Cominciamo da qualche mese fa.
Quattro giorni prima di Natale 2011 vengo invitato da un gruppo di amici sardi o giù di lì (i fratelli Soriga e Giovanni Peresson) a leggere un mio racconto sul Natale in un appuntamento ormai rituale che si chiama Natale Acido. Leggere pezzi inediti scritti sul Natale, racconti corrosivi, comici, roba così. Ci siamo io, Celestino Tabasso, Vins Gallico, Paola Soriga, Fabio Viola, mia sorella Veronica Raimo, Claudio Morici, Francesco Pacifico, Melissa Panarello, Flavio Soriga; i giornalisti Alessandro Mazzarelli, Daniela Amenta, Giuseppe Rizzo; il cantautore Giovanni Peresson. La cosa quest’anno si svolge a un locale di San Lorenzo che si chiama Le Mura, ci divertiamo molto, i racconti che vengono letti sono molto belli, alcuni scrittori tipo Morici o Flavio Soriga sono dei performer proprio bravi, c’è un sacco di gente. Bello, insomma, come dire, nonostante sia un reading. I Soriga e Peresson lo organizzano ormai da qualche anno, replicando anche a San Valentino con una cosa che si chiama Amori Acidi.

Per il giorno dopo Chiara Valerio e Carlo Carabba mi hanno invitato a leggere un racconto alla Casa delle Letterature per una cosa chiamata Natale Natale, che è l’appuntamento della Casa delle Letterature orgnaizza ormai da qualche anno per gli auguri natalizi. Titubo se andarci, le ultime volte alla CDL mi sono trovato sempre in un ambiente freddo, poco interessato a quello che si leggeva, distratto, istituzionale nel senso peggiore del termine. Ma decido di andarci uguale, mi fido di Carabba e Valerio, che sono due persone che stimo e hanno chiamato scrittori che stimo per fare le letture, da Paolo Sortino a Matteo Nucci a Lidia Riviello, poeti e narratori. Nella saletta dove si fanno le letture, me lo dovevo aspettare, non c’è una bella atmosfera. La maggior parte della gente sbicchiera negli altri spazi dove ci sono esposte alcune opere di Edith Schloss e c’è stato un aperitivo offerto. Non c’è molta gente a sentirci, i poeti timidi riescono a malapena a ottenere un ascolto decente, Maria Ida Gaeta si siede a ascoltare distrattamente quando il tutto è già iniziato da un pezzo. Mi sento, come al solito, come molte altre volte, a disagio. Leggo il mio racconto il meglio possibile, sono l’ultimo, il piccolo pubblico ride, applaude, faccio gli auguri, e poi chiedo un minuto per dire una cosa.

