peter-brook

Qualche mese fa, Peter Brook inviò questo videomessaggio agli occupanti del Valle. Il riferimento alle elezioni italiane può essere datato, tutto il resto viene dal presente. Lo proponiamo ai lettori di minima&moralia perché crediamo nel suo valore educativo. Uno dei più noti registi teatrali a livello mondiale dice una cosa molto semplice: fare, in luogo di non fare. “Fare, in luogo di non avere fatto” è anche il verso di una celebre e da me molto amata poesia di Ezra Pound. Questa, non è vanità.

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10 commenti

  1. Grazie.
    Grazie al sostegno che da sempre avete avuto
    per la cosa difficile e meravigliosa che sta avvenendo al Teatro Valle.

  2. Mi domando cosa avreste detto se l’occupazione l’avesse fatta CasaPound… Peter Brook è per l’esattezza un virtuoso esempio di teatro privato, proprio ciò che contrastano gli sgangherati occupanti.

  3. da quando peter brook è un virtuoso esempio di teatro privato? cosa ha di privato il teatro di brook? quando mai gli sgangherati occupanti, che hanno appunto occupato un teatro proprio perché non smettesse di essere teatro e non per trasformarlo in un’altra cosa, sono andati contro brook? cosa c’entra casa pound col teatro?

  4. A Roma Casa Pound, a differenza del Teatro Valle, ha le sue alte porte di legno perennemente chiuse.

    Apertura, chiusura.

    Questo è sufficiente a spiegare che diverso rapporto intrattengono Casa Pound e il Teatro Valle con la città e la cittadinanza.

    Se Casa Pound avesse occupato un teatro, non avremmo visto gli spettacoli dei Motus o del Teatro delle Albe (che sono compagnie ormai di livello europeo e non solo) e di tante compagnie, musicisti, scrittori, artisti importanti ecc. che a Casa Pound non ci avrebbero mai messo piede.

    Diciamo che Casa Pound, prima di fare una cosa capace di coinvolgere così tanto la cittadinanza e gli artisti, dovrebbe fare tutto un percorso che non ha neanche cominciato a fare.

    Per dire quanto chiamare in causa questa ipotesi abbia tutto di ideologico e nulla di pratico. E oggi c’è bisogno più di buone pratiche che di esempi implausibili, a mio parere.
    Grazie per lo scambio.

  5. @Raimo

    non so se il grandissimo Peter Brook avrebbe mandato o no un messaggio a un teatro occupato da CasaPound, ma la domanda circa il vostro non del tutto disinteressato entusiasmo per questa sgangherata occupazione rimane intatta.

    @Tiziana

    il teatro di Peter Brook a Parigi, Théâtre Des Bouffes Du Nord, è un teatro privato, acquistato da lui e gestito dalla sua compagnia, no un teatro occupato…

    CasaPound ha prodotto negli scorsi anni manifesti ESTETICI, tipo questo http://www.ideodromocasapound.org/?p=674 ; così come ha più volte manifestato in nome di Carmelo Bene, arrivando a dichiarare di volerne prendere il nome. Dunque avrebbe tutte le carte in regola per occupare un teatro.

