di Simone Delle Grazie
Jonathan R. Eller è docente di Letteratura Inglese, critico letterario e direttore del Center for Ray Bradbury Studies presso la facoltà di Arti Liberali dell’Università dell’Indiana. Ha incontrato per la prima volta Ray Bradbury sul finire degli anni ‘80, instaurando con lui un rapporto di amicizia e di lavoro che è durato fino alla sopraggiunta morte di lui, nel 2012. I suoi libri più recenti includono la biografia in tre parti Becoming Ray Bradbury, Ray Bradbury Unbound e l’ultimo Bradbury Beyond Apollo (University of Illinois Press, 2020). Per i tipi Simon & Schuster si è occupato di introdurre e di allestire le ultime edizioni di Fahrenheit 451 e di Something Wicked This Way Comes. Tre dei suoi libri su Bradbury sono stati finalisti del premio LOCUS per i migliori titoli non-fiction nel campo del fantasy e della fantascienza. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto offrirci uno sguardo approfondito sull’autore, sulla sua fame di storie, sul ricorrere dei suoi echi nella letteratura, nel cinema, nel patrimonio collettivo. Abbiamo parlato di sogni e di realtà – in poche parole di fantascienza – in un anno che più fantascientifico non si può.
Lo scorso 22 agosto ricorreva il centenario di nascita di Ray Bradbury, uno dei più rilevanti e amati scrittori di fantascienza di sempre. Perché è così importante ricordare la sua figura? Qual è l’obiettivo del Centro Studi Ray Bradbury che lei dirige?
La narrazione magistrale di Ray Bradbury e il suo stile poetico lo hanno reso uno dei più conosciuti autori dei nostri tempi, in America e nel mondo. Il Centro Studi Ray Bradbury, di stanza nel campus della Indiana University di Indianapolis e precisamente all’interno della facoltà di Arti Liberali, è responsabile della conservazione degli archivi personali dello scrittore e dei suoi artefatti, dopo che questi sono stati traslati dalla sua casa losangelina al campus nel 2013, un anno dopo la sua scomparsa. Ci occupiamo quindi di curare la larga collezione di carte, manoscritti, lettere, premi, ricordi, libri e pubblicazioni su riviste, nonché adattamenti cinematografici e televisivi tratti dalle sue opere. La principale area espositiva del Centro Bradbury consiste nella ricostruzione fedele del suo ufficio domestico, arredato con le forniture originali: scaffali, macchine da scrivere, la sua personale libreria da lavoro. Il nostro obiettivo principale è stato quello di organizzare tutto quel materiale – un vero forziere delle meraviglie – e preservarlo con cura, così da renderlo fruibile a chiunque voglia visitare il Centro.
Detto questo, credo sia importante ricordare Bradbury per lo stile inconfondibile e la rilevanza che hanno tutt’oggi le sue storie, oniriche e al contempo ammonitrici sui pericoli del futuro. Per questo motivo la maggior parte dei suoi libri – in particolare Cronache marziane, L’uomo illustrato, Le auree mele del Sole, Fahrenheit 451, Paese d’ottobre, L’estate incantata, Il popolo dell’autunno – sono ancora stampati in tutto il mondo. I lettori restano fedeli a Bradbury e continuano a far circolare le sue opere anche tra le nuove generazioni. Si può infatti affermare che Bradbury, nonostante i radicali cambiamenti avvenuti nel modo di fare e concepire la fantascienza, rimanga uno dei più visionari indagatori di altri mondi, ed è centrale in quanto manifesto assoluto della libertà di immaginazione.
Quali sono i tratti peculiari che lo hanno reso unico nel panorama sci-fi? Che cosa lo distingue da un altro grande autore come Isaac Asimov, di cui ricorre anche quest’anno il centenario della nascita?
Bradbury, rispetto ai suoi colleghi, era sicuramente più interessato a esplorare il cuore umano e le sue contraddizioni, a cercare, in fondo a ogni storia, le emozioni che spingono gli esseri umani a compiere determinate scelte, e quindi a osservarli davanti a situazioni insolite o impreviste. Questa sensibilità, abbinata a un’analisi approfondita degli animi e dei suoi recessi, gli consentì di conoscere le persone molto meglio di quanto potessero fare la scienza e la tecnologia. Attraverso la fantascienza Bradbury ha potuto raccontare i drammi dell’umanità e i suoi sogni: la possibilità del viaggio spaziale, le sfide dello spazio-tempo, la prospettiva di vivere in altri mondi. I suoi amici Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, invece, hanno scritto da una prospettiva ben diversa, più scientifica, e hanno contribuito a definire ciò che oggi chiamiamo fantascienza. Per questo motivo alcuni critici hanno ritenuto che Bradbury non fosse veramente uno scrittore di science-fiction, anche se a ben vedere la popolarità delle sue storie ha fatto sì che il verbo della fantascienza si diffondesse al di fuori della stretta cerchia in cui era relegato, aprendo di fatto la strada a un successo planetario del genere e a un suo riconoscimento negli ambiti della cultura “alta”. In sostanza da Bradbury in poi la fantascienza smise di essere considerata un sottoprodotto culturale per entrare a pieno titolo nell’alveo della letteratura.
