«Sono d’accordo sul fatto che la medicina sia tanto un’arte quanto una scienza» dissi. «Ma di certo arriviamo all’arte il quarto anno, quando entriamo negli ospedali, non credi?».
Dopo i romanzi della serie Lanark, dopo il libro 1982 Janine, tutti pubblicati da Safarà editore, tra il 2015 e il 2020, è tornato, da qualche settimana, con la sua letteratura visionaria ed elettrica – capace di scosse, di risate, di lacrime e incubi; capace di sovversione – Alasadair Gray, con Povere Creature!, sempre edito da Safarà, con la traduzione di Sara Caraffini e l’introduzione di Enrico Terrinoni, che è uno dei maggiori esperti della letteratura dello scrittore scozzese. Anche questo romanzo, come i precedenti, lascia esterrefatti e completamente felici, per la nuova conferma di tutto ciò che si può fare attraverso il linguaggio, e quando si è in grado di mettere la grammatica e la sintassi al servizio di uno straordinario mondo immaginario, capace di muoversi attraverso i secoli e le stagioni, con personaggi che nascono, muoiono, rinascono, allora si dimostra che la lingua può fare ogni cosa e che la letteratura non ha ancora esaurito il suo compito, la sua missione. A un certo punto leggiamo: «Mi sembra ancora strano ricordare che […] io abbia farneticato con il linguaggio tipico dei romanzi che consideravo spazzatura e che leggevo solo per rilassare il cervello prima di dormire». Come se parlasse Gray in un suo personaggio.
La protagonista è Bella Baxter, di nome e di fatto, il cui corpo viene rinvenuto nelle acque gelide del Clyde di Galsgow, siamo nell’epoca tardovittoriana; apparentemente è riportata in vita da Godwin, personaggio tormentato, un genio dell’esperimento e della chirurgia. Scriviamo apparentemente perché fino in fondo non lo sapremo davvero, leggendo passeremo in tanti mondi che sembrano stanze che si aprono una dentro l’altra e ognuna contiene un’epoca, una storia, un anfratto nel quale Bella è passata, si è posata – anche solo per poco – e ha sovvertito gli stati d’animo, le regole di seduzione, di sopravvivenza. Bella è causa di desiderio e passione, è causa di follia, naturalmente di scandali, ma qui, tra le pagine di Gray, rappresenta la libertà, che va oltre le regole della società e perfino oltre la morte. Bella nel suo reimparare a vivere insegna, al di sopra di ogni morale, a cosa servono un cuore e un cervello.
«Da cosa l’hai guarita?» chiesi. «Dalla morte». «Vuoi dire che l’hai salvata dalla morte». «In parte sì, ma la parte più importante è una resurrezioneabilmente orchestrata».
Il libro è accompagnato da disegni di Gray stesso, che non fanno altro che ampliare il campo della narrazione. Questa storia trae ispirazione da Mary Shelley, da Joyce (modello principale di Gray). Bella Baxter viene più dall’Ulisse che da Frankstein, il suo segreto viene forse dalla Circe di Joyce, ma poi Gray si ispira anche a sé stesso, ai mondi che crea e che ricrea costantemente. È uno scrittore politico, che pare venire dal futuro, che ci ricorda (e lo fa dire anche a Bella) che le cose stanno così fino a che qualcuno non cambia la prospettiva, il punto di vista. I quattro personaggi maschili cui Bella attraversa – anche suo malgrado – l’esistenza non potranno incatenarla alle convenzioni o ai loro desideri e malinconie, e nemmeno potranno salvarla, è troppo indipendente, è irraggiungibile, è sempre un passo avanti; una protagonista indimenticabile per le fortunate e i fortunati che affronteranno queste pagine.
«Candle non deve essere geloso. È stato l’unico bacio che Harry abbia mai ottenuto da me e nessun uomo riuscirà a intrappolare Bell Baxter con le parole. Quando tornerò a casa, God, ci spiegherai come migliorare il mondo, poi io e te, Candle, ci sposeremo e lo faremo».
Gray è una scoperta continua, un maestro nell’utilizzo della lingua e delle molteplici possibilità della scrittura, un autore che una volta incontratonon si lascia più. Si ha l’impressione, tra le altre cose, dopo averlo letto non solo di aver imparato qualcosa ma che grazie ai suoi libri si sia pronti a imparare ancora dell’altro. Che cosa? Non lo sappiamo ma questo è il bello.
Da questo libro, Yorgos Lanthimos ne ha tratto un film incantevole che pare integrarsi col romanzo di Gray; l’immaginario dello scrittore e quello del regista si rimandano, si parlano così bene fino a diluirsi e sembrare una cosa sola, unica, magistrale. Poor Things, questo è il titolo del film, ha vinto il Leone d’oro alla ottantesima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, premio meritatissimo, con una Emma Stone nel ruolo di Bella in grado di far innamorare chiunque del cinema e i bravissimi Willem Defoe, Mark Ruffalo e Ramy Youssef. Il film uscirà nelle sale il prossimo gennaio e non vediamo l’ora di rivederlo e di andarci pure a rileggere il libro.
Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagione e Andrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia.
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