Il quotidiano lavoro di privilegio in una realtà come quella di Fronte del Borgo, isola di gratuità nell’eccellenza holdeniana tale che a vantarsene si fa virtue signaling del genere più peloso e vieto (e a non citarla mai ci si chiede quanto castrarsi, quanto cattivismo simulare), pone spesso un tema ricorrente a chiunque lavori dentro o intorno alle aule: ha senso ragionare per target e generi, ancora? Come avvicinare la generazione… più liquida del tecnoliquido all’alfabetizzazione oltre le bolle sociali, oltre gli scollamenti di privilegio, appunto? Conversare con Francesca Di Martino è stato per me un input prezioso, in questo senso: chiarisce le idee e fornisce spunti insoliti. Vediamo quali.
Casa editrice indipendente a target giovanissimo e rilancio visionario, coraggioso, continuo: qual è la storia di Edizioni Piuma? Quando nasce, perché e in che maniera?
Hai presente com’è fatta la piuma della Fenice? Nessuno l’ha mai vista per davvero, il mito vuole che questa magica creatura bruci e rinasca dalle sue ceneri. Beh, prendo in prestito questa metafora per raccontare come, nel 2019, la casa editrice ha cambiato radicalmente identità. Dopo una falsa partenza, ho preso in mano l’azienda come unico responsabile. Ricordo di essermi domandata allo specchio che tipo di editore volevo diventare un giorno e la risposta era stata: un buon editore. Desiderio che si è tradotto in un lavoro lento, accurato e appassionato, ma soprattutto strutturato, che passava anche dal rispettare la creatività degli autori, oltre alla ricerca di contenuti di qualità da proporre al giovane pubblico, al quale avevo deciso di rivolgermi. Tra un cappuccino e una brioche al bar, mentre spiegavo ai futuri collaboratori il lavoro, era saltata fuori la frase: “Leggere è un’avventura a colori”. Ma certo!, dissi. Era esattamente l’idea che avevo in testa, tanto da diventare in seguito il motto ufficiale di Piuma. I colori sono diversi, ma si possono abbinare, si mettono insieme per creare nuove tonalità ed emozioni. Così i libri. Ogni storia è un mondo a sé stante da far arrivare al lettore nel migliore dei modi, con professionalità e qualità. Il mio grande amore per la letteratura fantascientifica, poi, mi ha portata a pubblicare una collana per ragazzi dedicata alla distopia. Volevo far conoscere loro un genere che riesce a tradurre ansie e domande attraverso la metafora, un filtro utile per questa generazione che sta affrontando catastrofi climatiche, pandemie e recrudescenze di comportamenti sociali. C’è molto lavoro da fare. Cerco di tenere le antenne ben sintonizzate, rispetto al continuo cambiamento della società, senza però mai dimenticare l’identità della casa editrice.
(Also, but on a separate note. Qual è il tuo percorso, prima di Piuma, e come ci sei arrivata?)
Facciamo un bel rewind. Mi trovavo all’Accademia di Belle Arti di Urbino, e mentre discutevo la tesi di laurea, proprio davanti alla commissione, pensai che non sarei mai diventata una buona scenografa. Avevo bisogno di studiare ancora su cosa significasse per me raccontare una storia, perché il mio chiodo fisso erano i libri, l’arte e Corto Maltese. Ho avuto la fortuna di frequentare la Scuola Holden, ai suoi inizi, ed è stata un’esperienza indimenticabile che mi ha portata a lavorare nel campo della televisione come autore televisivo per diversi anni. Poi ho iniziato il mestiere più bello di tutti, quello di mamma, e sono tornata a disegnare come illustratrice. Ma i tarli in testa sono tanti e lavorano incessantemente. In realtà cercavo più che altro di sperimentare, così ho iniziato a sviluppare delle app per bambini, un’opportunità per toccare con mano la trasformazione epocale della società dall’analogico al digitale. Durante quel periodo, Piuma era ancora una realtà artigianale. Un’estate, durante l’incontro con un artista palermitano, avevo scoperto dentro un cassetto delle tavole meravigliose sulla storia di Pinocchio. Beh, dissi, bisogna farne subito qualcosa. Da lì è partito il progetto di un’app per bambini e poi un picture book. Quell’estate avevo capito quanto volessi fare davvero il mestiere di editore.
Qual è la difficoltà più grande che incontri nel tuo lavoro, e quali le criticità più generiche che secondo la tua esperienza danneggiano il settore?