Le atmosfere sospese di Cronache Marziane, i risvolti oscuri presenti in Fahrenheit 451 e le ambientazioni surreali dei suoi racconti hanno influenzato moltissime generazioni di lettori. Qual è l’impatto che ancora oggi ha questo autore nella produzione letterario-cinematografica e nell’immaginario comune?
La stragrande maggioranza dei racconti di Bradbury sono avvolti in questa atmosfera meravigliosa, ma ciononostante riescono ad offrire un incredibile e tagliente senso di “alterità” che genera personaggi non convenzionali. I suoi racconti soprannaturali, ad esempio, non hanno come protagonisti fantasmi o mostri tipici, così come le sue storie di suspance non hanno assassini tipici; allo stesso modo le sue storie di fantascienza non presentano situazioni tipiche del genere – così come venivano rappresentate fino ad allora – ma sono a tutti gli effetti lo specchio della nostra realtà: proiettano il nostro mondo su altri pianeti, in altre dimensioni spaziali e temporali, consentendo al lettore di sognare e al contempo di osservare con occhio critico le reazioni dell’essere umano davanti alle proprie paure e ai propri limiti. Del resto fu lui stesso a dire che “la fantascienza finge di guardare dentro il futuro ma in realtà guarda il riflesso della verità che è davanti a noi”.
La sua scrittura, aggiungo, è molto visiva, e ha qualità nel parlato tali da essere molto adatte al cinema, alla televisione, al palco. Il suo lavoro è vivido, ricco di immagini, di conseguenza le sue storie restano facilmente impresse nella memoria del lettore e dello spettatore. Questo ha permesso negli anni molti adattamenti sul piccolo e sul grande schermo – lungometraggi, sceneggiati, diretti o interpretati talvolta da grandi nomi, tra i quali ci fu anche Alfred Hitchcock. Proprio Hitchcock, tra il 1985 e il 1992, è riuscito ad adattare 65 delle sue storie per il programma televisivo The Ray Bradbury Theatre. Per rimanere in Italia, invece, basterà ricordare il suo legame con Federico Fellini, che avvertiva una tale affinità con l’autore americano – soprattutto per il comune disprezzo nei confronti dei governi autoritari – tanto da arrivare a definirlo suo “gemello”. Questi sono i motivi per cui le storie di Bradbury sopravvivono ancora oggi. Nell’immaginario collettivo dei suoi lettori ci sarà sempre, ad esempio, la storia del bambino che riesce a portare in vita le creature selvagge appartenenti a un’altra realtà (The Veldt), o quella del safari di caccia a ritroso nel tempo in cui si scopre che la morte accidentale di una farfalla preistorica è in grado di alterare il corso del tempo (A sound of thunder), oppure ancora la vicenda del circense e dei suoi strani tatuaggi, capaci di raccontare le speranze e le paure di chi lo circonda (The illustrated man).
In un anno incredibile come quello attuale, abbiamo visto realizzarsi alcuni catastrofici scenari di tanta letteratura sci-fi. In questo senso, che ruolo ricopre la fantascienza nella lettura del presente? Bradbury credeva che senza conoscere il passato non si sarebbe potuto conoscere il futuro, dargli una forma. La sua infanzia è stata segnata dall’influenza spagnola che nel 1918-1919 ha colpito la sua famiglia, uccidendo suo fratello maggiore, suo zio e per poco anche sua madre – poco prima della sua nascita nel 1920 – e infine sua sorella minore, morta quando lui aveva solamente sette anni. Vicende che segnarono profondamente il giovane Bradbury. Da adulto racconterà che la maggior parte delle uscite che faceva con i propri genitori nel fine settimana, tra gli anni ‘20 e ‘30, fossero visite al cimitero.