Dico questo: che nell’ultimo periodo a Roma sono successe moltissime cose nell’ambito della piccola comunità letteraria. Festival organizzati dal basso come Mal di Libri, iniziative di promozione alla lettura come Piccoli Maestri, una manifestazione alla biblioteca nazionale, le serate di 8 x 8 pensate da Oblique, le letture nelle case di Citofonare interno 7, etc… Ne enumero una ventina di cose che mi sembrano siano significative che sono successe recentemente a Roma, e mi chiedo e chiedo espressamente a Maria Ida Gaeta perché lei non partecipa mai a tutti questi eventi, o perché almeno io non la vedo mai.
MIG mi risponde in pubblico che almeno a metà ho ragione: mi dice che conosce molte di queste cose, ma mi confessa che la Casa delle Letterature anche nel suo menage normale è un impegno gravoso, mi chiede perché non la invitiamo quando facciamo queste cose. Io le rispondo: neanche a me m’invitano, m’informo, lo so da internet, sono cose che m’interessano. Chiacchieramo ancora e alla fine decidiamo che è meglio vederci e discutere con calma di queste cose.
Ci sentiamo qualche giorno dopo, lei mi chiede se mi va di parlare anche con qualche altro scrittore di possibili iniziative da fare insieme. Io le rispondo che vorrei che fosse un incontro allargato il più possibile: scrivo una mail allargata a quante più persone conosco che lavorano coi libri in città (librai, scrittori, editori, redattori, bibliotecari, etc…) e riusciamo a incontrarci dopo Natale alla Casa delle Letterature.
Ossia, il 18 gennaio. Alle cinque di un giorno feriale, ma siamo una cinquantina se non di più.
Maria Ida Gaeta ci accoglie dicendo che questa, la Casa delle Letterature, è casa nostra e ci racconta come è nata e come si è sviluppata. Ci racconta anche come è nato e come si è sviluppato il Festival delle Letterature, ossia quel Massenzio che lei gestisce fin dalla prima edizione. Noi attraverso varie mail ci siamo messi d’accordo prima nel farle alcune domande e alcune proposte.
La prima domanda è sul budget della Casa delle Letterature. Ci piacerebbe, le diciamo, organizzare varie cose qui, ma se non sappiamo se ci sono dei soldi da spendere, magari è inutile fare proposte velleitarie. MIG ci dà delle informazioni molto utili, ossia: di stanziamento ordinario annuale per il programma culturale non c’è ormai nulla. Ci sono solo i soldi per il mantenimento del posto (bollette, stipendi dei dipendenti…). E allora, come si fanno le iniziative?, chiediamo. MIG risponde che ognuna è una tantum. Se abbiamo un progetto, chessò una giornata sullo scrittore XY con la partecipazione di WZ e JK, glielo portiamo a lei, lei lo rigira a Mario Defacqz che lavora all’Assessorato alla cultura, che a sua volta chiede il placet di Dino Gasperini, assessore alla cultura. Tutto, pare di capire, passa attraverso questo tripla approvazione. Ci rimaniamo male. Davvero è impossibile cambiare questo metodo?
Poi le chiediamo se sarebbe comunque disposta a pensare, vista la qualità e la quantità delle energie che sono disponibili a Roma da parte di scrittori editori etc…, a immaginare qualche tipo di gestione condivisa del programma culturale della Casa delle Letterature, cerando di rendere organica – pur nella scarsità di fondi – una consulta, un’assemblea partecipata che dia espressione alle idee della comunità letteraria, una cosa così. Ci risponde no grazie.
Le chiediamo allora del Festival delle Letterature. Lì ci sono un po’ di soldi? Pare di sì. Quanti? Pare 300.000, 400.000 euro l’anno. Allora chiediamo se una cosa del genere, una gestione condivisa del programma, in modo da tesaurizzare le varie esperienze che vengono dal territorio, potrebbe essere applicata al Festival delle Letterature. Lei ci risponde no grazie.
Le chiediamo l’ultima cosa: di fare delle assemblee in cui ritrovarci tra scrittori, redattori, librai, etc… a discutere di politiche culturali lì alla Casa delle Letterature. Ci risponde di no. Ci dice che lei è dispostissima a parlare di politica ma non lì. La invitassimo altrove.
Ce ne andiamo un po’ delusi, ma con le idee chiare, la sensazione che alla Casa delle Letterature siamo comunque ospiti, anche graditi ma ospiti. E che il Festival delle Letterature è una creatura che viene pensata e gestita esclusivamente da lei. Sic.
Passa un mesetto. E Maria Ida Gaeta mi richiama per invitarmi a partecipare come scrittore a una giornata dedicata a Primo Levi, organizzata in occasione del Simposio internazionale su Levi. “Ti va di leggere qualche paginetta di Levi? La tua pagina preferita”. Tutto il discorso, franco e gentile ma evidentemente anticollaborativo, del 18 gennaio pare essere dimenticato, neutralizzato. Le rispondo, come al solito a disagio, di sì. Ma appena riattacco ci ripenso. E chiamo alcune delle persone che lei mi ha detto avrebbero partecipato all’iniziativa, persone che stimo come Marco Belpoliti (curatore delle opere di Levi) e Andrea Cortellessa. Avete detto sì anche voi?, chiedo. Sì, mi rispondono. E perché?, chiedono. Per cortesia, e per rispetto a altre persone che partecipano al convegno.
Ma perché mi chiedo e gli chiedo dobbiamo fare tutto questo per cortesia? Quando la nostra idea di letteratura è altra, quando proprio per commemorare uno scrittore come Levi l’ultima cosa che ci viene da provare è la cortesia o il non sapere dire no.
Decido di non partecipare. Come me fanno altri. La lettura degli scrittori in calce al convegno salta.
Mi dispiace, ma stiamo cercando di ragionare mi dico su cosa vuol dire la politica culturale di una città.
Con Andrea Cortellessa decidiamo che proprio per questo non è giusto far sembrare tutto questo un semplice e un po’ borioso boicottaggio. Pensiamo di organizzare un’iniziativa su Primo Levi come ci sarebbe piaciuto che fosse. Uno sciopero al contrario, ci diciamo, citando Danilo Dolci. Chiediamo allora a storici, critici letterari, attori, scrittori di partecipare non come ospiti, come scrittori-on-call, ma di condividere lo spirito di un’iniziativa dal basso che partendo da Levi ragioni anche su cosa vuol dire oggi commemorare uno scrittore in una città come Roma, dove muore un partigiano come Bentivegna e consiglieri comunali abbandonano l’aula al momento della commemorazione, e dove negli stessi giorni viene invitato in neofascista Franco Freda a presentare un suo libro in Campidoglio.

