutti i registi, i coreografi, gli attori, le attrici e i performer chiamati a dare il proprio contributo, non sono distribuiti dagli organizzatori in agriturismo, in hotel o in bed & breakfast, ma sono assegnati ognuno a una famiglia di lizzanesi, in modo che alloggino nei loro letti, si nutrano alle loro tavole e possano fiorire, in qualche caso, durature amicizie, nonostante gli inevitabili inconvenienti linguistici. E se camminando per Lizzano nei giorni del festival, non di rado si potevano incrociare autoctoni dotati di vocabolario multilingue non sempre sufficiente a evitare equivoci, il vecchio cinema Massimo, istituzione decaduta del paese (perché inagibile da circa trent’anni e riaperto per l’occasione grazie all’opera dei volontari), s’è riempito fino all’over-booking per tutte le rappresentazioni teatrali in cartellone.

All’antico castello, (che a dire il vero ha più le sembianze delle antiche masserie di zona attorno a cui si formavano i borghi più piccoli abitati da chi in masseria trovava impiego), si respirava un vero clima di collaborazione, solidarietà e interesse verso l’altro da sé, a sua volta foriero di un senso di libertà tangibile e penetrante, a dispetto dell’inafferrabilità concettuale di un parola così vacua. «Non avrei mai immaginato una risposta così positiva sin dalla prima edizione» racconta Francesca Cavallo, giovane direttrice artistica del Festival (tutti i membri dell’organizzazione sono under trenta), «tutto è nato lo scorso anno, dal desiderio di proporre una versione non massificata della cultura popolare, e la struttura del Festival ci è stata suggerita dalla natura anti globale del teatro, che non avendo modo di essere distribuito su larga scala porta sempre significati particolaristici».

Un modo alternativo, dunque, di concepire il concetto di globalità: non più un processo industriale basato sulla creazione di contenuti unidimensionali fruibili da un pubblico a sua volta sempre più unidimensionale, ma l’idea di far confluire un numero illimitato di diversità (idee, talenti creativi, conoscenze tecniche, umanità) in un unico progetto. Oltre agli artisti rumeni (la comunità rumena d’immigrati è la più cospicua da queste parti) e ai volontari provenienti da tutto il mondo, all’organizzazione di Sferracavalli hanno contribuito, infatti, oltre alla direzione organizzativa e all’ufficio stampa, un responsabile dell’ambiente, un project and finance controller, un mediatore culturale e un esperto di progetti internazionali, che hanno lavorato in stretta collaborazione con imprenditori, commercianti e ristoratori locali. L’idea della rete, insomma, è alla base dell’intero progetto. «Tutti hanno capito che la collaborazione era un vantaggio collettivo. Anche perché da un piccolo esperimento compiuto lo scorso anno», raccontano gli organizzatori, «ci siamo resi conto che puntare solo sull’aspetto intellettuale del nostro teatro, non era la strategia giusta per bucare l’interesse della gente. Bisognava coinvolgerli sul piano umano, farli sentire importanti. Considerarli non solo semplici spettatori ma collaboratori».

Da qui l’idea di far incrociare artisti e persone, per invogliare la gente ad ascoltare cos’hanno da dire sul palco ragazzi che pochi minuti prima erano a tavola con loro. «Ci sono stati momenti commoventi, con picchi di generosità spontanea davvero notevoli. Piccoli gesti, ma importanti, come preparare panini per l’intera carovana o sbucciare ceste intere di fichi d’india da offrire agli ospiti del Festival. Se si considera che almeno il 50% degli spettatori di Sferracavalli hanno assistito per la prima volta a una rappresentazione teatrale, siamo davvero contenti». Sferracavalli è nato grazie a una collaborazione tra il comitato organizzativo e Principi Attivi, il bando di finanziamento della Regione Puglia per le iniziative culturali giovanili.

«Con la regione s’è creato un vero e proprio circolo virtuoso. Non è successo, come accade spesso, che il finanziamento sia stato erogato in automatico senza richiesta di riscontri, senza voler verificare realmente come il denaro veniva utilizzato. Il contatto tra noi e Principi Attivi è stato quotidiano, di grande lealtà e collaborazione, e sono stati attenti a tutte le nostre esigenze». Insieme si può fare di più, dunque. Un concetto talmente genetico nel paradigma di Sferracavalli, da diventare lo slogan della maglietta ufficiale del Festival. Un concetto semplice al punto da apparire quasi banale, ma incredibilmente rivoluzionario in tempi, per dirla alla Zizek, di universalità supergotica, in cui tutti, aderendo all’ideologia dominante del social network virtuale, operano sempre da soli.

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3 commenti

  1. E’ sorprendente registrare come e quanto, le idee, quando fresche e spontanee, se “non disturbate”, diventano belle e realizzabili, con risultati che vanno ben oltre le aspettative. Non sono mancate le difficoltà, del resto non potevano non esserci, anzi queste hanno reso l’esperienza ancora più esaltante. E’ il caso di cominciare da subito a pensare alla seconda edizione, facendo tesoro di tutto quanto realizzato e sapendo che ripetersi non è facile; le aspettative saranno maggiori.

  2. Originale via d’uscita all’overdose di taranta che imperversa in questi giorni.

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Autore

nicolalagioia@alice.it

Nicola Lagioia (Bari 1973), ha pubblicato i romanzi Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) (vincitore Premio lo Straniero), Occidente per principianti (vincitore premio Scanno, finalista premio Napoli), Riportando tutto a casa (vincitore premio Viareggio-Rčpaci, vincitore premio Vittorini, vincitore premio Volponi, vincitore premio SIAE-Sindacato scrittori) e La ferocia (vincitore del Premio Mondello e del Premio Strega 2015). È una delle voci di Pagina 3, la rassegna stampa culturale di Radio3. Nel 2016 è stato nominato direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino.

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