
“La madre è al di là di qualunque nozione di inizio. È questo che ne fa una madre: non puoi cominciare la storia”.
Senza un motivo apparente, Jazmina Barrera torna a più riprese sulle parole di Meghan O’Rourke, per cercare di tradurle e farle proprie, usarle per osservare quel che accade in lei. Sente di voler scrivere sulla gravidanza, predilige i saggi perché li ritiene esperimenti senza vincoli né trame, per poi rendersi conto che quel che inizia a comporre è inevitabilmente un racconto.
La gravidanza è una trasformazione nel tempo, è un conto alla rovescia e in questo, che lo voglia o no, c’è una trama, un racconto.
Tra pamphlet, saggio, diario intimo sulla gravidanza e romanzo, Linea nigra (trad. Federica Niola, La Nuova Frontiera 2022) è il racconto del percorso interiore e fisico nella maternità compiuto da Jazmina Barrera. La forma d’elezione è il frammento per rendere anche sul piano strutturale le intermittenze emotive, gli indugi, le ripetizioni ossessive che sulla pagina definiscono una inquieta meraviglia, un terrore sconosciuto, una continua ridefinizione di sé, la “dimensione oscura della gravidanza”, come la definì Maggie Nelson ne Gli Argonauti.
L’aspetto di assoluto rilievo risiede nella scelta di usare la vicenda privata come mezzo per muoversi tra passato e presente, compiere un’esplorazione sensibile della gravidanza e travalicare l’esperienza individuale per rintracciarne la natura peculiare e universale attraverso una pluralità di voci, dal canto dolente di Violeta Parra al racconto di scrittrici come Simone de Beauvoir, Natalia Ginzburg, Sylvia Plath, Alice Walker, Valeria Luiselli, Guadalupe Nettel. Riconosce un modello nell’esempio impartitole dalla linea femminile della sua famiglia. Sua nonna era una doula, si appassionò dell’allora innovativo testo Parto sin dolor che teneva nascosto nel cassetto della biancheria lontano dallo sguardo delle sue bambine. Diffuse così, con lezioni in casa e seguendo decine di donne negli anni, quelle rudimentali nozioni di psicoprofilassi con le poche risorse a sua disposizione. Barrera impara da sua madre, dalle sue zie e da sua nonna il significato della trasmissione di un amore incondizionato che rende condivisa qualsiasi esperienza.
Il racconto del quotidiano a Città del Messico, la sanità del Paese e le sue questioni sociali, si sovrappongono a storie e a leggende tramandate oralmente che definiscono la potenza e l’incanto generati dall’evento della maternità. Trovano spazio sulla pagina le rappresentazioni preispaniche di donne gravide che reggono pentole sulla testa, le convinzioni dei mexica sulla possibilità delle montagne di restare incinte e partorire popoli concependo le caverne come utero, accanto al racconto delle bizzarre superstizioni riservate alle donne incinte, come il divieto di guardare l’eclisse o di mangiare i tamales sul fondo della pentola per non condizionare il parto.
L’indagine fisica muove i fili della narrazione, aspetto già affrontato nella raccolta di saggi Cuerpo estraño con cui nel 2013 Barrera ottenne il premio Latin American Voices. Lo studio del corpo si collega a riflessioni sul corto circuito interno al rapporto tra madri e figli, una fusione che si evolve in distacco. Per definire la condizione della maternità Simone de Beauvoir richiama il contrasto nel percepire un senso di vastità e al contempo sentire l’annichilimento generato da tale ricchezza con “l’impressione di non essere più niente”.
È una lenta cancellatura il passaggio dallo stato di figlia a quello di madre: Barrera ne descrive la graduale e inesorabile consapevolezza nell’euforia frammista a una sottile malinconia che ammanta ogni gesto minimo. Tra le presenze ricorrenti che guidano il percorso conoscitivo dell’autrice una madre raccontata anzitutto a partire dal suo rapporto con la pittura. La costruzione di una dimensione creativa per rivoluzionare l’ordinario trova negli infiniti mondi astratti l’esito perennemente incompiuto di una ricerca interiore anzitutto letteraria. Tra le opere che realizzò durante l’infanzia di Jazmina, occupa un posto a parte El lugar de las madres. Fa parte della serie ispirata dalla lettura del Faust di Goethe. È un dipinto verde cobalto con al centro un cuore che esita tra le acque primordiali.