Il 5 maggio ci vediamo al Teatro Valle, con questo programma, cercando di pensare in modo problematico questo tipo di evento. Levi diciamo si pone come una ferita nel dibattito storico, nel contesto letterario. La stessa questione della memoria, in una città lacerata come Roma, in un contesto in cui quelli che David Bidussa chiama “ultimi testimoni” stanno morendo, come si rideclina? Ad attori, scrittori, critici, musicisti, chiediamo la stessa problematicità. Di condividere non solo una paginetta, ma un ragionamento. Di pensarsi politicamente, evitando gli impossibili neutralismi.
Le persone che intervegono accettano e riconoscono la diversità e l’efficacia dell’impostazione, che chiede un coinvolgimento non solo formale.
Alla luce di tutto questo oggi mi veniva da riformulare a Maria Ida Gaeta le domande che le ponevo il 18 maggio insieme alle altre cinquanta persone.
Ossia: accetta una condivisione della programmazione della Casa elle Letterature, in cui anche la parte decisionale possa essere delegata? Accetta che nel progettare il Festival delle Letterature dell’anno prossimo ci sia un piccolo gruppo e non una persona sola, ridimensionando questo ruolo di unica persona decidente che ha tenuto per più di dieci anni? Accetta di trasformare la Casa delle Letterature in un luogo dove si discute anche di politica culturale, un luogo aperto a tutta la cittadinanza, vivo, sempre frequentato, realmente pulsante, attento a quello che si muove anche oltre le mura storiche, non una casa sfitta come oggi si presenta, o da affittare per le presentazioni? (Su questo MIG è stata chiara ma fino a un certo punto, dicendo che la CDL è un posto disponibile gratuitamente per le presentazione, a patto di pagare – questo mi pare di aver capito – il tecnico che si occupa dell’amplificazione e qualcun altro per l’eventuale straordinario se c’è uno sforamento d’orario; quindi non è gratuito?) Può pensare di svincolare il suo nome dalla Casa delle Letterature e dal Festival di Massenzio; o le sembra – questa è una domanda che le poneva mia sorella e che io riprendo cercando di eliminare qualsiasi tono provocatorio – normale occupare due ruoli pubblici così centrali in una città come Roma per tredici anni senza nessun desiderio di ricambio?
E, domanda delle domande, meta-domanda direi, non è più bello in generale se uno vuole pensare la politica culturale di una città, immaginare che sia un processo collegiale, più partecipato possibile, responsabilizzante, con un coinvolgimento dei cittadini (non solo pensati come spettatori, come utenti passivi quindi) dal basso anche nella progettazione degli eventi, e non un dispositivo gerarchico, spesso condizionato da altri soggetti, che siano partiti o assessori anche questi poco attenti all’ascolto?

Cordialmente (ossia, etimologicamente, di cuore)
Christian Raimo

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29 commenti

  1. Questa lettera arriva opportuna anche perché arriva alla vigilia del peggior festival di Massenzio della sua storia.

  2. Christian, con tutte le remore dovute all’essenza pigra e di rappresentanza che ha lo spazio CdL a Roma, e al fatto che 400mila euro per Massenzio sono uno spreco immane che ha senso solo in un’ottica veltroniana, cioè d’immagine, della cultura, condivido il contenuto della lettera aperta e la trovo sobriamente speranzosa.
    Vorrei anche aggiungere che un boicottaggio non deve per forza essere semplice né borioso, può anche essere necessario.

  3. Anche se mi trovo a 1000 km. di distanza, non posso che essere d’accordo con il pensiero della tua lettera. La gestione della CDL è SEMPRE stata così, da quando io organizzavo gli eventi con mf. Leggo che è anche peggiorata. E sinceramente, 400mila euro per Massenzio di quest’anno mi sembra uno spreco, che in questo periodo la cultura non può permettersi

  4. senza nessuna polemica, un paio di constatazioni dettate dal personale “sentire”.
    alla riga numero 6 mi sembra interessante l’analisi psico-sociale di quel “Ci siamo io, ecc…”
    come potete anche solo immaginare che chi ha un potere e un lavoro ve lo ceda? E perché chi legge non dovrebbe pensare ( e lo pensa) che vogliate sostituire un regno con un’oligarchia?
    Perché la fine ( lo dice l’analisi storica) sarebbe comunque quella.

  5. nonostante quanto sopra concordo con l’analisi negativa, anzi negativissima, della gestione della CDL. Riflettiamo su propositi e animo umano

  6. @Gianni Nel frattempo Raimo e co. hanno organizzato aggratis una cosa come la bellissima serata (aggratis) al Teatro Valle dedicata a Primo Levi. Con un’apertura tra l’altro rara in altri ambiti – per dire, c’erano anche intellettuali di destra come Tedoldi, che peraltro ha fatto una lettura bellissima.

    Per non dire di tutte le altre occasioni incontri manifestazioni culturali (sempre aggratisse) orgnizzate negli ultimi mesi.

    Non felicitarsi per ciò che di buono si è fatto (e offerto) senza ottenere alcun guadagno materiale (anzi, rimettendoci i soldi che non si hanno più) e criticare preventivamente ciò che non si è fatto ancora e magari mai si farà: mi sembra una forma mentale di una tristezza e un nichilismo non irreversibile. Senza polemica, però che brutto.