  6. Caro LM,
    le rispondo perché di solito leggo con interesse i suoi interventi in questi forum.
    Rispondo anche perché il post con il video di P. Brook l’ho messo io.
    E’ sconfortante per me che parli di “non disinteressato” entusiasmo. Io personalmente non conosco (nel senso che ci avrò scambiato poche parole, ma non so neanche quasi riconoscere le facce, il che è un mio difetto proprio storico che mi porta a fare stagionalmente brutte figure: non riconosco praticamente quasi nessuno con cui non abbia una frequentazione assidua; tipo ci devo aver cenato un paio di volte) gli occupanti del Valle. E ho frequentato il teatro fondamentalmente da spettatore. Una sola volta sola mi hanno chiamato a fare (gratis – normalmente mi faccio pagare anche abbastanza bene) un seminario di due ore sull’analisi dei testi letterari. Per inciso: non era una “serata” al Valle, ma un breve seminario pomeridiano per pochi interessati.
    Che interesse avrei, non lo so. Le illazioni mi infastidiscono. Farne però è farsi prendere da un meccanismo pavloviano in cui a volte casco, dunque capisco.
    E comunque, il meccanismo del Valle è stato per quello che ho visto in certi casi abbastanza inclusivo. Tanto che se avessi voluto partecipare di più alla sua vita, avrei potuto farlo. Dunque, in quel caso il mio elogio sarebbe stato interessato? E perché? Perché avrei usufruito di un’esperienza che ha nella partecipazione un suo riferimento?
    Comunque, ho visto begli spettacoli, al Valle occupato. Ho assistito a qualche assemblea. Mi è sembrato un posto vivo. Un luogo di incontro, di scambi interessanti (e altri magari meno, come in tanti luoghi, anche i migliori). In generale, però, il mio giudizio è assolutamente positivo. Un post di Raimo vs Battista di qualche giorno fa riassumeva a mio parere abbastanza bene la questione.
    Poi un’altra cosa non capisco. Il “grandissmo” Peter Brook (e con lui molti altri artisti di peso) rimane tale anche appoggiando l’esperienza del Valle? O una piccola parte di quel suo essere “grandissimo” lo porta ad avere un buon intuito, circa l’esito felice dell’esperienza?
    Un saluto. Grazie per essere intervenuto, come sempre.
    Nicola

  7. Caro Nicola Lagioia

    effettivamente l’equivocabile battuta me la potevo risparmiare. Mi riferivo a Luca Mastrantonio, che qualche giorno fa, in suo articolo sul Corriere http://roma.corriere.it/arte_e_cultura/13_ottobre_17/teatro-valle-senza-regolecorriere-web-nazionale-f6b9f3ee-36fb-11e3-ab57-6b6fcd48eb87.shtml parlava di Christian Raimo come garante dei COMUNARDI (ma si può dare credito a chi si definisce comunardo? Ci si può anche solo andare a bere una birra insieme senza sfotterlo?). E questo però è il punto: in molti, con più o meno enfasi, state facendo da garanti culturali all’occupazione del Valle; ma sapete cosa state garantendo? L’ottimo critico teatrale Nicola Fano dimostra che lo sanno poco gli stessi garanti giuridici http://www.succedeoggi.it/2013/10/le-balle-del-valle/ (di Nicola Fano suggerisco di leggere anche quest’altro articolo, STREPITOSO, che narra di un’occupazione mitica, quella del Théâtre de l’Odéon di Parigi http://www.succedeoggi.it/2013/09/gli-antenati-del-valle/ ).

    Solo un’altra cosa, se no vado troppo lungo e mi approfitto della vostra pazienza. Peter Brook è un grandissimo, ma è VILISSIMO utilizzare chiunque passi da te come fosse un tuo sostenitore (marketing della peggio specie; lo ha fatto anche Beppe Grillo coi grandi economisti, ma essi, una volta avvicinati, hanno dichiarato di non conoscerlo…); Brook – uguale a qualunque altro artista o intellettuale di peso – andrebbero semmai indicati come partecipi al processo di problematizzazione del Valle: come sappiamo lo è stato anche Goffredo Fofi, per niente entusiasta. E a proposito di grandissimi artisti lo è anche Riccardo Caporossi, che in un primo momento partecipò all’occupazione, ma che in questa lettera si dimostra abbastanza deluso http://www.succedeoggi.it/2013/10/il-sogno-del-valle/

    Insomma, Lagioia, partecipare alla vicenda è una cosa, enfatizzarla un’altra. Alcuni di voi tendete a enfatizzare (e a empatizzare, che brechtianamente parlando è anche peggio, trattandosi di teatro). Perché lo fate?

