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Pubblichiamo la postfazione di Tiziana Lo Porto al libro Atti di sottomissione di Megan Nolan, uscito per NN editore, che ringraziamo.

Anni di esperienza e decine di libri tradotti mi hanno insegnato che le storie che preferisco tradurre sono le storie vere, possibilmente raccontate in prima persona, e dunque memoir, autofiction e ogni altra forma di autobiografia. Non perché siano i libri che più amo leggere, né perché siano più facili da tradurre delle storie di finzione, spesso non lo sono.

La mia predilezione ha anche poco a che fare con la qualità del libro in traduzione o con il risultato del lavoro fatto (le preferisco ma non è detto che le traduca meglio), e dura solo il tempo della traduzione, tempo sacro in cui mi è richiesto di uscire dalla mia testa e di trascorrere un po’ di ore al giorno per qualche mese dentro la testa di un’altra persona, di entrare nelle storie che ha vissuto, di provare i sentimenti che ha provato, a prescindere da quanto dolorosi e poco lineari siano.

Proprio della non linearità Megan Nolan fa virtù in questo libro, che è anche il suo esordio ed è autobiografico, rivendicando il diritto di ogni essere umano di pensarla diversamente dagli altri e anche da se stessi, di perseguire un obiettivo (sentimentale o di altro genere) solo fino a quando è coerente con il proprio desiderio, con ciò che si vuole veramente, e poi di lasciarlo andare non perché si è trovato di meglio (un altro uomo, un’altra donna, o semplicemente dell’altro da fare) ma perché si è smesso di desiderarlo.

Nel suo bel saggio-memoir King Kong Theory, la scrittrice francese Virginie Despentes anni fa raccontò come nel recensire il film da lei tratto dal suo stesso romanzo Scopami, un critico ebbe a citare il regista Jean Renoir e quel suo dire che “i film dovrebbero essere fatti da donne carine che mostrano cose carine”. Per tutta risposta, la Despentes scrisse un nuovo romanzo con protagoniste due gemelle che nel corso della storia fanno cose difficilmente definibili carine e lo titolò Les Jolies Choses, “le cose carine”.

In Atti di sottomissione, Nolan racconta episodi della propria vita che includono sesso violento e voluto, sesso violento non voluto, sesso al limite del consensuale, sesso non consensuale, stupro, dipendenza da alcol, terrorismo psicologico e altre cose non carine, accadute prevalentemente a lei. La particolarità della Nolan, e una delle ragioni per cui ho amato il suo libro e trascorrere un momento della mia vita dentro la sua testa, è che nel raccontare questi episodi non vuole né cerca la solidarietà di nessuno, soprattutto non vuole fare banda con nessuno.

Giovane adesso che il libro è ultimato e in libreria (è nata nel 1990), giovanissima quando le accadono suddetti episodi, ha la saggezza di chi non vuole essere rassicurato dall’apprendere che quanto gli è successo è successo anche ad altri, ma vuole essere rispettato per quella diversità che avverte tra se stesso e il mondo, consapevole che, brutte o belle che siano le nostre esperienze, sono comunque nostre, ci definiscono, ci rendono chi siamo.

Quando è nel torto, e sa di esserlo, Megan Nolan non chiede scusa, non si giustifica, non vive con senso di colpa gli errori commessi, nemmeno li considera errori. Più di ogni altra cosa evita la trappola del vittimismo, fugge ogni scorciatoia che potrebbe rendere il suo libro apprezzabile per mera solidarietà verso la storia, o per affinità di genere (quello femminile). Il risultato è che il suo libro funziona perché la forma non rincorre il contenuto ma le tiene testa. Funziona perché è un bel libro e non solo una bella storia da raccontare.

Da traduttrice mi sono interrogata sul contesto (geografico e dunque anche sociale) in cui la traduzione di Atti di sottomissione sarebbe approdata: l’Italia e non la Gran Bretagna. Mi sono chiesta se il lettore italiano avrebbe avuto una sensibilità diversa rispetto a certe tematiche, in primis la libertà sessuale di una donna intesa non come libertinaggio ma come libertà di scelta, includendo anche quella di non scegliere e di lasciare che sia il partner a scegliere, di desiderare il desiderio dell’altro, di poter vivere l’eccitazione che si prova nel sentirsi vuoti e in balìa di un’altra persona. Non so quale sia la risposta e non credo sia unica, credo piuttosto che in Italia come in Gran Bretagna ci sarà chi riconoscerà in Megan Nolan una piccola o grande parte di sé, e chi si ritroverà disturbato ma attratto dalla diversità o forse dall’inaspettata familiarità della vicenda.

Personalmente, mettendomi alla consueta giusta distanza che stabilisce un traduttore da se stesso quando intraprende l’opera del restituire in un’altra lingua la voce di qualcun altro, ho guardato alla vita di Megan Nolan con quell’ammirazione e quel rispetto con cui da ragazza guardavo alle vite delle eroine dei classici della letteratura, col batticuore laddove la giovane autrice era in pericolo, temendo più per le ferite dell’anima che per quelle inflitte al corpo, consapevole che niente di quello che le accadeva veniva vissuto per essere raccontato, ignorando fino alla fine che della propria vita ed esperienza ne avrebbe fatto un libro.

Da ragazza, quando avevo più o meno l’età che ha Megan Nolan per gran parte del libro, avevo l’abitudine di sedermi a un tavolo, uno qualunque, ogni volta che le cose si mettevano male e mi succedeva qualcosa di brutto, e di scrivere cercando una forma, prosa o poesia che fosse, che rendesse bello il brutto. E con bello non intendo il carino auspicato da Renoir, ma potente, valido, capace di intrappolare e trasmettere il sentimento che provavo in quel momento, qualunque esso fosse. Per tradurre questo libro ho fatto più o meno così, mi sono seduta a un tavolo e mi sono messa in ascolto, cercando il sentimento insieme alla parola, facendomene carico per poi lasciarlo sulla pagina, per restituire al lettore, qui e in italiano, la vita di una ragazza di nome Megan Nolan per come lei stessa l’ha raccontata. Spero di esserci riuscita.

 

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Autore

tizianaloporto@minimaetmoralia.it

È nata a Bolzano e ha vissuto ad Algeri e Palermo. Abita tra Roma e New York, dove traduce e scrive di libri, cinema e fumetti per La Repubblica, Il venerdì e D. Ha tradotto, tra gli altri, Charles Bukowski, Tom Wolfe, Jacques Derrida, A.M. Homes, Douglas Coupland, James Franco, Lillian Roxon e Lena Dunham, e ha tradotto e curato la nuova edizione italiana di Jim entra nel campo di basket di Jim Carroll (minimum fax, 2012). Insieme a Daniele Marotta è autrice del graphic novel Superzelda. La vita disegnata di Zelda Fitzgerald (minimum fax, 2011), pubblicato anche in Spagna, Sudamerica, Stati Uniti, Canada e Francia.

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