Grazie di aver posto questa domanda. Prima di tutto rappresento una casa editrice indipendente, e questo significa che Edizioni Piuma non fa parte di gruppi editoriali e all’anno pubblica pochi titoli. Il tipo di categoria impone ogni giorno un lavoro enorme per cercare di arrivare ai lettori, costantemente bombardati dalle novità. Per me, la prima difficoltà sta nella velocità. L’editore in genere ha una finestra temporale risicata per valorizzare le proprie offerte. C’è poco tempo, un anno circa, per far conoscere il libro al pubblico, sempre più stimolato dai social e dagli influencer. Sembra tanto un anno, ma non è così. I romanzi devono essere letti e digeriti per poi girare con il famoso tam tam. Il libro non ha una data di scadenza, ci vuole la storia giusta al momento giusto. Poi mi piacerebbe riscontrare maggiore attenzione da parte di chi recensisce libri nei riguardi dell’editore. È importante per me distinguerlo bene dagli editori a pagamento e dal self-publishing. Tante volte ho letto di recensioni di self-publishing con la dicitura: Editore indipendente. Niente di più fuorviante. Un editore indipendente si assume il rischio d’impresa, mette su una squadra, tra editor, grafico, correttore di bozze, ufficio stampa e traduttore (quando occorre), per produrre il libro e dare dignità alla storia che prenderà in mano il lettore. La filiera dell’editoria, come tutte le filiere, si sta rinnovando per aderire meglio ai cambiamenti tecnologici e sociali, come ad esempio il trend dell’acquisto online dei libri o l’esplosione di altri formati, tra ebook e audiolibro. I mercati sono aumentati e oggi la narrazione è diventata davvero trans-mediale, penso sia una bella opportunità. Per esempio ho pubblicato “Salis e l’equilibrio dei Regni” di Daniela Morelli, contenuto che è nato come un’app, poi un’opera teatrale, un romanzo e un audiolibro. Molto lavoro poi spetta all’opera dei librai, sono loro in prima linea a indirizzare le richieste dei lettori verso la scoperta di nuove letture. Ci sarebbero molti ragionamenti da fare sul libro di carta e sulla sua longevità, magari una volta ci prendiamo un caffè e ne parliamo ancora.
Comunicazione inclusiva, quanto ci costa! Voi di Piuma con che accezione leggete l’espressione e la mettete eventualmente in pratica, ora che “non si può più dire niente”? (E, a titolo puramente personale: è proprio vero che “non si può”?)
Comunicazione inclusiva… Oggi dovrebbe essere un tema talmente dato per scontato da non avere bisogno di tirarlo fuori. Insomma, se davvero si lavorasse dal punto di vista politico, scolastico e sociale a una formazione di qualità, che possa raggiungere tutti e non solo i più fortunati, quelli che possono studiare, probabilmente sarebbe più facile abbattere i muri. Se cresco un bambino abituato a riconoscere la società nella sua complessità, perché qualcuno ne ha parlato, raccontato o scritto, forse il bambino non sentirebbe più l’esigenza di denigrare il prossimo solo perché ha un modello di riferimento diverso dal suo. Se la società percorre la comunicazione della propria identità seguendo un flusso unico, dove si consolidano le voci in messaggi piatti sempre uguali, forse è il tipo di terreno in cui si perdono le opportunità di crescita. Se ci si apre verso “gli altri” si possono scoprire punti di vista diversi e nuove soluzioni per risolvere diversi problemi. Nel nostro piccolo, Edizioni Piuma ha iniziato un esperimento rivolto ai ragazzi stranieri che frequentano le scuole medie, che non hanno ancora padronanza della lingua italiana, per aprire più velocemente dialoghi con gli altri ed evitare ghettizzazioni.
Come accade in via periodica, torniamo collettivamente a interrogarci (e terrorizzarci) in merito al modo più efficace di proteggere i mini-umani dai consumi culturali che dovrebbero intrattenerli. Lo facciamo spesso in seguito a grosse ondate di indignazione male indirizzata e lasciamo che siano grandi penne a ragionarci su (qui, per esempio, la sempre ottima Lipperini elabora intorno alla psicosi Squid Game). Ma insomma: cosa devono fare, secondo te, le storie? Davvero devono limitarsi a essere edificanti e rassicuranti?
C’è un periodo in cui sono mamma e papà a leggere ad alta voce al proprio pargolo, quello è il momento in cui si forma il futuro lettore. Poi a me piace pensare che a un certo punto della crescita sia il bambino a scegliere le proprie storie in piena autonomia. Detto questo, io sono convinta che più si formi un buon lettore meno corra il rischio di trovare contenuti che lasciano il tempo che trovano. Se mettiamo a disposizione storie dove l’odore della realtà è edulcorato da messaggi che impigriscono la capacità critica allora abbiamo perso il treno. Se ci pensi bene tutta la tecnologia sta andando verso quella direzione, si riduce sempre di più la capacità di analizzare e scegliere, orientarsi. Il fatto di avere la pappa pronta non aiuta a crescere.
Età di letture consigliate, target e quant’altro: che ne pensi (cfr. Sergio Ruzzier qui)?