  7. Mi sembra chiarissimo che non mi voglio proporre né voglio proporre persone, ma piuttosto un metodo di decisione collegiale, di turnazione, di diffusione sull’intera città

  8. chiedo scusa, soprattutto a christian, né mai lo ho pensato come chi si propone. riferivo soltanto di quanto può essere possibile leggere nella, fra l’altro condivisibile, lettera aperta. Ma evidentemente chi è parte di quel “ci siamo” non è in grado di farlo, né può avere la stessa sensibilità di “chi non c’è”. Voleva solo essere proposta di discussione. Non importa. Chiedo ancora scusa.

  9. Io invece a uno come Raimo un incarico glielo darei per quanto sta dimostrando di saper fare sul campo.

    Ma perché quelli che si dimostrano bravi a fare una cosa (ancor più se in un’ottica inclusiva, trasparente e democratica) non devono essere messi nelle condizioni di farla rispetto agli altri?

    Come in Sardegna si danno incarichi a Fois e Michela Murgia, che infatti sono bravissimi a organizzare un festival come quello di Gavoi.

    Come lo darei a Cortellessa, un incarico, per la trasparenza e l’onestà intellettuale che ci mette ma con preghiera, nel caso, di dare visibilità anche alle cose di qualità che non gli piacciono, visto che sono tante ma anche quelle che piacciono spesso a me e a molti come me.

    Come mai e poi mai lo darei a una come Gilda Policastro, per la violenza spesso inutile dimostrata sul campo.

    Come lo darei a uno come Gianluigi Simonetti, se non fosse così pigro.

    Come lo darei a uno come Emiliano Morreale o Alessandro Leogrande e ovviamente ancor più a uno come il super meritorio Goffredo Fofi.

    Come non lo darei mai a un Filippo La Porta, la cui dota rara, anzi direi unica, soprannaturale, è riuscire nelle sue recensioni a sbagliare cinque nomi su tre.
    Come lo darei a Valeria Parrella, che a Napoli organizza un festival bellissimo aggratis, come lo darei ad Andrea Carbone di due punti a Sara Ventroni (Se non ora quando) a quelli di 404 o a Santoni a Firenze e a tutti coloro che da anni si fanno un mazzo tanto non soltando veicolando e organizzando ma spesso addirittura PRODUCENDO roba di qualità mentre i mediocri o divenuti tali ricevono timoni istituzionali.

    Ma che cazzo, che cazzo, davvero!

  10. la discussione voleva essere più generale e tutt’altro che un’accusa ai tuoi comportamenti. Quel “ci siamo”, non riguarda i presenti alla sera x, ma tutti i “ci siamo” del mondo e quanto la sensazione dell’esistenza di quei “ci siamo” provoca in quelli che “non ci sono”.
    Complimenti per la calma olimpica con cui mi hai risposto. Rileggendo il mio primo commento forse non me la meritavo. Non meritavo neanche l’accusa di nichilismo, tristezza e bruttezza, ma All About è stato troppo impulsivo, spero ci rifletta su.

  11. Caro Gianni,
    forse sono stato impulsivo. E il mio rimprovero riguarda sempre il peccato e mai il (presunto) peccatore. Non credo che tu sia triste e nichilista ma il tuo messaggio sì. Cioè, davvero: mettiti nei panni di questi qua (io li ho visti all’opera più volte) che in condizioni precarie si stanno sobbarcando tutta questa fatica. Io ho sempre paura che i commenti come il tuo possano spezzare le gambe a chi già fa fatica. E avrebbe bisogno d’incoraggiamento, non di insinuazioni. E’ uno sport vecchissimo (a Céline i malati che curava gratis gli sputavano in faccia perché ritenevano che questa sua forma di militanza – erano malati poveri – togliesse rispetto a lui per primo) che in Rete è definitivamente strabordato.
    Cioè. Perché invece di andare ad aspettare il ministro della Cultura fuori da Montecitoro fate le insinuazioni su Raimo? Ve lo dico io. Perché Raimo (e quelli come lui) vi risponde. Perché soprattutto è inoffensivo (per chi lo sbertuccia) almeno quanto è utile alla collettività (piccola o meno, la sua parte insomma la fa). Però è il bersaglio sbagliato, anche a livello di semplice insinuazione. Allora raccogliete l’energia di 10.000 insinuazioni e andate, una volta, a bussare alla porta del ministro.
    Davvero, così ci facciamo solo del male. E’ la lotta fratricida uno dei nostri mali. Mi accaloravo così tanto perché mi dispiacevo così tanto. Tutto qui.

  12. non sono insinuazioni e men che meno personali. Però è evidente che non sono stato capace di farmi capire o di far capire quanto avrei voluto che fosse discusso. Colpa mia.
    Buona serata

  13. @Michele Saulle

    caro Michele, forse una precisazione alla tua generosa affermazione secondo cui è Valeria Parrella che organizza un bellissimo festival a Napoli, del tutto gratuito (il riferimento naturalmente è a “Un’Altra Galassia”) vale anche come risposta al bel post di Christian, e alla sua domanda: “Accetta che nel progettare il Festival delle Letterature dell’anno prossimo ci sia un piccolo gruppo e non una persona sola, ridimensionando questo ruolo di unica persona decidente che ha tenuto per più di dieci anni?”

