
Il poeta italiano Corrado Costa ha scritto: «e fai appena a tempo / appena dopo un lampo / a ricordarti della luce». Costa materializza l’istante davanti ai nostri occhi, la luce è accaduta, ma è accaduta per via del lampo, è stata rapida, e – senza correre il rischio di essere banali – fulminante. In quella velocità tutto è accaduto però, tutto quello che poteva succedere sarà successo, e – allo stesso tempo – ogni cosa che avrebbe potuto accadere non è accaduta, o è (ac)caduta di sfuggita: sfiorandoci, ferendoci, attraversandoci come un ricordo fuori luogo e tempo, come una coltellata ricevuta di striscio, un moto di fantasia, un pensiero laterale, il transito di tutto quanto il nostro immaginario.
Questi tre versi mi accompagnano da molto tempo, spiegano anche molto bene la sintesi della poesia, e mi sono tornati in mente dopo la lettura delle prime pagine di Ieri di Juan Emar, edito da Safarà e tradotto magistralmente da Bruno Arpaia; notevole anche l’introduzione scritta da Alejandro Zambra.
Ieri mattina, qui nella città di San Agustín de Tango, ho visto, finalmente, lo spettacolo che tanto desideravo vedere: ghigliottinare un individuo.
Juan Emar è lo pseudonimo dello scrittore e critico d’arte cileno Álvaro Yañez Bianchi, nato a Santiago del Cile e vissuto tra il 1893 e il 1964. Pubblicò tra il 1935 e il 1937 quattro libri che suscitarono stupore e scandalo tra critici e circoli letterari. Emar stupì la comunità del suo tempo, che non seppe vederlo, sentirlo, capirlo, come ci tocca dire spesso quando vengono riscoperti grandi scrittrici o scrittori: era troppo avanti. Oggi viene riscoperto e apprezzato, considerato uno dei più grandi scrittori cileni del Novecento. Scherzava, a suo modo, Bolaño: «[…] lo scrittore cileno che più di tutti somiglia al milite ignoto».
Emar è stato visionario, geniale, sperimentale, portatore sano di fantasia e di linguaggio, leggerlo è un vero godimento. Si ha l’impressione che scienza, filosofia, pensiero e umorismo siano confluiti nelle pagine. È sempre una questione di sguardo, bisogna solo capire lo scrittore fino a che punto è capace di spingerlo, bisogna vedere se noi lettori siamo all’altezza. Bisogna abbandonarsi e concentrarsi ed entrambe sono due maniere di lasciarsi andare. E il lasciarsi andare ha – nel campo letterario – come naturale conseguenza il ritrovarsi.
In effetti, gli invisibili erano lì.
Torniamo alla luce e al lampo di Corrado Costa ed entriamo in Ieri. La voce narrante mette in fila una serie di fatti accaduti ieri, sostiene. Fatti a cui assiste, partecipa e vive insieme alla moglie. Tra questi fatti, un uomo viene ghigliottinato nella pubblica piazza, per un motivo assurdo. Diremo qui cose come assurdo, insolito o strano, per non indugiare nella descrizione delle scene per non privare la lettrice o il lettore del naturale stupore. Più tardi, allo zoo, si noterà un episodio tra uno struzzo e una leonessa. Marito e moglie faranno di seguito visita a un pittore, e ci sarà tutto un discorso tra il verde e il rosso e la loro complementarità. Poi un pranzo e una cena allo stesso ristorante. Una strana visita ai parenti. Una tisana, una pisciata e una mosca.
Infine, il ritorno a casa. Tutto si svolge nella città di Sant Agustín de Tango, luogo inventato – al pari della Santa María di Juan Carlos Onetti – e in quanto tale generatore di vicende assurde che lì paiono naturali; paesaggio capace di accogliere mondi paralleli, terzi (shakespiriani o no) pensieri, ragionamenti profondi sul nulla. Nulla in grado di ergere cattedrali che ballano in luogo di quello che comunemente consideriamo il tutto.
Le cose succedono così, signori miei. Non soltanto per poeti e compagnia.
Il protagonista vive questi fatti e poi scivola in una sorta di altra dimensione che lo porta a rielaborare la giornata, il famoso ieri, cercando una chiave, uno spiraglio – la luce di Corrado Costa – l’inafferrabile che dà senso a ogni cosa. La luce è rapida, le stranezze sono l’unico modo per sopportare e capire e disegnare la realtà e allora bisogna tornare indietro, più volte a ieri, aprendo ragionamenti meravigliosi, ipnotici, pervasi dal ritmo e dal bagliore della prosa. Per Emar ogni cosa è in relazione a un’altra. Osservare non è mai una cosa sola. Stare in un luogo significa esserne in almeno altri dieci. Decidere o meno equivale sempre a non decidere sul serio. Non decidere è sempre una decisione. Tutto è retto da un equilibrio, e l’equilibrio non esiste se non tra due o più cose.
Juan Emar è sudamericano, è considerato precursore di Cortázar e di Rulfo, ma se dovessi pensare a chi mi ricorda – per ritmo, inventiva, ricerca ossessiva del lessico e della ripetizione visiva e sintattica – direi Thomas Bernhard.
Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagione e Andrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia.
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