Una cosa che mi sta a cuore è cercare prima di tutto dei libri belli, interessanti e che siano scritti bene, per cui non mi preoccupo subito del target, perché ritengo che se il libro è buono piace sia a un adulto che a un bambino. Dopodiché ci sono delle considerazioni da fare. Una storia rivolta al pubblico giovane deve seguire degli accorgimenti importanti affinché i contenuti siano ben comunicati per l’età di riferimento. Un libro illustrato, pensato per i bambini molto piccoli, deve avere delle immagini più corrette per il target, colori piatti e forme più semplici per i piccolini. La percezione di un bambino di tre anni è ben diversa da quella di un bambino che ne ha otto. Il libro di grande formato diventa un’avventura da sfogliare. Un cartonato con le pagine arrotondate è più indicato per bambini davvero piccoli, perché si mettono il libro in bocca e anche i colori non devono essere tossici. Poi c’è la narrativa illustrata dove il testo ha una grandezza diversa rispetto a un romanzo per grandi. Il font deve essere leggibile, e in un prescolare dovrebbe avere i caratteri in maiuscolo, perché a scuola s’impara a riconoscere le lettere dell’alfabeto in maiuscolo. La cosa più importante è il contenuto. Si può raccontare di tutto ai bambini, ma con i giusti termini e nel modo più sincero, i ragazzi sono molto intelligenti e non si dovrebbero mai trattare come lettori di bocca buona e accontentarli grossolanamente. Munari, Lionni, Rodari hanno davvero insegnato molto a riguardo.
Il catalogo di Piuma non va in direzioni prevedibili, ultimamente. Cos’è e come nasce la nuova collana AKAbook, e perché è — non dirlo tu, lo dico io — un’idea-capolavoro?
Urca, andiamoci piano! Akabook è una collana che pensavo già da qualche anno. L’idea è quella di pubblicare storie accessibili per ragazzi stranieri di prima e seconda generazione che frequentano scuole Secondarie di Primo grado, per imparare in modo divertente la lingua italiana attraverso contenuti adatti alla loro età. Ho coinvolto l’autrice Benedetta Frezzotti che ha risposto con entusiasmo alla proposta sperimentale. Insieme all’apporto di alcuni linguisti, lei ha scritto una storia seguendo un metodo particolare, è stata attenta a comporre frasi brevi, con tempi verbali il più possibile al presente, usando parole semplici e di uso comune, considerando di volta in volta frasi idiomatiche, modi di dire che a noi possono sembrare banali ma a un individuo arrivato da un altro paese un po’ meno. Il design della pagina è stato sviluppato rispondendo alle esigenze del lettore che non doveva distrarsi troppo dalla narrazione. Così dopo un percorso lungo più di un anno è arrivato in libreria “S.O.N.O.” un romanzo che in realtà va bene a tutti, ma proprio a tutti! Ci tengo anche a dire che è un ebook accessibile a layout fluido, disponibile nel circuito di Mlol delle biblioteche, in modo che si possa prendere in prestito senza far gravare l’acquisto sulle famiglie.
Parlami di S.O.N.O. di Benedetta Frezzotti, il primo libro di AKAbook! Che libro è? E che libri dovranno essere quelli che gli faranno compagnia in collana?
“S.O.N.O.” è la storia al fulmicotone di un ragazzo che ha problemi di socializzazione a scuola. Si chiama Somchai e arriva dalla Thailandia, non ha amici e si rifugia nei videogame. Qualcosa però di strano accade in città. Iniziano a sparire dei ragazzi, proprio come il nostro protagonista. Sulle sue tracce si mette un gruppo di detective sui generis: il compagno di classe Mohamed, l’amico Omar e l’anziana vicina di Aicha. Da solo, però, il trio non basta a risolvere il mistero della sua scomparsa. Per salvare Somchai e gli altri, servirà anche l’aiuto di Himani, una giovane modellatrice 3d, appassionata di fumetti, complice involontaria del misterioso rapitore…. La tensione aumenta fino a quando si scopre qualcosa di davvero pericoloso. Ma non faccio spoiler.
Riguardo alle prossime storie, stiamo cercando nuovi romanzi, l’unica difficoltà è quella di fare un esercizio di stile nel cercare di seguire i parametri per rendere la lettura alla portata dei nostri lettori.
Grazie di cuore. Possiamo solo augurare al progetto vita lunghissima e un’indie-pendenza autentica, duratura. Sarà che, da mini-umani, da creature in formazione, pare sempre che con le piume, quelle d’oca almeno, si possano raccontare storie indimenticabili; con quelle di fenice, posto che sia davvero un animale diversamente esistente, probabilmente la parabola di rinascita è inclusa nell’arco di trasformazione dei personaggi. E non è poco.
Domitilla Pirro è nata a maggio del 1985 e crede che le parole portino fortuna. È giornalista pubblicista iscritta all’Ordine di Roma e direttrice creatività&sviluppo di Fronte del Borgo della Scuola Holden di Torino. Con Sote’ ha vinto la quinta edizione del concorso letterario 8×8; suoi racconti sono usciti su Repubblica, Linus, abbiamo le prove. Con Francesco Gallo progetta Merende Selvagge e La Fionda Factory, ventaglio di offerte narrative per umani di varie dimensioni. Con Sara Benedetti insegna il Buco Nel Cervello, piano di riprogrammazione di genere.
È docente del laboratorio di scrittura creativa per donne operate organizzato dalla Susan G. Komen Italia e la Scuola Holden.
È in debito eterno verso Marcello Fois, suo docente di Racconto&Romanzo durante il biennio in storytelling, che l’ha assistita nella stesura del primo romanzo. Sarebbe pure laureata in Legge, ma fa finta di no.