    A organizzare “Un’Altra Galassia” siamo in sei (Valeria Parrella, Pier Luigi Razzano, Rossella Milone, Francesco Raiola, Massimiliano Virgilio e io), ci siamo trovati un finanziatore unico e privato, uno speleologo che lavora nel centro storico e che è titolare di “Napoli Sotterranea”: non prendiamo un SOLO CENT di soldi pubblici, ci mettiamo da noi a piegare le brochure col programma (quest’anno abbiamo esagerato e ne abbiamo stampate 5mila…già si preannunciano sindromi da tunnel carpale per tutti i piegatori), facciamo gli incontri – completamente gratuiti per il pubblico, come ricordavi -nei chiostri e nei refettori delle chiese del centro storico; andiamo a bussare alle porte de librai del centro che si occupano dei book corner e dei rifornimenti dei libri per i lettori; i nostri amici, le fidanzate, i cugini e chiunque abbia voglia di farlo si improvvisano guardiani, guide, infopoint umani; e quando si avvicina il fine settimana individuato per la manifestazione, ci attacchiamo ai siti del meteo sperando nel bel tempo.

    A proposito, che fate, dal 18 al 20 maggio prossimi venturi? A Napoli c’è un bel fine settimana zeppo di scrittori e scrittrici bravissimi (e pure col sole e il caldo)

    Piero Sorrentino

  14. Chiedo scusa a Sorrentino per non aver citato anche lui e gli altri – così come Gavoi non è certo solo Murgia e Fois, sono quelli che conosco. E a ogni modo bravissimi, la cosa è bella e meritoria e ancora scusa.

    E però è tremendo che tutto debba essere fatto in supplenza del pubblico, con sponsor privati (bene) o rimettendoci di tasca propria (malissimo). Dico tremendo perché in Italia si paga un fracco di tasse, e dunque da qualche parte devono rientrare, no?

  15. @ Michele Saulle

    Nessun bisogno di chiedere scusa: per quale motivo? Ci mancherebbe. Era solo che mi sembrava che quella piccola precisazione fosse un modo per raccogliere una delle sollecitazioni, e delle preoccupazioni, del pezzo di Christian.

    Quanto alla supplenza del pubblico, è un discorso LUNGHISSIMO, e che ci porterebbe a una notte infestata di umori e pensieri pessimisti. Questo post comunque mi sembra molto, molto centrato, soprattutto nella parte delle domande. E chi lo sa, forse iniziando a farci buone domande, come in questo caso, ci troveremo un giorno pure con delle buone risposte. Un saluto, e grazie a nome di tutti per i complimenti.

  16. Raimo è sincero ma è molto ingenuo, quasi infantile. prepara un buon apparato critico e poi fa un attacco scompaginato e spuntato. come il capobanda delle elementari che vuole, col suo spirito incorregibilmente gregario, l’autorizzazione dalla maestra a giocare a palla. il suo testo denota, oltre che una carenza di stile piuttosto vistosa per uno che di mestiere vorrebbe scrivere, anche una totale cecità dei meccanismi che regolano la “cosa pubblica”. un mio amico sa far bene di conto, potrebbe andare a chiedere al ministro dell’economia di fargli gestire collegialmente il ministero, insieme ai suoi cari compagni di bevute. ma fatemi il piacere. fate tenerezza.

  17. Mah… intanto a colpi di ingenuità e competenze qui si stanno facendo un sacco di cose. Teatro Valle. RomaMemoria. Tq. BibliotecaNazionale. Kino ecc. Si stanno facendo cose nella realtà, intendo, e questo è già prendersi uno spazio, anzi inventarlo. Uno spazio reale. Pulsar solo in rete.

  18. Mah. Per come la vedo io, 400.000 euro per organizzare il Festival delle Letterature a Roma sono anche pochi. Il punto è come li si usa.
    Quello che mi lascia perplesso della lettera di Raimo (che alla fine è condivisibile come è condivisibile qualunque generica proposta di miglioramento di una cosa x) è proprio l’insistere sui dati numerici:
    400.000 euro = troppi (v. anche commento di Fabio Viola);
    10 anni (addirittura riportato nel titolo del post) = troppi;
    tanti = meglio di uno.
    Ma è sempre così? Se una persona è capace (*) mi auguro che ricopra il suo ruolo per tutta la vita. Se il collegio è incapace meglio che ci sia uno solo capace che decida. Mi sembra che tutto questo ragionamento soffra di un’egemonia del metodo sul risultato. Quasi che certi criteri fossero più importanti dei risultati.
    Se non conoscessi lo spessore di Raimo attraverso le altre cose che di lui ho letto, penserei che quanto espresso in questo post sia figlio di quel pensiero qualunquista per cui “un politico giovane è a prescindere migliore di un politico anziano”.
    E poi francamente non capisco questa fissazione del prendere possesso della CDL quando, come dice All About nel suo commento, si stanno comunque facendo un sacco di cose.
    Quelli che non erano d’accordo con l’impostazione del festival di Sanremo hanno fondato il Club Tenco, non sono mica andati a occupare l’Ariston.

