Pubblichiamo, ringraziando autore ed editore, un estratto da “Il libro bolañano dei morti” di Piero Cipriano, uscito per Milieu Edizioni.

di Piero Cipriano

Gli dei diventano malattie

Alcune notti fa ho fatto un sogno in cui sono in SPDC, in forma ibrida, mezzo ricoverato mezzo dottore, nel senso che sto lì, ho il mio letto, sono ricoverato ma non uno grave, sono uno tranquillo, e però i miei colleghi sanno e io pure lo so che sono ancora uno di loro, conservo cioè il mio ruolo di psichiatra pur essendo ricoverato. Negli ultimi tempi, in effetti, mi capita di vedere molti ricoverati come fossero degli dei caduti o venuti apposta nel buco-nero-reparto-psichiatrico come in missione, per guarirmi, svegliarmi, come nel film di Michael Cimino (Sunchaser), in cui il sedicenne navajo patricida rapisce il chirurgo per portarlo su una montagna mistica e aprirgli gli occhi. Stanotte rifaccio il solito sogno in cui sono come Pan mezzo uomo mezzo fauno. Sono in ospedale stavolta (l’altra volta, come altre volte, ero al mio paese, l’ultima volta con mia figlia). Ho indosso un maglioncino di quelli di risulta che si danno ai pazienti quando non hanno abiti di ricambio, attaccato alla vita per coprirmi la parte di sotto da fauno ho una felpa, di quelle blu, con il simbolo di Superman, che io non ho mai posseduto, a dire il vero, ma mia figlia, la grande sì, la felpa era sua, ma l’ha data a sua sorella piccola, ancora lei, allora era ancora lei con me? Dunque, accompagnato da mia figlia piccola andavo nel pronto soccorso, ero Pan e cercavo, in uno dei mobili del pronto soccorso, un pantalone da mettermi per coprire il sotto, ma aprendo il mobile non trovo un pantalone ma un libro, un libro scritto da un altro psichiatra, libro però che io avevo avuto anni prima, ci avevo scritto sopra cose mie, poi l’avevo abbandonato o riconsegnato al proprietario, lo psichiatra che ora è lì, nel pronto soccorso, eccolo, ci salutiamo, sembra Enrico Pascal, lo psichiatra ottuagenario che ho incontrato qualche mese fa a Collegno, il grande vecchio della psichiatria, o ero forse io, quel vecchio? Io da vecchio? Io tra tot anni?

*

Ieri giorno intero in ospedale. Di buono il colloquio con Angelo. Dice quando ero in quel periodo lì vedevo Marte e Venere (due statuine) poi la voce di Zeus. Un flash mob, tutti erano venuti per me. Andiamo al bar, un caffè per lui, viene anche la psicologa. Perché mi è successo? Provo a spiegargli. Vedi Angelo, noi di solito abbiamo una coscienza normale, ordinaria, dove vediamo questa realtà. In alcuni casi, per droghe, mancanza di sonno, stress, altro, la coscienza diventa straordinaria, una iper coscienza, si allarga, diventiamo iper percettivi, tutto ha significato, se normalmente cammini per strada e non ti curi delle persone, manco le vedi assorbito come sei a pensare ai fatti tuoi, in quei momenti iper percettivi le persone come se le vedessi tutte, una per una, le loro facce, la loro mimica, i movimenti labiali, riesci perfino a indovinargli i pensieri, hai la sensazione di essere diventato telepatico, e dunque pensi di poter parlare con loro col pensiero, e altri super poteri, per cui se hai i super poteri di senti dio, ecco che sei dio. Esatto! Dice, era proprio così.

Ecco il senso di una giornata intera in ospedale. Ogni tanto rispondo a una mail. C’è uno psicologo marchigiano, invasato coi miei libri, mi sta assillando di telefonate in reparto. Gli ho risposto che non ho voglia di fare un carteggio con lui sulla psichiatria basagliana, deve essere un rompiscatole, lo sento. Ho illuso un po’ di persone, con questa storia dei riluttanti, mi sa.

Poi sono andato a parlare con la professoressa di tedesco di Zina, dice è timida, penso hai scassato il cazzo con questa solfa, invece me ne esco con la solfa junghiana degli introversi che ci avranno pure loro il diritto di stare al mondo senza per forza dover fare i cazzoni. Lei mi dà ragione, dice in effetti, con quella classe di indisciplinati e maleducati, dico allora lo vedi che fa bene lei? Che dovrebbe fare? diventare finta estroversa caciarona pure lei? Si snaturerebbe, sembrerebbe una caricatura, se ne accorgerebbero che è la brutta copia di un’estroversa. Tira quei denti da coniglio per fare un sorriso, stretta di mano, addio.

*

Stamane senso alla mattina di lavoro solo la passeggiata con Angelo. Siamo agli sgoccioli, mercoledì prossimo esce. Un altro di questi illuminati, trappolati nel buco nero degli dei, il dedalo psichiatrico dove lavoro ormai da dodici anni. Andiamo al bar. Caffè di caffeina lui e d’orzo io. Sento in questi giorni di non aver bisogno di molto caffè. Anzi. Più caffè è controproducente. Come sta?, mi dice. Oggi la vedo un po’ stanco. Parliamo di universi, piccoli e grandi mentre giriamo lo zucchero. Pensa se un granello di sabbia del deserto del Sahara fosse un intero universo, e pensa se il nostro universo fosse un granello di sabbia di un deserto di un pianetino di un altro universo più grande. Mi guarda e fa un’espressione per dire non farmici pensare. Lo dico io: non ci si può pensare a una cosa del genere. Secondo me a pensarci troppo si esce pazzi, continuo ancora io. Ci portiamo verso il reparto. Ci sediamo alla panchina prima di entrare nella porta chiusa. Parliamo dei giganti. Che ne sa dei giganti? Io sto leggendo, proprio in questi giorni Il mattino dei maghi, ma tu? Ho visto dei documentari, fa. Secondo me siamo un esperimento, di esseri intelligenti. Come se lo spiega in questo secolo tutta questa velocità di progresso? E i dischi volanti che hanno cominciato ad avvistare? Secondo me ne vedremo delle belle, fa. Lo guardo. La sensazione che sia uno che – ecco la sua follia, quello che banalmente noi chiamiamo follia – ha le antenne per intuire cose. Dice, poi ci sarebbe un altro fatto, ma se glielo dico, mi sa che non mi dimette più. Ma sì, gli dico, lo so che hai altre cose, in testa, l’importante è stare con un piede in questa realtà e l’altro piede in quella, ti sei ricoverato perché stavi con tutti e due i piedi di là. Eri Zeus Venere e Marte insieme, ci hai messo un mese per venirne fuori. La sensazione, dice, che mi accompagna da almeno tre anni, di essere in un Truman Show. Dico capita a molti. Pure a lei? Sì. Ma dura poco. Ma lei ci crede? Più che altro credo che siamo non lei, non io, ma tutti, in un Truman Show. Alcuni a volte hanno questa sensazione. Tu. Io. E stanno qui, uno di fronte all’altro, uno psichiatra e uno psichiatrizzato, come due filosofi peripatetici, tra il dedalo e il bar, che ne parlano. Come lo psichiatra e l’internato del reparto 6 di Cechov. E si vogliono bene. Questo è ciò che mi è chiaro. Che questi due esseri umani che la vita ha fatto conoscere in questa circostanza, si stanno volendo bene. Vorrebbero anche vedersi, fuori. Infatti, gli dico, poi lasciami l’indirizzo della pizzeria dove andrai a lavorare, che mi vengo a mangiare la tua pizza special. Ride.

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