    Larry

  8. Caro Larry,
    io non credo di averlo enfatizzato più di tanto. E’ la prima cosa che scrivo sul Valle, per di più senza scrivere niente, mettendo un video di PB.
    Non generalizziamo. Qui a minima&moralia ognuno risponde e pensa per sé. Non siamo un partito. Abbiamo su molte cose opinioni diverse, e a differenza di tanti altri posti non ci facciamo problemi a metterle a confronto. Una prova recente per tutte, la stroncatura violenta di Raimo a “Gravity” che io e i miei colleghi selezionatori avevamo con Barbera preso per aprire Venezia (che è diverso dal Concorso o Orizzonti, nel senso che nell’apertura un elemento di spettacolarità e di allegerimento di solito ci sta). Il che poi non mi impedisce di andarmi a prendere la sera stessa con Raimo una birra e discuterne.
    Comunque. Le esperienze (almeno io faccio così) si difendono anche a seconda di chi le attacca.
    Se chi attacca è Pigi Battista (che di queste cose capisce poco e se ne vanta) difenderò sempre il Teatro Valle.
    Se chi avanza dubbi è Goffredo Fofi, allora difenderò (come feci) Fofi, che quando venne al Valle e polemizzò con alcuni occupanti (anzi, accadde paradossalmente il contrario) e aveva ragione lui.
    Cosa mi piace dell’occupazione del Valle.
    Innanzitutto, il fatto che grazie all’impegno e al sacrificio di alcune persone che (come dicevo) quasi non conosco per niente, ha continuato a vivere un teatro (uno storico teatro) che altrimenti non l’avrebbe fatto.
    Che a questo teatro ci si può andare per vedere Peter Brook, non gli Inti Illimani.
    Che mentre quando vado a vedere Peter Brook all’Argentina acquisto il biglietto, guardo lo spettacolo, me ne vado, quando andavo a vedere Peter Brook al Valle Occupato ci andavo tre ore prima perché sapevo che il Valle era un luogo d’incontro e di scambio permanente in attesa dello spettacolo. Ci si trovavano giornalisti, scrittori, musicisti, artisti, registi, ragazzi e ragazze appena arrivati a Roma, Andrea Camilleri che parlava di com’era il Valle negli anni 60 e 70, Gipi che stava girando a Cinecittà il suo film e Giordano Tedoldi (cioè quanto di più lontano dalla logica e soprattutto dall’estetica degli occupanti) che raccontava di una corrispondenza tra Schoenberg e Kandkinski. E a me pareva bello che ci fosse (ogni giorno) un luogo fisico in cui (in attesa, o col pretesto di uno spettacolo teatrale o musicale, di un reading, di un concerto, non di rado di buon livello) ci si potesse incontrare fuori dalle logiche (a mio parere sempre più tristi e inscherletrite) che regolano il normale automatico incontrarsi nei luoghi pubblici delle nostre città.

    Infine. Tutto è partito dal video di Peter Brook. Che io ho visto in ritardo, su Youtube, mentre stavo cercando del materiale sulla sua vecchia “Tempesta” degli anni Novanta. Ho visto questo videomessaggio. Mi è piaciuto molto. Mi sarebbe piaciuto anche se non si fosse rivolto al Valle, e probabilmente l’avrei messo ugualmente. Perché? Fare, in luogo di non fare. Perché, insomma, mi sembra un concetto che spezza l’incantesimo del piagnisteo che io non sopporto più. Anziché lamentarti (non ci sono soldi, non ci sono più gli anni Venti di una volta, gli anni Settanta, non ci sono più critici, teatri, compositori, scrittori, registi, case editrici ecc. ecc.) prova a fare qualcosa. Metti su una tua compagnia. Fonda una rivista, una casa editrice. Un teatro, una cantina. Venditi la casa di proprietà e fai il film che avevi sempre sognato e poi buttati al fiume se va male. Insomma, rovinati la vita in modo più dignitoso. Ecco perché mi aveva retoricamente molto colpito il video messaggio.
    Spero di aver soddisfatto la curiosità.
    A presto,
    Nicola

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Autore

nicolalagioia@alice.it

Nicola Lagioia (Bari 1973), ha pubblicato i romanzi Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) (vincitore Premio lo Straniero), Occidente per principianti (vincitore premio Scanno, finalista premio Napoli), Riportando tutto a casa (vincitore premio Viareggio-Rčpaci, vincitore premio Vittorini, vincitore premio Volponi, vincitore premio SIAE-Sindacato scrittori) e La ferocia (vincitore del Premio Mondello e del Premio Strega 2015). È una delle voci di Pagina 3, la rassegna stampa culturale di Radio3. Nel 2016 è stato nominato direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino.

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