    (*) per chiarezza: non sono mai stato alla CDL, non so nulla di MIG, non so neanche che faccia abbia.

  19. Pulsar, non sono d’accordo sulla tua idea di dibattito pubblico, come tu non sei d’accordo sulla prassi. Sono volutamente ingenuo. Mi pongo come cittadino delle domande ingenue: è possibile che un progetto culturale che abbia interesse pubblico debba passare per tre gradi di approvazione personale che non sono stati eletti da me e su cui io non ho alcuna possibilità di intervento? Io penso ci sia stata una disaffezione rispetto alla politica che ha implicato una gestione privatista della politica culturale.

    Quello che cerco di portare a dibattito non un discorso ad hoc o ad personam. Ma la CDL è un caso studio. Non sto giudicando la competenza o l’incompetenza di MIG. Lo potrei fare ma renderei il discorso più debole perché personale. Sto rivendicando tre cose:
    1) la possibilità di partecipazione della comunità culturale alla politica culturale (istituzionale, pubblica, comunale) della città
    2) l’idea che Roma è una metropoli, che va da Tor Pagnotta a Palamarola e la CDL non può chiudersi in un cerchio minimo, disinteressandosi agli aspetti sociali di una politica culturale.
    3) l’esigenza di ripensare le istituzioni come luoghi dove sia possibile anche un agorà politica.

  20. Federico, cerco di essere ancora più chiaro. La mia non è una critica né moralistica, né legalitaria, né personale, etc…
    Vorrei a. trasparenza sulle decisioni, b. possibilità di condivisione e cogestione, c. possibilità di valutazione pubblica delle politiche culturali

  21. Non so se Raimo è ingenuo. Anzi, direi che non lo è affatto: sa bene che sta facendo spazio ai suoi interessi (uso la parola in senso positivo, ma inevitabilmente e non ipocritamente parlo anche dei suoi interessi personali o generazionali), che sono quelli di diffondere contenuti a suo modo di vedere più importanti di altri, proponendo una revisione delle forme organizzative attraverso le quali essi vengono divulgati. Infatti parla di trasparenza, cogestione, valutazione pubblica ecc. Parla da operatore della cultura (non capisco chi glielo faccia fare di degradarsi così, dato che è uno scrittore, vale a dire un artista… fatti suoi). Da operatore della cultura, in ogni caso, secondo me sbaglia. Perché non tiene conto che sono tutti termini sociologici che hanno portato e sempre più porteranno a un drastico abbassamento del livello dei contenuti, perché tanto più larga è la partecipazione alle decisioni sui contenuti tanto più bassa dovrà essere la loro forma, in modo da far accedere ad essi quanti più partecipanti possibile. Più o meno quello che avviene nei centri sociali, che in trenta anni di attività hanno prodotto poco o nulla in termini di nuove forme organizzative, comunicative e artistiche, favorendo così, paradossalmente, le tendenze del mercato che sembrano voler combattere.

    Le cose nuove sono sempre avvenute perché uomini con idee (e forme) nuove ne hanno favorito l’avvento, imponendole ai loro sistemi di riferimento, editoria, accademia, arte, politica ecc., che insieme formano la comunità culturale – sulla quale Raimo e compagni stanno da tempo tentando una sorta di legittima OPA, offerta pubblica di acquisto, attraverso varie iniziative in parte qui elencate. Ma l’OPA è prematura. Bisogna prima inventare una forma organizzativa che liquidi le vecchie, che le affronti e le riduca in brandelli (di solito avviene così con le avanguardie, compresa l’ultima italiana, il gruppo 63, che produsse spazi per i propri componenti in tutti gli ambiti, dalla tv, all’editoria, all’accademia, alle istituzioni artistiche, al mercato dell’arte ecc). Inutile far finta che il cosiddetto mondo della cultura, senza un forte trauma, agisca a favore del rinnovamento delle discipline umanistiche e artistiche che contiene (la scienza pare fare strada a sé…), perché esso, stando così le cose, agisce principalmente a favore del proprio mero vivacchiare. In ogni caso inutile far finta che laddove esso è controllato dalle pubbliche istituzioni le cose avvengono prima di tutto per finalità propagandistiche (festival del cinema di Roma ecc), MAANCHE clientelari: si ha così a che fare con nominati e cooptati, a volte da vincitori di concorsi truccati (pare ci sia una vicenda esemplare, in questo senso, alla cineteca comunale di Bologna). Lo stesso, che il mondo accademico è fatto principalmente di concorsi truccati e cooptazione non lo scopro io. Ci sono poi i patentati da ‘O sistema editoriale, che forse non completamente a torto si ritengono più puri e meritevoli degli altri (dando però ragione al mercato, e al liberismo più o meno neo che lo contiene…). Ci sono infine quelli che premono dal basso, che cercano in definitiva di esaltare i loro contenuti facendoli ascendere su fantasmagorici macchinari ideologici (Teatro Valle prima di tutti).