Quando Faust chiede a Mefistofele di aiutarlo a rievocare Elena di Troia, lui gli risponde che deve andare a prenderla nel posto dove stanno le madri, un luogo senza tempo né spazio, il vuoto assoluto nelle estreme profondità. L’utero dell’universo.
Le istanze sollevate attraverso i quadri rivelano un intento sotterraneo consegnato a chi deve capire la lentezza, accogliere l’ignoto. Saper vedere nel nero e distinguere i neri opachi dai brillanti, i neri viola da quelli rossi o quasi grigi, è un esercizio di attesa, di visione calma oltre il velo del reale, l’invocazione di un inabissamento.
Quando penso a come si potrebbe vedere il mondo dall’utero, ricordo quei quadri di mia madre, le sue lezioni per vedere nel buio.
I tentativi di immaginare la propria nascita e associare l’oscurità di una stanza a quella di un ventre si traducono nell’opera nell’identificazione di un nuovo sguardo sulla propria gravidanza, la ricerca di un buio diverso. Gli interrogativi sulla nascita in Linea nigra trovano un importante parallelo nell’arte figurativa esplorata muovendosi tra dimensioni diverse da opere-manifesto come L’origine du monde di Gustave Courbet o Il parto di Louise Bourgeois alla potenza evocativa delle immagini della tradizione messicana che assegnano un accento mistico-magico al paesaggio naturale nel collocare i vivi e i morti.
L’allestimento del paesaggio urbano negli esiti di un terremoto vissuto durante la stesura del libro fa da contrappunto allo studio dello stravolgimento fisico e del mancato riconoscimento del proprio corpo. In tale prospettiva assumono una valenza particolare le storie che si innestano a quella principale come quella di Luz Jiménez, indigena che assistette alla rivoluzione messicana di cui lasciò importanti testimonianze. Subì gravi lutti nel massacro di Milpa Alta del 1916. Fuggì alla ricerca di pace costruendosi un futuro diverso con sua madre a Xochimilco, prima a vendere fiori e ortaggi per strada poi come modella di fotografi e di influenti pittori, tra cui Diego Rivera. Diede un importante contributo allo studio linguistico del nahuatl. Sono gli scatti che le dedica Tina Modotti ad attrarre Barrera, la capacità dell’artista di raffigurare una delle fasi di trasformazione della maternità con Luz che tiene in braccio sua figlia Conchita che ha cresciuto da sola. Non sono i volti ma il gesto che racchiude stanchezza e tenerezza insieme ad affascinare Tina Modotti. Il dettaglio si fa emblema di un vincolo: prigione e privilegio. Un’astrazione come nella visione di Mi nana y yo del 1937, dove Frida Kahlo si ritrasse con la nutrice che la allattò e che rappresenta la cultura indigena d’elezione.
Linea nigra è un elogio dell’interruzione, dello smarrimento generato dalla percezione di sdoppiamento paragonato da Zadie Smith a una sorta di dislocamento: una trasformazione che precede la separazione da quell’alterità, come scrisse Sylvia Plath nei suoi diari. Una frammentazione di sé che si traduce sul piano formale nell’andamento sincopato di un testo che accoglie appunti sparsi, reperti d’infanzia, citazioni, immagini fulminanti, istantanee sull’attesa, riflessioni appuntate di notte sul cellulare, propositi e abbagli che infrangono un tempo che pare assente, annullato.
Sono i passaggi brevi, gli slanci lirici che illuminano lo sconcerto, i particolari di un gesto, i restauri e i crolli, a favorire in Linea nigra gli interrogativi sulle metamorfosi generate dalle devastazioni, la necessità di riconoscere la bellezza di una fenditura sulla tela superstite di un terremoto, testimone di perdite e rigenerazioni, memoria del trauma e incognita del presente.
Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all’Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.