Se in alcune parti del mondo queste terribili esperienze sono ancora all’ordine del giorno, la pandemia del 2020 ha riportato l’ombra della morte in quelle zone – nella cosiddetta “civiltà avanzata” – dove si era creata l’illusione che la morte fosse una cosa lontana, o quantomeno non così presente. Se Bradbury fosse vivo, oggi, ci avrebbe ricordato ancora una volta il terrificante potere dell’Invisibile, elemento imprescindibile nei suoi scritti e motore primo della nostra realtà. I suoi colleghi, perlomeno coloro che avevano un approccio scientifico alla scrittura, avrebbero sicuramente affrontato la faccenda con sguardo più empirico, tentando di risolvere (artisticamente) la questione con una indagine più approfondita sui misteri della vita biologica nel mondo. Non a caso le storie di molti illustri autori di fantascienza, contemporanei e non, ci aiutano spesso a comprendere le sfide del presente e a guardare con occhi diversi gli ostacoli del mondo reale.
Negli ultimi anni la fantascienza, scritta e filmata, sembra essere al centro di un importante revival. La narrazione distopica in particolare – coadiuvata dalle grandi produzioni Netflix e Amazon Prime – occupa buona parte della produzione artistica attuale. Si assiste infatti a una frequente rilettura in chiave politica di grandi autori (vedi il gran ritorno di Orwell, Dick e Ballard), e a una sua evidente espansione in termini di gusto di pubblico, nonostante da anni si vociferasse di una generale crisi del fantastico. Come vede questa ‘rinascita’? È segno di una nuova estetica che va configurandosi?
J.G. Ballard considerava Bradbury un talentuoso e raffinato autore, e Philip. K. Dick ammirava il suo approccio non convenzionale al genere. Bradbury non ha mai avuto modo di conoscere Orwell, che è morto quando Cronache marziane è stato dato alle stampe, mentre Aldous Huxley è stato suo amico e precoce estimatore. È da dire che Bradbury non si considerava uno scrittore-veggente, capace cioè di predire il futuro; credeva tuttalpiù di poter prefigurare alcuni scenari possibili, e rappresentò tali intuizioni, nella finzione narrativa, attraverso l’inversione delle normali convenzioni sociali. In Fahrenheit 451, ad esempio, i vigili del fuoco appiccano gli incendi anziché spegnerli. Nel racconto The Pedestrian, invece, la gioia di una passeggiata serale diviene sinonimo di libertà di pensiero e, in quanto tale, stigmatizzata in quanto comportamento atipico. Nel corso del racconto i pedoni vengono mano a mano sgomberati “per il bene comune” dalle macchine della polizia robot, cosicché tutti possano restare serenamente a casa a fare quello in cui riescono meglio: fissare lo schermo della propria tv. A quel punto però la struttura della città inizia a sfaldarsi, tanto da arrivare a sembrare un deserto senz’acqua (in questo senso The Pedestrian può essere considerato un precursore di Fahrenheit 451). Un evento come la persecuzione dei pedoni diviene per Bradbury un modo per metterci in guardia dalle facili promesse della politica, essere la spia di un deterioramento delle dinamiche sociali e addirittura segnalare l’avvento di un nuovo totalitarismo. Bradbury, come Aldous Huxley, era interessato alle questioni annose del tipo “chi osserva coloro che osservano?”. Molti autori di distopie, oggi, hanno rivitalizzato questo sottogenere, sollevando questioni fondamentali e sollecitando a riflessioni profonde sul nostro modo di vivere.
Quali sono gli autori di fantascienza contemporanei che secondo lei meritano attenzione per qualità di scrittura e brillantezza di visione, capaci cioè di raccontare il presente con sguardo innovativo e occhio critico?
Mi sento di consigliare gli scrittori statunitensi Greg Bear (autore di Darwin’s Radio e Darwin’s Children) e Mary Robinette Kowall, il canadese Robert J. Sawyer e l’autore di fantasy e fantascienza britannico Jasper Fforde. Quest’ultimo offre un buon esempio dell’odierna speculative fiction di stampo fantascientifico. I suoi libri più recenti, in particolare Shades of Gray e Early Riser, mettono in scena storie distopiche alternative che ricordano molto da vicino gli scenari catastrofici del nostro orizzonte conoscitivo, intrighi complessi che hanno al loro centro governi apparentemente progressisti che danno valore alla disinformazione mentre perseguono obiettivi di involuzione tecnologica. Hazards of Time Travel, un recente romanzo di Joyce Carol Oates, è ambientato in un futuro distopico in cui gli anticonformisti e tutti coloro che si oppongono al pensiero comune sono condannati a scontare la pena in un periodo storico al quale non appartengono, collocato di un secolo o più nel passato. I migliori romanzi distopici in circolazione, insomma, sono strutturati intorno a simili pattern, fatti di alterazioni storiche (futuri o passati alternativi) e viaggi nel tempo. Mi sembra di avvertire un buon fermento attorno a certe tematiche e ciò mi fa ben sperare sulla qualità della produzione futura.
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