    Ho fatto questa breve analisi perché vorrei che Raimo, ma in definitiva tutti noi, ci dicessimo a viso aperto che in questo coacervo di nominati, cooptati, clienti, patentati, tribuni della plebe ecc, ognuno rappresenta legittimi interessi, ma nessuno può ritenersi innocente, perché partecipa volente o nolente a una lotta di dominio che prima di tutto è nemica della disinteressata conoscenza e delle libere espressioni (non tanto perché ciò mortifica i singoli meno protetti – ché pure loro, evidentemente, tendono a mettere in campo dall’esterno le loro forme di dominio, sottraendosi prima di tutto dalla (de)pressione dal basso, fatta assurdamente da componenti di élites non ancora riconosciute in nome dell’assente popolo, che infatti della cultura, impacchettata così, non ne vuole sapere…). Nessuno può ritenersi innocente, dobbiamo dircelo, perché la lotta per il dominio, se non cosciente e in qualche modo regolata, che vuol dire finalmente violenta, tende ad accomunare tutti, a schiacciare verso burocratici valori pseudosociali la produzione di arte e pensiero (sempre in funzione del consenso e del mercato…), al fine di autolegittimarsi e autoriprodursi. Insomma, se si vuole davvero INCIDERE bisogna inventare e imporre qualcosa di nuovo, soprattutto forme che riescano a mettere fuori gioco l’imperare dei contenuti. Oppure accontentarsi di vivacchiare, essecchiare, cercando o mantenendo il proprio posto al sole, il più possibile all’ombra (Lec) del social-mercato.

  22. Ho letto una frase bellissima, diceva così: “Non ho niente da perdere. Eppure riesco comunque a perdere qualcosa”. Ecco, non sono un critico, non faccio l’intellettuale, non scrivo saggi. Non ho potere, né un microfono, a differenza di te (ed è per questo che da te io mi aspetto il massimo, il meglio, tu che puoi). Faccio altro, il giornalista. Seguo, vado, sono curioso, a volte ci sto, a volte no. Quando avevo più tempo libero per davvero e anche da sprecare andavo ovunque a roma (per anni al redivivo Filmstudio ci ho visto solo Borgna, e nessun altro viso che conosco), ora un po’ meno, ma il tempo non solo si è ridotto, si è anche raffinato nelle scelte (sennò i famosi strumenti culturali a che servirebbero?mica possiamo ragionare sempre in termini di neofiti e proselitismo). Sono stato spesso un semplice spettatore di massenzio così come della casa delle letterature. Poi sono diventato uno spettatore professionista ma cerco di conservare sempre quell’asprezza delle aspettative da spettatore.

    Mi sono ritrovato inserito nella lettera inviata al dirigente del comune di roma Maria Ida Gaeta, anche se non avevo dato il mio assenso. Te lo dico con sincerità, di quest’altra lettera non convince il tono garbato e il riempirla di nomi per renderla ecumenica non fa che rendermi ancora più diffidente. I rapporti personali sono una cosa, quelli istituzionali un’altra. mischiarli non mi sembra giusto né onesto.

    Anche la sensazione di disagio verso il freddo ambiente della casa delle letterature mi sembra strumentale, lo scrivi ora in quanto diretto interessato, ma non lo avevi avvertito prima come spettatore neutrale, altrimenti ti saresti accorto che quel clima festoso di tanti ma tanti anni fa è passato e molte iniziative soffrono di freddezza congenita; vuoi per i relatori, vuoi per le proposte (ma la Gaeta c’entra poco, il materiale umano è questo, e nessuno vuole cercarne altro), vuoi soprattutto per il posto da raggiungere e gli orari.

    quanto all’assenza della Gaeta a “eventi” come citofonare interno 7 (avevo ragione tempo a fa a dirti che li avresti usati come esempio di vivacità culturale romana), potrei dire la stessa cosa di tanti intellettuali romani che non si incontrano mai a eventi di fotografia, televisione e persino cinema. per non parlare poi di musica. e hanno la presunzione di sentirsi migliori e più importanti della Gaeta.

    ma c’è un punto che mi rattrista di questa lettera e che mi ha fatto incontrare quella frase iniziale, la sensazione di perdere qualcosa anche se non conto nulla.
    È la volontà di condividere ora il retrofront alle “risposte di cortesia” date per anni alle iniziative culturali. Mi rattrista perché se si parla di un decennio di impero, non è nato mica ieri. e allora valeva la pena da tempo esigere rigore da tutti, contestando scelte da semplice fruitore, disertando appuntamenti con altrettanto garbo con cui si è scritta la lettera. In una parola: pretendere di più, ma dirlo, senza accumulare riserve mentali. Senza dire di sì a prescindere perchè addetti ai lavori.

    Ma è sempre prevalsa una logica diversa, guai a dire di no, il cui corollario è che l’importante è che qualcosa si muova, di qualsiasi tipo. Ecco perché contesto il portare come esempio piccole iniziative di quartiere, estemporanee da underground romano, come contraltare a massenzio o alla casa delle letterature.

    Anche leggendo la tua “smentita” -Mi sembra chiarissimo che non mi voglio proporre né voglio proporre persone, ma piuttosto un metodo di decisione collegiale, di turnazione, di diffusione sull’intera città- ho l’impressione che la frase iniziale “non ho niente da perdere eppure riesco comunque a perdere qualcosa” non venga scalfita, anzi.

    Continuo a perdere qualcosa perché un ragionamento simile in realtà mi esclude perchè mi rendo conto che è diventato impossibile essere uno spettatore appassionato e disinteressato. O si tace per garbo diplomatico, o si chiede tra le righe di partecipare. Ma lo spettatore, il pubblico che fine fanno?

  23. D’accordo su tutta la linea con Raimo.
    Volevo focalizzare il punto su un altro aspetto, la bellezza di quel posto e la storia che vi è dietro, una storia nata grazie all’altezza di un ideale, grazie ad un’intellettuale che ci ha lasciato i suoi libri per amore della cultura.
    Io lo sento ancora il respiro di questa idea che veleggia di sottofondo mentre attraverso i lunghi corridoi e l’accogliente giardino.
    Sento anche il bisogno che sente Raimo e la stessa necessità di sentirsi più partecipi dei processi culturali cittadini.
    Non è un caso che la rassegna su Levi alla fine si sia svolta al Teatro Valle.
    Un teatro che sta dando una svolta ,che sostenta la sua lunga occupazione e le cambia forma in fondazione gridando lo slogan :Teatro Valle bene comune!
    Perché la cultura è di tutti e alle volte si sente la necessità di riprenderci quello che è nostro.
    Qualche mese fa mi è capitato di assistere ad un convegno presentato dalla, simpaticissima, signora Gaeta sui giovani e l’imprenditoria…Bhè non ci crederete ma la signora esordì, davanti ad una platea di ragazzi più o meno possibilisti, dicendo che i fondi per la creazione di imprese che arrivano dalla Comunità Europea non vengono utilizzati per l’80% perché i giovani italiani hanno paura di mettersi in gioco….
    Paura!!!Anche questo ho dovuto sentire…..
    E pensare che mi basterebbero giusti giusti i fondi per il Festival delle Letterature di quest’anno…
    Ah… a proposito alla cerimonia d’apertura di quest’anno ci sarà anche Ambra!!!
    Che simpatica la signora Gaeta.
    Aurora

  24. Sono due ruoli: conduzione della CDL e direzione del Festival. il primo è un incarico, e la pubblica utilità dell’entità non è automaticamente commissariabile né si può rivendicare una collegialità gestionale. Quello che si può fare, attraverso istituzioni come la Commissione Consiliare della Cultura, è declinare una specie di contratto di servizio, una flessione verso il miglioramento della pubblica fruizione. Impresa già ardua con soggetti parapubblici come il Parco della Musica. Poi il Festival è una iniziativa speciale per la quale c’è un capocordata, che è la CDL. Sottoposta a vincoli di credibilità e di economicità, ma non è come un qualsiasi servizio pubblico, come trasporti o rifiuti. Un Festival ha una proprietà/paternità culturale – discutibile – ma non necessariamente collettivizabile. Si può imprecare sullo speco di risorse – 400 mila euro è un budget da esibire orgogliosamente, visto l’evento – sul programma, le zanzare e il costo dei rinfreschi, ma non si dovrebbe cannibalizzare un evento consolidato, ma costruirne uno nuovo, e non necessariamente alternativo. Approfittando della diffidenza profonda che oggi hanno gli sponsor privati nei confronti degli eventi troppo vicini alle – traditrici e incostanti – istituzioni.

  25. Caro Christian, grazie di tutto. oltre all’incompetenza, quando si tratta di CDL e della sua direttrice ci sarebbero gli estremi per parlare di corruzione, peculato e nepotismo. si dà lavoro agli amici. e non solo. sono sicuro che avrai modo di sapere chi è il giovane figlio “artista” della direttrice e a quanti progetti, compreso massenzio, partecipa, pagato con fior di soldi pubblici per non fare nulla.
    chiedi in giro e ne vedrai delle belle.
    roba da cacciarli a calci nel culo e restituire finalmente un importante polo culturale ai cittadini.

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Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

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